Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40187 del 27/03/2014


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Penale Sent. Sez. U Num. 40187 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Lattanzio Agostino, nato a Trinitapoli il 10/06/1949

avverso la sentenza del 17/07/2012 della Corte di appello di Bologna

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal componente Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Carlo Destro, che
ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e
di quella di primo grado;
uditi per il ricorrente gli avvocati Giovanni Guzzetta e Fabrizio Merluzzi, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 27/03/2014

1. Il Tribunale di Ferrara, con sentenza del 17 aprile 2008, dichiarò Agostino
Lattanzio colpevole dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e
documentale, commessi quale amministratore di fatto della Euro Motors 2000
s.r.I., dichiarata fallita il 25 luglio 2003, e Rosaria Abate colpevole del reato di
bancarotta fraudolenta documentale, commesso in concorso con il Lattanzio,
nella qualità di amministratrice di diritto della suddetta società; e ciò per avere,
da un lato, distratto beni e danaro della società (mai consegnati alla curatela, né
da questa reperiti) per complessivi euro 133.845,63, e, da un altro lato,

in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli
affari.
Rileva qui ricordare che, in vista dell’udienza del 5 luglio 2007, nella quale
era prevista la deposizione di una teste di accusa, il difensore di fiducia
dell’imputato Agostino Lattanzio, avv. Giacomo Lattanzio, aveva fatto pervenire
in cancelleria a mezzo fax una dichiarazione di adesione all’astensione
proclamata dalle Camere penali con richiesta di rinvio dell’udienza. Il Tribunale,
all’udienza, respinse l’istanza, nominò al difensore non comparso un sostituto ex
art. 97, comma 4, cod. proc. pen., e dispose ugualmente l’escussione della teste,
per il motivo: – che la teste aveva affrontato un viaggio da Bari per partecipare
all’udienza; – che l’assunzione della testimonianza appariva «improcrastinabile
ai fini di giustizia, non potendosi costringere la teste a ricomparire in altra
udienza neppure coattivamente, in quanto una tale misura apparirebbe
verosimilmente vessatoria e contraria ai fondamentali diritti delle parti»; – che la
testimonianza era necessaria e non si poteva garantire la presenza della teste in
altra udienza, sicché l’atto appariva urgente ed indifferibile.
La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 17 luglio 2012, ridusse le
pene confermando nel resto la sentenza di primo grado. In particolare, rigettò
l’eccezione della difesa relativa al mancato rinvio dell’udienza del 5 luglio 2007,
per il motivo: – che il giudice, nel valutare la richiesta del difensore di rinvio per
adesione ad una astensione di categoria, «non deve tenere conto delle norme del
codice di autoregolamentazione dell’Avvocatura circa la disciplina delle modalità
dell’astensione collettiva»; – che «invero, l’art. 4 del codice di
autoregolamentazione indica le ragioni per cui il difensore non può astenersi, e
non, invece, quelle che, sole, possano consentire al Tribunale di dichiarare di
doversi procedere»; – che nella specie il Tribunale aveva «operato una
comparazione, logicamente motivata, tra il diritto del difensore di aderire
all’astensione collettiva, e le esigenze di giustizia, rappresentate dalla necessità
di procedere all’audizione di una teste […] che aveva affrontato un lungo viaggio

occultato i libri e le scritture contabili della società, o comunque per averli tenuti

da Bari per essere sentita in dibattimento e che, se il processo fosse stato
rinviato, avrebbe dovuto […] affrontare altri due lunghi viaggi»; – che dunque, il
Tribunale aveva «indicato fondate ragioni di giustizia che imponevano la
celebrazione del processo in quell’udienza».

2. Contro tale sentenza ha proposto personalmente ricorso per cassazione
Agostino Lattanzio, deducendo i seguenti sei motivi:
1) Violazione dell’art. 420-ter cod. proc. pen., per essere stata rigettata la
richiesta di rinvio dell’udienza del 3 maggio 2007, formulata per impedimento

l’impedimento non assoluto per la possibilità di spostarsi con mezzi pubblici,
senza considerare la notevole distanza da percorrere.
2)

Violazione dell’art. 420-ter cod. proc. pen., per essere stata

illegittimamente rigettata la richiesta di rinvio dell’udienza del 5 luglio 2007 per
adesione del difensore all’astensione proclamata dalle Camere penali. Dopo aver
ricordato la motivazione adottata dalla Corte di appello per giustificare il
mancato rinvio, eccepisce la violazione dell’art. 4 del codice di
autoregolamentazione perché l’audizione di una teste (che peraltro non si era
presentata nelle tre udienze precedenti) non rientra in alcuna delle situazioni
ostative all’astensione ivi contemplate (imminente prescrizione, decorrenza dei
termini di custodia cautelare, presenza di detenuti ecc.), né poteva aversi
riguardo alla disponibilità di una testimone. Pertanto erroneamente è stata
respinta l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per violazione del
diritto di difesa, sacrificando illegittimamente «un diritto costituzionalmente
garantito (sotto forma del diritto dell’associazione)», superabile solo «quando vi
sia un interesse dello Stato come quello relativo alla prescrizione del reato».
3) Erronea applicazione dell’art. 507 cod. proc. pen., per essere state
rigettate le richieste di prova avanzate all’udienza del 6 marzo 2008 nonché
quella relativa all’escussione del teste Roberto Baulè.
4) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
ordine al punto e) dei motivi di appello; erronea applicazione degli artt. 216 e
223 legge fall. Deduce che nessuno dei testi (le cui deposizioni passa in
rassegna) ha reso dichiarazioni atte a dimostrare l’esistenza dei beni di cui si
presume la distrazione e che l’attività sociale è cessata nel 2002, per cui non
sussisteva obbligo di tenuta delle scritture dopo detta data.
5) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
ordine alla partecipazione di Agostino Lattanzio alla gestione della società.
Richiama alcune prove documentali, le dichiarazioni dei testi e alcuni passaggi
della deposizione del teste Zangherati per confutarne la veridicità, l’esattezza o

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del difensore. In particolare, censura la motivazione nella parte in cui ha ritenuto

la rilevanza.
6) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
ordine al punto g) dei motivi di appello, ed erronea applicazione degli artt. 62bis cod. pen. e 219 legge fall. Lamenta, in particolare, che le attenuanti
generiche sono state negate per l’assenza dell’imputato al procedimento di primo
grado e che l’attenuante speciale del danno di speciale tenuità di cui all’art. 219
legge fall. è stata negata pur non essendovi alcuna certezza in ordine all’effettiva
entità degli ammanchi.

