Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40223 del 08/07/2014

Penale Sent. Sez. 3 Num. 40223 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
avverso la sentenza n. 2295/2006 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
25/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Data Udienza: 08/07/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Venezia, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente, A.A., con sentenza del 25.02.2013, in parziale riforma
della sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Verona il 05.05.2006, ritenuta
l’attenuante di cui all’art. 73 V co. DPR 309/90, in relazione ai capi di imputazione a) i) I) k) p) rideterminava la pena in anni 7 e giorni 20 di reclusione ed C
29.533,00 di multa, confermava nel resto.
Il GUP del Tribunale di Verona, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichia-

a. artt. 110, 81 cod. pen. e 73 DPR 309/90, perché, con più azioni esecutive
di un medesimo disegno criminoso, in concorso con XX, CC, NN e
PP, deteneva illecitamente sostanza stupefacente del tipo ecstasy, in quantità
imprecisata, che era stata trasportata da A.A., N.N. e P.P, con
l’autovettura di quest’ultimo, da Livorno Ferraris a Verona e poi occultata al fine
della successiva cessione sul mercato veronese, in Verona il 21.04.1999.
b. artt. 110, 81 cod. pen. e 73 DPR 309/90, perché, con più azioni esecutive
di un medesimo disegno criminoso, in concorso con XX, C.C. e N.N.,
trasportava da Verona a Milano e deteneva illecitamente 200 gr. di sostanza stupefacente del tipo cocaina in Verona e Milano il 29.04.1999.
c. artt. 110 cod. pen. e 73 DPR 309/90, perché, in concorso con XX, C.C. e T.T., vendeva a Barile Salvatore gr. 50 di sostanza stupefacente del
tipo cocaina, in Verona il 26.12.1998.
h. artt. 110, 56 cod. pen. e 73 DPR 309/90, perché, con più azioni esecutive
di un medesimo disegno criminoso, in concorso con Dal Fiume Cristian, tentava
di importare dall’Ecuador in Italia ai fini di spaccio sul territorio di Verona, Kg.
1.800 di sostanza stupefacente del tipo cocaina, non riuscendo nell’intento per
l’arresto di dal Fiume in flagrante detenzione della suddetta cocaina, in Quito
(Ecuador) il 14.04.1998.
i. artt. 110, 81 cod. pen. e 73 DPR 309/90, perché, con più azioni esecutive
di un medesimo disegno criminoso, in più occasioni, cedeva quantità imprecisate
di cocaina a T.T., P.P., N.N., D.D., C.F., D.S., ed altri soggetti non identificati che ne
facevano uso personale, in Verona il 27.04.1999 e da febbraio a giugno 1999.
j. artt. 110, 81 cod. pen. e 73 DPR 309/90, perché, con più azioni esecutive
di un medesimo disegno criminoso, in più occasioni, cedeva a P.A. gr. 2 di sostanza stupefacente del tipo cocaina per il corrispettivo di lire
360.000 nonché quantitativi di uno o due grammi per volta, in 20 occasioni, della sostanza medesima a De frenza Francesco per il corrispettivo di lire 200.000 al

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rato A.A. colpevole dei seguenti reati:

grammo in numerose altre occasioni analoghi quantitativi a P.P. e a
P.Z., in Verona nel 1997-1998 e sino al giugno 1999.
k. artt. 81 cod. pen. e 73 DPR 309/90 per aver venduto a Pisano Francesco,
in più occasioni, pastiglie di sostanza stupefacente del tipo ecstasy in quantitativi
di una per volta, in Verona nell’anno 1996.
I. art. 73 DPR 309/90 per aver ceduto a Stefani Nello gr. 200 di sostanza
stupefacente del tipo hashish per lire 3.000.000, in località prossima a Grezzana
(VR) nel maggio 1996.

stupefacente del tipo cocaina, recidiva specifica, in Verona nel novembre 1998.

Il Giudice di primo grado, concesse all’imputato le attenuanti generiche
equivalenti alla contestata recidiva, uniti i reati nel vincolo della continuazione,
considerato più grave quello sub b), operata la riduzione finale di un terzo ex art.
442 cod. proc. pen., lo aveva condannato alla pena di anni 9 di reclusione ed euro 30.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia
cautelare. Dichiarava l’imputato interdetto dai pubblici uffici e l’interdizione legale durante la pena.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, personalmente, l’imputato, deducendo l’unico motivo di seguito enunciato nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma
1, disp. att., cod. proc. pen.
• violazione dell’art. 606 n. 1 lett. e) laddove la motivazione debba ritenersi
manifestamente illogica e carente.
La sentenza impugnata sarebbe motivata esdusivamente de relato, senza
l’indispensabile disamina dei passaggi che, a giudizio del ricorrente, sarebbero
superficiali nella sentenza di primo grado e che sembrerebbero mutuati in quella
di secondo grado.