ordinanza del 21 novembre 2013, lo ha rimesso alle Sezioni Unite, sottolineando
la rilevanza preliminare del secondo motivo, relativo al rigetto della richiesta di
rinvio dell’udienza del 5 luglio 2007, per adesione del difensore all’astensione
dichiarata dalle Camere penali. Osserva che la questione di diritto proposta con
tale motivo consiste, essenzialmente, nello stabilire se il giudice, nel valutare la
richiesta di rinvio per adesione del difensore all’astensione, sia tenuto o meno
all’osservanza del Codice di autoregolamentazione dell’Avvocatura circa la
disciplina delle modalità di astensione collettiva. Secondo i giudici del merito,
invero, l’art. 4 di tale codice – che disciplina le prestazioni indispensabili in
materia penale – «indica le ragioni per cui il difensore non può astenersi, e non,
invece, quelle che, sole, possano consentire al Tribunale di dichiarare di doversi
procedere». Conseguentemente, è stato riconosciuto al giudice il potere di
individuare altre situazioni, oltre quelle contemplate dal codice, che legittimano
la prosecuzione del giudizio nonostante l’adesione del difensore all’astensione.
L’ordinanza ricorda come in giurisprudenza si sia venuto affermando
l’orientamento secondo cui tale adesione non integra un legittimo impedimento
ai sensi dell’art. 420-ter cod. proc. pen., in quanto non si ricollega a situazioni
oggettive ed indipendenti dalla volontà del soggetto “impedito”, ma costituisce
una libera scelta del difensore e rappresenta una forma di esercizio di una libertà
sindacale riconosciuta a tutti i soggetti dell’ordinamento. Da questa premessa è
stata tratta la conseguenza che il rinvio dell’udienza comporta la sospensione del
corso della prescrizione per tutta la durata del rinvio e non per soli sessanta
giorni; che restano sospesi i termini di durata massima della custodia cautelare;
che il difensore non comparso non ha diritto alla notifica dell’ordinanza di
fissazione della nuova udienza.
La Sezione rimettente ricorda poi come il Codice di autoregolamentazione
delle astensioni dalle udienze, adottato dall’Avvocatura il 4 aprile 2007 in
adempimento dell’obbligo previsto dalla legge 12 giugno 1990, n. 146, come
modificata dalla legge 11 aprile 2000, n. 83, ha introdotto una serie di

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3. La Quinta Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, con

prescrizioni e adempimenti a carico degli avvocati al fine di assicurare un
ordinato svolgimento della protesta e di garantire, nei processi penali,
l’assistenza legale nelle situazioni di maggiore criticità. Il rispetto di tali
condizioni costituisce la condizione perché la mancata comparizione del difensore
sia ritenuta legittima. Tuttavia, secondo la Sezione, se il rispetto delle condizioni
e dei limiti posti dal detto codice rappresenta un requisito per la legittimità
dell’astensione, la normativa introdotta dopo la sentenza n. 171 del 1996 della
Corte costituzionale ha lasciato intatto il potere del giudice di regolare lo
svolgimento del processo secondo i canoni dell’ordinamento processuale. La

associati e non anche il giudice procedente, il quale, nel valutare le circostanze
che rendono urgente la trattazione di un processo, impedendo l’accoglimento
dell’istanza di rinvio per astensione, può compiere un autonomo bilanciamento
degli interessi in gioco. A questo proposito l’ordinanza di rimessione valorizza le
affermazioni della citata sentenza costituzionale. n. 171 del 1996, relative sia
all’impossibilità di configurare l’astensione degli avvocati come esercizio del
diritto di sciopero di cui all’art. 40 Cost., trattandosi di una “libertà” riconducibile
al diverso diritto di associazione di cui all’art. 18 Cost.; sia alla necessità di
tutelare anche altri valori costituzionali, ed in particolare i diritti fondamentali dei
destinatari della funzione giurisdizionale (diritto di azione e difesa di cui all’art.
24 Cost.) ed i principi generali posti a tutela della giurisdizione. Dunque, le
disposizioni vigenti e l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza sembrano
asseverare l’affermazione per cui «il codice di autoregolamentazione non
esaurisce il novero delle situazioni potenzialmente idonee a fondare la potestà
valutativa del giudice di fronte a situazioni create dall’adesione del difensore
all’astensione proclamata dall’associazione di riferimento, dovendosi tener conto,
da parte del giudice, delle altre situazioni, non catalogabili a priori, idonee ad
incidere su diritti costituzionalmente rilevanti, da bilanciare col diritto del
difensore all’esplicazione della propria libertà sindacale».
La Sezione rimettente ricorda che è però recentemente intervenuta
l’ordinanza emessa dalle Sezioni Unite nell’ambito del proc. R.G. n. 11751/2012
(sentenza n. 26711 del 30/05/2013), la quale ha parlato, con riferimento al
Codice di autoregolamentazione, di «normativa secondaria alla quale occorre
conformarsi», senza peraltro precisare se ad essa debba “conformarsi” il
difensore oppure anche il giudice e mostrando di ritenere che il codice suddetto,
essendo approvato dalla Commissione di Garanzia istituita dalla legge n. 83 del
2000, è destinato a realizzare il «contemperamento con i diritti della persona
costituzionalmente tutelati», di cui all’art. 1 della I. 146/90. Secondo l’ordinanza
di rimessione rimane perciò aperto il problema se analoga potestà di

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giurisprudenza ha invero ritenuto che le disposizioni del codice vincolano i soli

contemperamento sia riservata al giudice di fronte a interessi, diritti e situazioni
– frequenti a verificarsi – non contemplati dal suddetto codice, quali, a titolo di
esempio, la ragionevole durata del processo (ormai assurta a rango
costituzionale), la coesistenza di situazioni confliggenti (imputati con interessi
contrapposti), la persistenza di misure cautelari non custodiali ma comunque
incidenti su un diritto fondamentale (la libertà di locomozione) o – come nel caso
di specie – il grave disagio di un teste chiamato a testimoniare da città lontana
rispetto al luogo di svolgimento del processo.
Secondo l’ordinanza di rimessione, dunque, permane la necessità di definire

della legge n. 146 del 1990, sicché la relativa questione è stata rimessa alle
Sezioni Unite.

4. Con decreto in data 3 gennaio 2014 il Primo Presidente ha assegnato il
ricorso alle Sezioni Unite penali fissando per la trattazione l’odierna udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

La questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite è stata così

individuata dall’ordinanza di rimessione:

“Se, anche dopo l’emanazione del

codice di autoregolamentazione [delle astensioni] dalle udienze degli avvocati,
adottato il 4 aprile 2007 e ritenuto idoneo dalla Commissione di garanzia
dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi essenziali con delibera del 13
dicembre 2007, permanga il potere del giudice – in caso di adesione del
difensore all’astensione proclamata dall’associazione di categoria – di disporre la
prosecuzione del giudizio in presenza di esigenze di giustizia non contemplate dal
codice suddetto”.
L’ordinanza, peraltro, propone altresì la connessa questione su quale sia
«l’esatto ambito di operatività e cogenza» della normativa emanata in attuazione
della legge n. 146 del 1990, e cioè se le norme del detto codice di
autoregolamentazione abbiano o meno valore di normativa secondaria avente
efficacia erga omnes e, quindi, vincolante anche per il giudice.

2. Sulle questioni sottoposte alle Sezioni Unite negli ultimi decenni vi sono
state, sia in giurisprudenza sia in dottrina, plurime e differenti opinioni e
soluzioni, dovute peraltro soprattutto alla diversità dei contesti normativi
succedutisi nel tempo. Appare quindi indispensabile ricordare preliminarmente,
sia pure sommariamente, l’evoluzione normativa in materia.
2.1. Nella vigenza del codice Rocco, caratterizzato da una disciplina di

«l’esatto ambito di operatività e cogenza» della normativa emanata in attuazione

impronta marcatamente inquisitoria, la mancata presenza del difensore non
rientrava tra le cause obbligatorie di sospensione o rinvio del dibattimento. Il
principio seguito era che «l’impedimento del difensore, anche se provato, non
rende obbligatorio il rinvio, poiché l’imputato può provvedere alla nomina di altro
difensore o essere assistito da quello di ufficio» (Sez. 4, n. 5556 del 04/03/1985,
Gavioli, Rv. 169604; Sez. 4, n. 8618 del 12/04/1984, Biancardi, Rv. 166136;
Sez. 2, n. 6868 del 17/12/1982, dep. 1983, De Sivo, Rv. 160009). Al difensore,
inoltre, era anche radicalmente preclusa qualsiasi possibilità di optare per
l’astensione dalla propria attività di assistenza nel processo, quand’anche si

della difesa. La giurisprudenza era costante nell’escludere che l’adesione
all’astensione di categoria potesse pregiudicare il regolare svolgimento del
processo e nell’affermare che «lo sciopero della categoria professionale degli
avvocati e dei procuratori esercita la propria influenza limitatamente alla
categoria stessa e non determina alcuna sospensione dell’attività giurisdizionale,
né tanto meno la nullità del dibattimento, per violazione dell’art. 185 cod. proc.
pen., svoltosi in assenza del difensore di fiducia che abbia aderito allo sciopero»,
ove l’imputato sia stato regolarmente assistito dal difensore d’ufficio (Sez. 5, n.
16015 del 21/10/1977, Arzano, Rv. 137510; Sez. 1, n. 2517 del 10/05/1989,
dep. 1990, Zeno, Rv. 183435). Anzi, tale condotta risultava riconducibile ad un
“abbandono” della difesa, rilevante ai sensi dell’art. 131 del previgente codice, e
quindi punibile con sanzione disciplinare interdittiva irrogata dalla sezione
istruttoria della Corte di appello nel cui distretto aveva sede l’autorità giudiziaria
procedente; e per parte della dottrina tale “assenza qualificata” era anche
riconducibile alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 333 cod. pen. (poi
abrogato dalla legge 12 giugno 1990, n. 146).
2.2. La situazione mutò profondamente con l’entrata in vigore del “codice
Vassalli” ed il passaggio all’attuale sistema processuale, imperniato sui principi
di parità delle parti ed effettività del contraddittorio, successivamente consacrati
anche nell’art. 111 Cost.
Venne così introdotto l’obbligo di sospendere o rinviare il dibattimento in
caso di assenza del difensore dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per
legittimo impedimento, purché prontamente comunicato (art. 486, comma 5,
cod. proc. pen., poi abrogato dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, e in
sostanza sostituito dall’art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen., che estese
l’applicazione dell’istituto del legittimo impedimento del difensore alla fase
dell’udienza preliminare).
Inoltre, i principi ispiratori del codice del 1988 (parità tra accusa e difesa,
effettività del contraddittorio, immutabilità e libertà di autodeterminazione della

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trattasse di una scelta per fini “rivendicativi” o di denuncia di violazione di diritti

difesa) determinarono una disciplina significativamente diversa dell’abbandono
(e del rifiuto) di difesa. L’art. 105 dell’attuale codice di rito individua la
competenza esclusiva del consiglio dell’ordine forense per l’irrogazione delle
sanzioni disciplinari; sancisce la completa autonomia del procedimento
disciplinare rispetto al procedimento penale in cui è avvenuto l’abbandono; e
prevede che, quando l’abbandono è motivato con la violazione dei diritti della
difesa ed il consiglio dell’ordine lo ritenga giustificato, la sanzione non è
applicata anche se il giudice escluda che la violazione si sia verificata: laddove
invece, nel sistema precedente era escluso che tale motivazione potesse

Di questa impostazione radicalmente diversa risentì ovviamente anche la
giurisprudenza della Corte di cassazione.
Alcune decisioni, in particolare, ritennero che l’assenza del difensore causata
dall’adesione all’astensione di categoria costituisse un’ipotesi di legittimo
impedimento, idonea a determinare il rinvio dell’udienza (Sez. 1, n. 3113 del
08/07/1991, Lo Iacono, Rv. 188390). In dottrina, peraltro, si osservò che questa
interpretazione era determinata, più che da un consapevole inquadramento della
fattispecie nel nuovo istituto del legittimo impedimento, dall’esigenza di
affermare la legittimità dell’astensione quale forma di salvaguardia degli
interessi della categoria forense a fronte del persistere di opinioni che negavano
la legittimità del fenomeno e ne affermavano invece la rilevanza disciplinare
(come abbandono di difesa ex art. 105 cod. proc. pen.) ed anche penale (negata
peraltro da Sez. 6, n. 1895 del 09/01/1997, Sorrentino, Rv. 207546, per la mera
adesione all’agitazione, non integrata da ulteriori comportamenti positivi idonei
ad influire sul regolare svolgimento del “servizio giustizia”). In ogni modo, la
qualificazione dell’astensione come legittimo impedimento venne ribadita da
successive decisioni, affermandosi esplicitamente che «l’esercizio di un diritto
tutelato costituzionalmente, come il diritto di sciopero, qualora comporti
l’astensione dalle udienze, costituisce legittimo impedimento del difensore ai
sensi dell’art. 486, comma 5, cod. proc. pen., e determina necessariamente il
rinvio del dibattimento» (Sez. 3, n. 8533 del 24/08/1993, Capaci, Rv. 195162,
che sottolineò anche come il contrario indirizzo della sent. 10/05/1989, Zeno,
cit., fosse stato elaborato prima dell’entrata in vigore del nuovo codice e del
riconoscimento per il difensore di una autonoma causa di legittimo
impedimento).
Altre pronunce, invece, esclusero l’applicabilità delle disposizioni sul
legittimo impedimento, ma non misero comunque in discussione la legittimità
dell’astensione dalle udienze, preoccupandosi piuttosto di valutarne ed
inquadrarne gli effetti sui termini di custodia cautelare. In particolare, si affermò

costituire una causa di giustificazione della condotta del difensore.

che «l’astensione dalle udienze diffusamente attuata dai difensori in applicazione
di uno stato di agitazione sindacale costituisce una causa di privazione
dell’imputato di quell’assistenza difensiva che la legge esige che, se non
legalmente ovviabile, impone la sospensione o il rinvio del procedimento, ma
giustifica tuttavia la sospensione dei termini di durata massima della custodia
cautelare, ai sensi dell’art. 304, comma 1, lett. b), […] cod. proc. pen., onde
evitare che la mancata assistenza legale risulti comunque premiata dal decorrere
dei termini» (Sez. 1, n. 2851 del 24/06/1991, Egizio, Rv. 188342; Sez. 6, n.
3223 del 20/11/1990, dep. 1991, Papajanni, Rv. 187019).