p. art. 73 DPR 309/90 per aver ceduto a Tumolo Sergio gr. 5 di sostanza

La Corte territoriale avrebbe ritenuto di replicare genericamente in quanto i
motivi di appello proposti sarebbero stati generici ed inammissibili.
Il ricorrente deduce che il Giudice nel momento in cui abbia ritenuto ammissibile l’appello avrebbe dovuto argomentare in maniera adeguata e globale su
quanto concerneva l’impianto accusatorio. Ciò non sarebbe avvenuto.
L’argomentazione della sentenza sulla criptícità del linguaggio adoperato dai
presunti trafficanti di droga sarebbe apodittica.
In ultimo, il ricorrente deduce l’assoluta mancanza di motivazione della dichiarazione contenuta in sentenza, secondo cui non si poteva tener conto del

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lungo tempo trascorso dai fatti, durante il quale l’imputato non aveva più commesso violazioni della legge penale.

Chiede, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I proposti motivi non appaiono fondati.
Tuttavia, come si avrà modo di specificare in seguito, in ragione della loro

mativa che ha interessato l’art. 73 V co. Dor. 309/90, il termine di prescrizione
dei reati di cui ai capi a), i), k), I), p) della rubrica risulta spirato.

2. I motivi di ricorso, alquanto generici anche in questa sede, sono infondati.
Il ricorrente denuncia un vizio motivazionale, ma si limita a tacciare di
genericità e di incompletezza il provvedimento impugnato senza indicare specificamente i punti dell’argomentare che si contestano.
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la
oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentatívo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le
varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del
6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione
per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di
spessore tale da risultare percepibile ictu ocull, dovendo il sindacato di legittimità
al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti
le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che,
anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni
del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del
24.11.1999, Spina, rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come, ai sensi di quanto disposto dall’art.
606 c.p.p., comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è drcoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni
giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o
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non manifesta infondatezza, va valutato che ad oggi, alla luce della novella nor-

contraddittorietà della motivazione o di illogidtà evidenti, ossia la congruenza
delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n.
21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità
di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali.
E ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc.

procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del
contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via
esclusiva al giudice del merito.
Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si
palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della
sentenza della Corte d’Appello di Venezia alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta
complessiva.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica, pur dopo avere ricordato come i motivi di appello si palesassero generici, ai
limiti dell’inammissibilità, he ricordato come attraverso le telefonate intercettate
si sia pervenuti all’affermazione di responsabilità dell’odierno ricorrente.
Nel provvedimento impugnato si motiva anche in maniera logica e congrua circa la questione della críptidtà delle telefonate e della disponibilità di più
utenze telefoniche diverse intestate a vari soggetti, si ricorda quanto ai reati di
cui ai capi a) e b) come l’affermazione di responsabilità si fondi sulle dichiarazioni non solo dell’Arelaro ma anche di Cipriani Stefania e si risponde alla tesi difensiva che si trattasse di lattosio e non di cocaina (cfr. pagg. 2-3 della motivazione)
Va rilevato, peraltro, che, in caso di doppia conforme affermazione di responsabilità, il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un’analisi
approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (dr. sez. 6, n. 49970 del
19.10.2012, Muià ed altri rv.254107).

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pen. come modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46. Il giudice di legittimità non può

La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono
rossatura” dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (così si era espressa sul punto sez. 6, n. 1307