motivi di urgenza nella trattazione del processo a causa dell’imminente maturare
della prescrizione, e nell’impossibilità di sospendere il corso della stessa, potesse
rigettare l’istanza di rinvio per adesione all’astensione e nominare all’imputato
un difensore di ufficio; in quanto in questa situazione era legittimamente
applicato dal giudice «il principio del bilanciamento di interessi, dando
prevalenza a quello dello Stato, diretto ad evitare l’estinzione del reato per
prescrizione, rispetto a quello del difensore dell’imputato, concernente il pur
legittimo esercizio dei diritti personali di libertà, in particolare di quello di
astenersi dal partecipare alle udienze […] a fronte della impossibilità di
sospensione del corso della prescrizione del reato, limitata ai casi tassativamente
indicati nell’art. 159 cod. pen.» (Sez. 4, n. 6604 del 17/12/1992, dep. 1993,
Montagnoli, Rv. 195252).
2.3. In questo contesto – caratterizzato dal riconoscimento della legittimità
dell’astensione ma anche dalla preoccupazione per le implicazioni processuali in
mancanza di una specifica normativa – intervenne una prima volta la Corte
costituzionale con la sentenza n. 114 del 1994. La questione esaminata aveva ad
oggetto, in riferimento all’art. 3 Cost., l’art. 159 cod. pen., nella parte in cui non
prevedeva la sospensione della prescrizione nel caso di sospensione o rinvio del
dibattimento per l’astensione dalle udienze del difensore ovvero, in subordine,
nella parte in cui non prevedeva la possibilità di adottare un provvedimento di
sospensione della prescrizione, sulla falsariga di quanto disposto, per i termini di
custodia cautelare, dall’art. 304, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. La questione
venne dichiarata manifestamente inammissibile sia per la duplicità di soluzioni
alternative prospettate, sia anche e soprattutto perché era stata sollecitata una
pronuncia additiva in malam partem (tale essendo stata considerata l’aggiunta di
una nuova causa di sospensione della prescrizione), in contrasto col principio di
legalità di cui all’art. 25 Cost.
La sentenza assume comunque particolare importanza perché conteneva, da
un lato, l’auspicio che situazioni patologiche come quella descritta nell’ordinanza

Con un’altra serie di pronunce, poi, si ammise che il giudice, ravvisando

di rimessione fossero sanate dal legislatore e, da un altro lato, l’invito
all’interprete a considerare, anche a questi fini, le norme dettate in tema di
sciopero dei servizi pubblici essenziali dalla legge n. 146 del 1990. In particolare,
la Corte richiamò la diversa questione dell’impedimento del difensore dovuto a
concorrenti impegni professionali e ricordò che un soddisfacente punto di
equilibrio era stato raggiunto dalla soluzione individuata dalle Sezioni Unite con
la sentenza n. 4708 del 27/03/1992, Fogliani, Rv. 190828, secondo la quale
l’impegno professionale, per poter assurgere a legittimo impedimento rilevante
ex art. 486, comma 5, cod. proc. pen., doveva non solo essere prontamente

essenzialità e non sostituibilità del difensore nell’altro processo: e ciò al fine di
far esercitare, al giudice cui si chiede il rinvio, «il potere-dovere di valutare e
comparare le esigenze difensive e quelle pubbliche, affinché non si realizzino né
impunità né anticipate liberazioni pericolose per la sicurezza collettiva né
pretestuosi ritardi nella definizione dei processi». La Corte quindi osservò che
invece rimaneva del tutto privo di qualsiasi analogo bilanciamento il diverso caso
dell’assenza, non del singolo difensore, ma di tutti i difensori, in dipendenza
dalla loro adesione alle manifestazioni di protesta deliberate dagli organismi di
categoria, sicché manifestazioni connotate da particolare durata e livello
partecipativo avrebbero potuto paralizzare la funzione giurisdizionale, con grave
compronnissione di principi anche di rango costituzionale. In conclusione, la
Corte costituzionale rilevò che «se il legislatore ha avvertito la necessità di
dettare, proprio in funzione della salvaguardia di beni costituzionalmente
tutelati, norme sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali,
ricomprendendo fra questi anche l’amministrazione della giustizia (v. art. 1 della
legge 12 giugno 1990, n. 146), non v’è ragione per cui debbano restare esenti
da specifiche previsioni forme di protesta collettiva che, al pari dello sciopero,
sono in grado di impedire il pieno esercizio di funzioni che assumono, come
quella giurisdizionale, un risalto primario nell’ordinamento dello Stato».
2.4. Nel periodo successivo alla sentenza costituzionale n. 114 del 1994, la
giurisprudenza di legittimità, pur continuando a ricondurre l’astensione nell’alveo
del legittimo impedimento, sottolineò più volte la necessità per il giudice di
operare un bilanciamento tra l’interesse difensivo all’astensione e l’interesse
pubblico alla immediata trattazione del processo «quando sussistano ragioni
obiettive che la impongano (imminente operatività di cause estintive del reato,
prossima scadenza di termini di custodia cautelare e simili)» (v. Sez. 1, n. 9922
del 07/09/1995, Esposito, Rv. 202538); anche se qualche pronuncia si orientò
nel senso di riconoscere senz’altro la sussistenza del legittimo impedimento per
il solo fatto dell’adesione all’astensione («allo sciopero di categoria»), purché

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comunicato, ma anche adeguatamente motivato e documentato in relazione alla

prontamente comunicata al giudice procedente (cfr., ad es., Sez. 3, n. 8338 del
01/07/1994, Riccio, Rv. 198701; Sez. 1, n. 856 del 29/11/1995, dep. 1996,
Milano, Rv. 203501, secondo cui la necessità di una tempestiva comunicazione è
dovuta al fatto che l’astensione non è vincolante per il singolo associato, che
rimane libero di aderirvi o meno).
2.5. In questa situazione di incertezza giurisprudenziale, in cui, da un lato,
perdurava l’inerzia del legislatore e, da un altro lato, si accresceva la frequenza e
l’intensità partecipativa delle astensioni proclamate dalle associazioni forensi, la
Corte costituzionale intervenne una seconda volta con la sentenza (additiva di

rivolto al legislatore con la precedente pronuncia – cui era anzi seguito un
deterioramento ed un crescente allarme per il ripetersi di astensioni non
regolamentate, con conseguente disagio e pregiudizio per l’amministrazione
della giustizia e, dunque, per i diritti fondamentali della persona che in essa
trovano tutela – passò “dal monito ai fatti” e dichiarò l’illegittimità costituzionale
non già di norme del codice di rito (pure impugnate da numerose ordinanze di
rimessione), ma di alcune disposizioni della legge n. 146 del 1990, regolativa
dello sciopero nei servizi pubblici essenziali. La sentenza ribadì innanzitutto che
il pieno riconoscimento della libertà di associazione e della libertà sindacale e la
garanzia espressa del diritto di sciopero (nei limiti indispensabili alla tutela di
altri interessi costituzionalmente protetti) sono valori fondanti del nostro
ordinamento, e consentono di individuare «un’area, connessa alla libertà di
associazione, che è oggetto di salvaguardia costituzionale ed è
significativamente più estesa rispetto allo sciopero»: in questa area rientrano «le
astensioni collettive dal lavoro volte a difendere interessi di categoria, non
soltanto economici, e a garantire un corretto esercizio della libera professione».
L’astensione degli avvocati, quindi, pur non potendo essere ricondotta nell’alveo
del diritto di sciopero tutelato

ex art. 40 Cost., costituisce una incisiva

manifestazione della dinamica associativa volta alla tutela di quella forma di
lavoro autonomo e, di conseguenza, ricade nel favor libertatis che ispira la prima
parte della Costituzione e non può «essere ridotta a mera facoltà di rilievo
costituzionale». La salvaguardia di questi «spazi di libertà dei singoli e dei
gruppi» – precisò la Corte – non esclude però la necessità di tutelare altri valori
di rango costituzionale, quali i diritti fondamentali dei soggetti destinatari della
funzione giurisdizionale (diritti di azione e difesa ex art. 24 Cost.) ed i principi
generali posti a tutela della giurisdizione. La stessa legge n. 146 del 1990, nel
definire i servizi pubblici essenziali, «fa riferimento non tanto a prestazioni
determinate oggettivamente, quanto al nesso teleologico tra queste e gli
interessi e beni costituzionalmente protetti» (diritto alla vita, alla salute, alla

11

principio) n. 171 del 1996, la quale, dopo avere constatato l’inefficacia dell’invito

libertà e sicurezza, alla libertà di circolazione, ecc.); e, coerentemente con
questa impostazione, individua, tra i servizi pubblici essenziali,
«l’amministrazione della giustizia, con particolare riferimento ai provvedimenti
restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti nonché ai
processi penali con imputati in stato di detenzione» (art. 1, comma 2, lett. a),
legge n. 146). Ne deriva che «quando la libertà degli avvocati e procuratori si
eserciti in contrasto con la tavola di valori sopra richiamata, essa non può non
arretrare per la forza prevalente di quelli». La Corte quindi concordò con la
soluzione fino ad allora adottata, in mancanza di una specifica disciplina

bilanciamento degli interessi in gioco, onde privilegiare i valori costituzionali a
scapito della “libertà sindacale” – perché conforme ad una interpretazione
adeguatrice delle disposizioni normative in vigore. Osservò, tuttavia, che, da una
parte, non poteva costituire una risposta soddisfacente la nomina di un difensore
d’ufficio all’esito del bilanciamento, se non altro per le criticità derivanti
dall’eventuale adesione anche del sostituto all’astensione di categoria. Da
un’altra parte, la legge n. 146 del 1990, pur finalizzata a garantire i servizi
pubblici essenziali ed i beni fondamentali della persona ad essi sottesi, ometteva
di disciplinare «situazioni che – al pari dello sciopero – possono determinare
lesioni non rimediabili a detti beni»: il che poneva un problema «non più
eludibile di legittimità costituzionale della legge», in quanto, per disciplinare le
astensioni dei difensori, non poteva procedersi ad un’interpretazione estensiva o
analogica dei meccanismi ivi previsti per l’astensione dal lavoro dei lavoratori
subordinati (personale di cancelleria ecc.). Secondo la Corte, quindi, era
necessaria una più ampia disciplina, idonea a regolare anche le astensioni
collettive non qualificabili come esercizio del diritto di sciopero, quanto meno in
relazione alla necessità di un congruo preavviso e di un ragionevole limite di
durata («peraltro già previsti da codici di autoregolamentazione recentemente
adottati da vari organismi professionali che, tuttavia, non hanno efficacia
generale»), nonché all’individuazione delle prestazioni essenziali da eseguire
durante l’astensione e delle misure in caso di inosservanza. Sulla base di queste
considerazioni, la sentenza n. 171 del 1996 dichiarò l’illegittimità costituzionale
dell’art. 2, commi 1 e 5, della legge n. 146 del 1990 «nella parte in cui non
prevede, nel caso dell’astensione collettiva dall’attività giudiziaria degli avvocati
e dei procuratori legali, l’obbligo di un congruo preavviso e di un ragionevole
limite temporale dell’astensione e non prevede altresì gli strumenti idonei a
individuare e assicurare le prestazioni essenziali, nonché le procedure e le
misure consequenziali nell’ipotesi di inosservanza».

normativa, da una parte della giurisprudenza di legittimità – e consistente nel

3. Tralasciando le altre implicazioni dogmatiche e pratiche di tale sentenza sia per la sua natura di additiva di principio, sia per la collocazione
dell’astensione nell’ambito della libertà di associazione, sia per l’inquadramento
dello sciopero come

species

di un più ampio

genus

cui ricondurre le

manifestazioni del conflitto collettivo, sia per le ricadute dei principi affermati
all’interno del processo penale – rileva qui ricordare l’influenza da essa avuta, da
un lato, sull’attività della Commissione di garanzia per l’attuazione della legge
sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, istituita in forza dell’art. 12 della
legge n. 146 del 1990, e, da un altro lato, sul legislatore ordinario.

amministrative indipendenti), a seguito della sentenza n. 171 del 1996 operò,
per così dire, una svolta in senso “interventista” (a volte vivacemente contestata
dagli organismi rappresentativi dell’avvocatura), considerando ormai il fenomeno
delle astensioni forensi come rientrante nel campo di applicazione della legge n.
146 del 1990 ed esercitando quindi, in attesa di un intervento legislativo, i poteri
che tale legge le attribuiva per disciplinare le astensioni collettive riconducibili
allo sciopero, se esercitate nel settore dei servizi pubblici essenziali. Si sono
quindi succedute, tra il 1996 ed il 2000, una serie di delibere (che qui è
superfluo ricordare) di invito a revocare astensioni collettive ritenute illegittime
e, soprattutto, di valutazione negativa di astensioni attuate in contrasto con la
legge e la sentenza costituzionale (specie per mancato rispetto del termine di
preavviso, o per eccessiva durata dell’astensione o per mancata garanzia sulle
udienze con imputati detenuti). Inoltre la Commissione, esercitando anche nei
confronti degli avvocati il potere, previsto dall’art. 13 della legge, di valutazione
sulla «idoneità dei codici di autoregolamentazione deliberati dagli organismi di
categoria», espresse parere negativo su quelli adottati dall’Organismo unitario
dell’avvocatura (delibera 11 luglio 1996) e dall’Unione delle Camere penali
(delibera 12 giugno 1997), per la mancanza di predeterminazione della durata
dell’astensione, di un adeguato impianto sanzionatorio, di meccanismi idonei ad
impedire l’uso strumentale dell’astensione per far decorrere i termini di
prescrizione e di custodia cautelare.
Le iniziative della Commissione furono spesso accompagnate da vivaci
reazioni negative degli organismi rappresentativi dell’avvocatura, come l’iniziale
negazione della competenza della Commissione da parte del Consiglio Nazionale
Forense (delibera 21 giugno 1996) e l’inserimento, all’interno di uno dei codici di
autoregolamentazione, poi ritenuti inidonei, della previsione di una commissione
ad hoc per la vigilanza sulle astensioni di categoria. La situazione, già di per sé
problematica, era aggravata dalla sostanziale inapplicabilità di gran parte delle
disposizioni della legge n. 146 del 1990, chiaramente “modellate” sulle

13

3.1. La Commissione di garanzia (ricondotta generalmente tra le autorità

astensioni dei lavoratori subordinati (soprattutto in ordine alle procedure di
individuazione delle prestazioni indispensabili ed all’apparato sanzionatorio).
3.2. Il legislatore ordinario intervenne finalmente con la legge 11 aprile
2000, n. 83, che introdusse sostanziali modifiche ed integrazioni alla legge n.
146 del 1990, nella direzione indicata dalla Corte costituzionale.
Fra le altre, sono di fondamentale importanza le disposizioni contenute nel
nuovo art.