3. Tuttavia, come si anticipava in precedenza, la non manifesta infondatezza di talune delle questioni proposte impone a questa Corte di valutare
l’intervenuta prescrizione, ad oggi, dei reati per i quali sia stato ritenuto il fatto
di lieve entità di cui all’art. 73 co. 5 Dpr. 309/90.
Nelle more della decisione del presente ricorso la norma di cui all’art. 73 V
co. Dpr. 309/90 è stata, infatti, più volte interessata da interventi del legislatore.
La prima modifica legislativa è intervenuta con l’articolo 2, comma 1 lett.
a) del D.L. 23.12.2013 n. 146, convertito, senza modifiche sul punto, dalla legge
21.2.2014 n. 10 (in G.U. Serie generale n. 43 del 21.2.2014) che ha trasformato
quella che per giurisprudenza consolidata di questa Corte era pacificamente ritenuta una circostanza attenuante ad effetto speciale (dr. ex plurimis Sez. Unite n.
9148 del 31.5.1991, Parisi, rv. 187930; conf. sez. 1, n. 496 del 3.2.1992, confi.
comp. Pret. e Trib. Palermo in proc. Di Gaetano, rv. 191131; e, anche dopo le
modifiche introdotte dall’art. 4-bis I. 49/2006, ancora Sez. Unite n. 35737 del
24.6.2010, P.G. in proc. Rico, rv. 247910; conf. sez. 6 n. 458 del 28.9.2011
dep. 11.1.2012, Khadhraoui Farouk e altro, rv. 251557; sez. 6, n. 13523 del
22.10.2008 dep. 26.3.2009, De Lucia e altri, rv. 243827) in un’ipotesi autonoma
di reato.
Già con quella prima novella, ex DL 146/2013, che manteneva indistinta
la sanzione penale per i fatti di lieve entità che riguardassero le droghe c.d. leggere” e quelle c.d. “pesanti”, il massimo edittale previgente veniva abbassato.
L’articolo 73 co. 5 Dpr. 309/90 post novella del dicembre 2013 puniva, infatti, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 3.000 a euro
26.000 chiunque, salvo che il fatto costituisse più grave reato, commettesse uno
dei fatti previsti dal medesimo alt. 73 che per i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, sia “di lieve entità”.
La norma previgente prevedeva identica sanzione pecuniaria e, quanto alla pena
detentiva, identico minimo edittale (anni uno di reclusione) ma una pena massima più alta (anni sei di reclusione).

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del 26.9.2002, dep. 14.1.2003, Delvai, rv. 223061).

L’affermata natura di reato autonomo ha sottratto da quel momento la
norma al bilanciamento con eventuali circostanze aggravanti o con la recidiva,
che spesso finiva per portare il trattamento sanzionatorio, anche per fatti di lieve
entità (a fronte ad esempio di una recidiva reiterata ritenuta equivalente
all’ipotesi attenuata, qual era il quinto comma previgente) a dover necessariamente riferirsi alle ben più severe pene di cui al primo comma dell’articolo 73.
L’abbassamento del massimo edittale produce da allora effetti di maggior
favore per l’imputato sui termini di custodia cautelare e su quelli per il computo

sotto la vigenza della norma precedente.
E’ poi intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014, che
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vides ter, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 e, a seguire, il decreto legge 20.3.2014 n.
36 conv. in I. 16.5.2014 n. 79 con cui il comma 5 dell’art. 73 Dpr. 309.90 è stato
sostituito dal seguente: “5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo, che per i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze
è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni
e della multa da euro 1032 a euro 10.329”.
Con la seconda novella, del 2014, dunque, la pena per il fatto di lieve entità già prevista per le c.d. “droghe leggere” dalla Legge Iervolino-Vassalli viene
adottata, indifferentemente, per tutti i fatti di lieve entità, indipendentemente
dalla collocazione dello stupefacente nell’una o nell’altra tabella.
La prescrizione per i reati di cui all’art. 73 V co. Dpr. 309/90 cui fare oggi
riferimento, in presenza di atti interruttivi; è quella di sette anni e mezzo (sei
anni di prescrizione “breve” +1/4 in caso di assenza di recidiva contestata).
Nel caso che ci occupa, nel calcolo della prescrizione va tenuto conto di un
periodo di sospensione di complessivi mesi uno gg. 13 in ragione del rinvio per
l’astensione degli avvocati dell’udienza preliminare dal 18.1.2006 al 3.3.2006.
Per i reati di cui ai capi a), i), k), I), p) della rubrica, accertati in un arco
temporale tra il 1996 e il giugno 1999, la prescrizione risulta ampiamente spirata.
S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione limitatamente a tali capi, il rigetto nel resto e, tenuto conto che
dalla sentenza si evince chiaramente l’aumento di pena irrogato in relazione ai
reati per i quali è intervenuta la prescrizione (mesi uno di reclusione ed euro 100
ciascuno) ritiene questa Corte Suprema di poter essa stessa rideterminare la pena complessiva da infliggere all’imputato, per i residui reati, tenuto conto della

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della prescrizione, applicabili per il principio del favor rei anche ai fatti commessi

riduzione per il rito prescelto, in anni 6, mesi 5, giorni 10 di reclusione ed euro
29.200 di multa.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata senza rinvio – limitatamente ai reati di cui ai
capi a), i), k), I), p) della rubrica perché estinti per prescrizione e determina la
pena complessiva, per i residui reati, in anni 6, mesi 5, giorni 10 di reclusione ed
euro 29.200 di multa.
Rigetta nel resto il ricorso.

Il

sigliere est sore

Il Presidente

Così deciso in Roma 1’8 luglio 2014

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