2-bis della legge n. 146, il quale dispone, innanzitutto, che

l’astensione collettiva dalle prestazioni dei lavoratori autonomi, professionisti o
piccoli imprenditori, a fini di protesta o di rivendicazione di categoria, è

all’art. 1 della legge – «nel rispetto di misure dirette a consentire l’erogazione
delle prestazioni indispensabili» di cui al medesimo art. 1. Si tratta delle
prestazioni che – come accade per l’esercizio del diritto di sciopero (art. 2) devono essere individuate allo scopo di contemperare l’astensione con il
godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati e, quindi, di
assicurare, in caso di conflitto collettivo, l’effettività dei diritti medesimi «nel loro
contenuto essenziale» (cfr. art. 1, comma 2).
A tal fine, l’art. 2-bis prevede che la Commissione di garanzia promuove
l’adozione, da parte degli organismi di rappresentanza delle categorie
interessate, «di codici di autoregolamentazione che realizzino, in caso di
astensione collettiva, il contemperamento con i diritti» di cui all’art. 1: qualora
poi tali codici manchino, o non siano valutati dalla Commissione idonei a
garantire le predette finalità, la Commissione «delibera la provvisoria
regolamentazione», sentite le parti interessate. L’ultima parte del comma 1
dell’art. 2-bis, quindi, da un lato, individua il contenuto minimo dei codici di
autoregolamentazione (termine di preavviso non inferiore a dieci giorni,
indicazione della durata e delle motivazioni dell’astensione collettiva), che
devono comunque assicurare, in ogni caso, un livello di prestazioni compatibili
con le finalità predette; dall’altro lato, delinea un sistema di sanzioni pecuniarie,
a carico delle organizzazioni di categoria in solido con i singoli professionisti e
lavoratori autonomi, per la violazione dei codici di autoregolamentazione (con un
rinvio al successivo art. 4). Infine, in via transitoria, il comma 2 prevede che la
Commissione di garanzia deliberi la provvisoria regolamentazione (anche)
nell’ipotesi di mancata adozione dei codici di autoregolamentazione, decorsi sei
mesi dall’entrata in vigore della legge.
In questo modo, il contemperamento tra gli interessi di rilevanza
costituzionale in gioco e l’individuazione delle prestazioni indispensabili da
assicurare in ogni caso nei servizi pubblici essenziali, durante le astensioni dal
lavoro non riconducibili allo sciopero, viene rimessa dalla legge in primo luogo al

14

í

esercitata – se incidente sulla funzionalità dei servizi pubblici essenziali di cui

codice di autoregolamentazione predisposto dagli organismi rappresentativi di
categoria, il quale, peraltro, deve non solo contenere necessariamente
disposizioni sul preavviso minimo di dieci giorni e sulla durata, ma deve anche
assicurare, «in ogni caso», un livello di prestazioni compatibili con la finalità
della legge. Questa idoneità allo scopo è oggetto di una specifica valutazione da
parte della Commissione di garanzia: in caso di ritenuta inidoneità, ovvero di
mancata predisposizione del codice, la legge demanda alla Commissione il
compito di disciplinare la materia con una «regolamentazione provvisoria».
Si è notato che, in questo modo, la legge n. 83 del 2000 ha armonizzato la

essenziali. Infatti, nello sciopero dei lavoratori subordinati, l’individuazione delle
prestazioni indispensabili è rimessa “in prima battuta” a disposizioni adottate in
sede di contrattazione collettiva (accordi tra le imprese erogatrici e le
organizzazioni sindacali rappresentative dei lavoratori), che peraltro devono
anch’esse ottenere una valutazione di idoneità da parte della Commissione di
garanzia, la quale, anche in questo caso, è tenuta ad adottare una
«regolamentazione provvisoria» in caso di inidoneità o mancanza degli accordi.
Nel caso di astensione degli avvocati (o di altri professionisti o lavoratori
autonomi) manca il rapporto bilaterale datore di lavoro-lavoratore, che inerisce
profondamente allo sciopero in senso proprio, e quindi manca una controparte
specifica con la quale siglare un accordo bilaterale, venendo piuttosto in rilievo
una figura “terza” – perché del tutto estranea al conflitto che porta l’avvocato ad
astenersi – quale quella dell’utente del servizio. In questo tipo di astensione,
pertanto, la funzione assolta dai contratti collettivi per il lavoro subordinato,
viene svolta dai codici di autoregolamentazione

4. Nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della legge
n. 83 del 2000 non cessarono le marcate contrapposizioni tra Commissione di
garanzia e gli organismi di rappresentanza delle categorie forensi. La
Commissione dichiarò inidonea anche una nuova versione, lievemente
modificata, del codice di autoregolamentazione già presentato dai predetti
organismi nel 1997. Questi ultimi preferirono non interloquire sulla proposta di
individuazione delle prestazioni indispensabili formulata dalla Commissione:
proposta che, ai sensi dell’art. 13, lett.

a), della novellata legge n. 146,

costituisce l’avvio del procedimento di formazione della regolamentazione
provvisoria demandata alla Commissione nell’ipotesi in cui il codice di
autoregolamentazione manchi o sia ritenuto inidoneo.
Finalmente, con deliberazione del 4 luglio 2002, pubblicata sulla G.U. del 23
luglio 2002, la Commissione adottò la regolamentazione provvisoria

15

disciplina delle varie tipologie di astensioni dal lavoro nei servizi pubblici

dell’astensione collettiva degli avvocati dall’attività giudiziaria. Pur trattandosi di
disposizioni ormai superate dalla successiva entrata in vigore del codice varato
dagli organismi di categoria e ritenuto idoneo dalla Commissione, può essere
interessante ricordare due profili di quella disciplina. In particolare, l’art. 2,
comma 2 (sul punto poi profondamente modificato dal vigente codice di
autoregolamentazione), stabiliva che, nel procedimento penale, il difensore che
non intendeva aderire all’astensione era tenuto a comunicare prontamente tale
sua decisione all’autorità giudiziaria procedente e agli altri difensori costituiti:
ponendo quindi una sorta di “presunzione di adesione” in contrasto con

aderente all’astensione un preciso onere di pronta comunicazione al giudice
procedente (v., ad es., Sez. 1, n. 936 del 16/02/1998, Natale, Rv. 209900,
secondo cui occorreva anche che il difensore fosse presente in udienza per
evitare oneri di avvisi). L’art. 2, comma 4, invece, escludeva l’operatività di tale
presunzione «per le udienze che possono celebrarsi anche in assenza del
difensore»; il che presupponeva evidentemente la possibilità di astenersi anche
nelle udienze camerali, ponendosi quindi in contrasto con un orientamento
giurisprudenziale all’epoca consolidato, che negava l’ammissibilità
dell’astensione nelle udienze a partecipazione non necessaria.

5. La disciplina delle astensioni collettive degli avvocati passò finalmente
alla fase “fisiologica” con la delibera del 13 dicembre 2007, pubblicata sulla G.U.
del 4 gennaio 2008, con la quale la Commissione di garanzia valutò idoneo il
codice di autoregolamentazione adottato dagli organismi rappresentativi della
categoria, allegato alla delibera stessa.
La motivazione della delibera appare significativa, sia per le indicazioni sulla
complessità del cammino percorso per superare la regolamentazione provvisoria,
sia soprattutto per la valutazione compiuta dalla Commissione sui pareri
(obbligatori, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 146, ma non vincolanti) formulati
dalle associazioni degli utenti e dei consumatori. In particolare, l’Assoutenti
aveva segnalato l’opportunità di prevedere nel codice – in linea con quanto
affermato da alcune decisioni della Corte di cassazione (cfr., ad es., Sez. 1, n.
10955 del 10/06/1999, Volpe, Rv. 214371; Sez. 1, n. 936 del 16/02/1998,
Natale, Rv. 209900, cit.) – un obbligo per l’avvocato di comunicare al cliente, in
via diretta e preventiva, la propria adesione all’astensione. Il suggerimento fu
però disatteso dalla Commissione per la ragione che la questione avrebbe potuto
trovare più adeguata soluzione nell’ambito delle norme deontologiche, essendo
relativa «al rapporto fiduciario che intercorre tra professionista e cliente».
La Commissione fondò la valutazione positiva del codice di

quell’orientamento giurisprudenziale che invece faceva gravare sul difensore

autoregolamentazione sull’avvenuto rispetto degli obblighi di legge in tema di
preavviso e di idonea comunicazione (l’astensione deve essere comunicata
almeno 10 giorni prima al presidente della corte di appello e ai dirigenti degli
uffici giudiziari interessati, nonché al Ministro della Giustizia, alla Commissione
di garanzia, ecc.: art. 2, comma 1); in tema di determinazione della durata
massima e di previsione di intervalli temporali tra un’astensione e l’altra
(l’astensione non può superare gli otto giorni consecutivi, né più astensioni
possono andare oltre gli otto giorni in un mese solare, ferma la necessità di un
intervallo di almeno quindici giorni tra l’una e l’altra: art. 2, comma 4); ed in

civili, amministrativi e tributari durante l’astensione (artt. 4, 5 e 6).
Di particolare importanza, in questa sede, è l’art. 4, relativo alle prestazioni
indispensabili in materia penale, il quale, da un lato (lett.

a), dispone che

l’astensione non è consentita quanto all’assistenza al compimento di atti di
perquisizione e sequestro, alle udienze di convalida dell’arresto e del fermo ed a
quelle afferenti misure cautelari, agli interrogatori di garanzia, all’incidente
probatorio (ad eccezione dei casi in cui non si vetta in ipotesi di urgenza), al
giudizio direttissimo, al compimento di atti urgenti ex art. 467 cod. proc. pen.,
«nonché ai procedimenti e processi concernenti reati la cui prescrizione maturi
durante il periodo di astensione, ovvero, se pendenti nella fase delle indagini
preliminari, entro trecentosessanta giorni, se pendenti in grado di merito, entro
centottanta giorni, se pendenti nel giudizio di legittimità, entro novanta giorni»;
dall’altro lato (lett. b) , l’art. 4 esclude l’astensione nei procedimenti o processi
con imputati «in stato di custodia cautelare o di detenzione, ove l’imputato
chieda espressamente, analogamente a quanto previsto dall’art. 420-ter, comma
5 (introdotto dalla legge n. 479/1999) del codice di procedura penale, che si
proceda malgrado l’astensione del difensore. In tal caso il difensore di fiducia o
di ufficio, non può legittimamente astenersi ed ha l’obbligo di assicurare la
propria prestazione professionale».
Altrettanto rilevante è l’art. 3, sugli «effetti dell’astensione», il quale
innanzitutto (comma 1) prevede una modalità alternativa di comunicazione
all’autorità procedente dell’adesione all’astensione: in particolare, la mancata
comparizione dell’avvocato – per poter essere considerata in adesione ad una
legittima astensione collettiva «e dunque considerata legittimo impedimento del
difensore» – deve essere dichiarata (personalmente o tramite sostituto) all’inizio
dell’udienza o dell’atto di indagine preliminare, oppure comunicata almeno due
giorni prima della data stabilita «con atto scritto trasmesso o depositato nella
cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero, oltreché agli altri
avvocati costituiti». Ove tali formalità siano rispettate, «l’astensione costituisce

17

tema di individuazione delle prestazioni indispensabili nei procedimenti penali,

legittimo impedimento anche qualora avvocati del medesimo procedimento non
abbiano aderito all’astensione stessa. La presente disposizione si applica a tutti i
soggetti del procedimento, ivi compresi i difensori della persona offesa, ancorché
non costituita parte civile» (art. 3, comma 2). Il comma 3 prevede poi che «nel
caso in cui sia possibile la separazione o lo stralcio per le parti assistite da un
legale che non intende aderire all’astensione, questi, conformemente alle regole
deontologiche, deve farsi carico di avvisare gli altri colleghi interessati
all’udienza o all’atto di indagine preliminare quanto prima, e comunque almeno
due giorni prima della data stabilita, ed è tenuto a non compiere atti

conclusivamente, che il diritto di astensione può essere esercitato in ogni stato e
grado del procedimento, sia dal difensore di fiducia sia da quello d’ufficio.

6. Anche dopo l’entrata in vigore, con la sua pubblicazione sulla G.U. del 4
gennaio 2008, del codice di autoregolamentazione del 2007, rimasero aperte
diverse questioni, tra cui quella della natura giuridica dell’astensione, la cui
soluzione peraltro è stata notevolmente influenzata dalle implicazioni con il tema
della prescrizione del reato.
6.1. Si è già ricordato che, all’indomani dell’entrata in vigore del “codice
Vassalli”, la giurisprudenza di legittimità si era per lo più orientata a ricondurre
l’astensione degli avvocati nell’alveo del legittimo impedimento previsto
dall’allora vigente art. 486, comma 5, cod. proc. pen., talora avvertendo la
necessità di operare un bilanciamento tra l’interesse difensivo all’astensione e
l’interesse pubblico alla immediata trattazione del processo, con particolare
riferimento al maturare della prescrizione per effetto dei rinvii conseguenti
all’astensione. Questo orientamento venne ribadito anche dopo la sentenza n.
171 del 1996 della Corte costituzionale, la quale aveva ritenuto necessario, in
mancanza di una disciplina normativa, un contemperamento giudiziale tra gli
opposti interessi. Nella giurisprudenza di legittimità, quindi, si affermò il
principio che «se l’astensione dalle udienze in adesione allo sciopero proclamato
dalle organizzazioni della categoria professionale rientra tra le cause di legittimo
impedimento del difensore, il giudice è sempre tenuto tuttavia ad operare un
bilanciamento fra l’interesse difensivo e l’interesse pubblico alla immediata
trattazione del processo, e deve affermare la prevalenza dell’uno o dell’altro
tenendo conto delle situazioni contingenti, quali l’esistenza di imminenti cause
estintive, l’esaurimento prossimo dei termini di fase della custodia cautelare e
simili» (cfr. Sez. 2, n. 3795 del 03/02/1997, Quintini, Rv. 207558; Sez. 1, n.
5740 del 14/10/1997, Ancler, Rv. 208925).
D’altra parte, ancor prima di queste decisioni, il legislatore – intervenendo

18

pregiudizievoli per le altre parti in causa». Il comma 4 dell’art. 3 chiarisce,

esplicitamente (come si legge nella relazione al disegno di legge) al fine di
rimediare alla «incongruenza del computo dei periodi di astensione dalle udienze
dei difensori nei termini di prescrizione del reato e di custodia cautelare», come
“segnalato” dalla sentenza n. 114 del 1994 della Corte costituzionale – con la
legge 8 agosto 1995, n. 332, modificò l’art. 159 cod. pen. inserendo, tra le cause
di sospensione della prescrizione, anche l’ipotesi in cui la sospensione dei termini
di custodia cautelare fosse stata imposta da una particolare disposizione di legge
(con un implicito richiamo, quindi, alla mancata comparizione del difensore presa
in considerazione dall’art. 304 cod. proc. pen.). Tuttavia, secondo l’orientamento

prescrizione introdotta nel 1995, imperniata sulla sospensione dei termini di
custodia di cui all’art. 304 cod. proc. pen., doveva ritenersi operante soltanto nei
procedimenti con detenuti (cfr., ad es., Sez. 3, n. 10205 del 19/06/1998,
Auricchio, Rv. 211863; Sez. 5, n. 12643 del 16/1/2001, Lavecchia, Rv. 218344).
Il che spiega il persistere dell’indirizzo giurisprudenziale volto a bilanciare il
«legittimo impedimento da astensione» con l’interesse pubblico alla immediata
trattazione di un processo prossimo a prescriversi.
6.2. Questo orientamento fu abbandonato solo a seguito dell’intervento delle
Sezioni Unite, che affermarono il diverso principio che la sospensione o il rinvio
del dibattimento per impedimento dell’imputato o del difensore, o su loro
richiesta (salvo che quest’ultima sia stata determinata da esigenze di
acquisizione della prova o di beneficiare di termini a difesa) determina
comunque la sospensione della prescrizione, anche se l’imputato non sia
sottoposto a misura cautelare (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002,
Cremonese, Rv. 220509). In sostanza, in questa sentenza, l’astensione continua
ad essere considerata come un legittimo impedimento, ma viene al contempo
ricondotta tra le fattispecie determinanti la sospensione della prescrizione,
ricorrendo un’ipotesi di sospensione del procedimento penale imposta da una
particolare disposizione di legge. Nella medesima prospettiva, altre pronunce
successivamente ribadirono la sospensione della prescrizione nei casi di cui
all’art. 304 cod. proc. pen. anche in assenza di misure cautelari, continuando
però a qualificare – “quasi in forma tralatizia”, come rilevato dalla dottrina l’astensione come legittimo impedimento: cfr. Sez. 6, n. 24603 del 03/04/2003,
Cuozzo, Rv. 226008; Sez. 3, n. 16022 del 05/03/2004, Granata, Rv. 228968.
Quest’ultima decisione, peraltro, affermò anche un altro importante principio
(Rv. 228969) – poi ripreso da numerosissime pronunce successive – sulla durata
della sospensione del corso della prescrizione, sostenendo che tale sospensione,
se «collegata al rinvio od alla sospensione del dibattimento disposti nei casi
previsti dalla legge, va commisurata alla effettiva durata del rinvio dell’udienza

19

4

giurisprudenziale all’epoca dominante, la nuova causa di sospensione della

disposto dal giudice: quindi nel caso di impedimento a comparire del difensore,
motivato dall’adesione all’astensione dalle udienze proclamata dalla categoria,
l’effetto sospensivo deve essere determinato non in base alla durata dello
sciopero, ma al tempo resosi di conseguenza necessario per gli adempimenti
tecnici imprescindibili per garantire il recupero dell’ordinario corso della giustizia,
atteso che tutte le parti processuali condividono con il giudice che dispone il
rinvio la responsabilità dell’ordinato andamento del processo, nel corretto
bilanciamento tra garanzia dei diritti di difesa e funzionalità del processo
penale».

modifica dell’art. 159 cod. pen., ad opera della legge 5 dicembre 2005, n. 251. Il
primo comma, n. 3, del vigente art. 159 individua, tra le cause di sospensione
della prescrizione, le ipotesi della sospensione del procedimento o del processo
per ragioni di impedimento (delle parti o dei difensori) e le ipotesi di sospensione
del procedimento o del processo su richiesta (dell’imputato o del difensore),
differenziando peraltro nettamente i due casi: solo nel primo (sospensione per
impedimento), infatti, la sospensione della prescrizione opera nel limite di
sessanta giorni dal termine dell’impedimento. E’ così divenuto di centrale
rilevanza, agli effetti del calcolo della prescrizione del reato, stabilire se la causa
di rinvio del procedimento o del processo è dovuta ad un “impedimento” ovvero
ad una “richiesta” del difensore.
A seguito di questo ulteriore mutamento normativo, si è venuta
progressivamente affermando la tesi che nega radicalmente che l’astensione del
difensore dalle udienze sia riconducibile nell’ambito del legittimo impedimento,
essendo del tutto libera la scelta del difensore di aderire o meno all’astensione
proclamata dagli organismi di categoria. Si osserva che se è vero che
l’astensione ha ormai ricevuto una chiara copertura costituzionale nell’ambito
della libertà di associazione, è anche vero che si tratta pur sempre di una
opzione di natura volontaria, rimessa alle valutazioni soggettive del difensore e
basata su criteri di opportunità di fatto. Si è quindi in presenza di una situazione
del tutto diversa da quella della “assoluta impossibilità” di comparire o,
comunque, di partecipare all’udienza che, a norma degli artt. 420-ter, comma 5,
e 484, comma

2-bis,

cod. proc. pen., definisce la figura del “legittimo

impedimento” del difensore quale causa di rinvio della udienza e di conseguente
sospensione del processo.
Anche se non sono mancate in dottrina opinioni contrarie (nel senso che
l’assolutezza dell’impedimento dovrebbe essere intesa non in termini letterali,
«bensì come impossibilità per il difensore di comparire in udienza senza patire
l’irrimediabile lesione di un proprio, concorrente diritto costituzionalmente

20

6.3. I termini della questione cambiarono necessariamente con l’ulteriore

garantito»), questo indirizzo, volto ad escludere che l’astensione dalle udienze
possa essere ricondotta nell’alveo del legittimo impedimento, appare ormai del
tutto consolidato nella giurisprudenza di legittimità. Se prima della sentenza
costituzionale n. 171 del 1996 alcune pronunce contrarie al legittimo
impedimento tendevano talora a considerare la “libera scelta del difensore” come
un abbandono di difesa giustificato come esercizio di un diritto
costituzionalmente garantito (cfr. Sez. 1, n. 2646 del 26/04/1996, Di Paolo, Rv.
205175), la giurisprudenza successiva ha seguito l’inquadramento operato dalla
Corte costituzionale nell’ambito della libertà di associazione. L’orientamento

dell’astensione dei difensori nell’ambito delle regole e dei limiti fissati
«direttamente dal legislatore o dalle fonti ed istituzioni alle quali la legge
rinvia», ed osserva che il rispetto di queste regole e questi limiti determinerà
l’accoglimento della richiesta del difensore di differimento dell’udienza, ma in tal
caso «la ragione del rinvio sarà pur sempre l’esercizio di un diritto di libertà, che
è cosa del tutto diversa dal rinvio determinato da un impedimento»; con la
conseguenza che si verterà nella seconda ipotesi prevista dall’art. 159, n. 3, cod.
pen. Ossia, l’adesione all’astensione costituisce un legittimo motivo per chiedere
ed ottenere di non trattare il processo, ma non costituisce un impedimento a
comparire, sicché il giudice non è tenuto a differire l’udienza entro i sessanta
giorni e l’intero periodo di rinvio andrà considerato ai fini della sospensione della
prescrizione (in questo senso, Sez. 2, n. 20574 del 12/02/2008, Rosano, Rv.
239890; Sez. 5, n. 44924 del 14/11/2007, Marras, Rv. 237914; Sez. 5, n.
33335 del 23/04/2008, Inserra, Rv. 241387; Sez. 1, n. 25714 del 17/06/2008,
Arena, Rv. 240460; Sez. 5, n. 18071 del 08/02/2010, Placentino, Rv. 247142;
Sez. 4, n. 10621 del 29/01/2013, M., Rv. 256067). Alcune decisioni hanno
fondato questa soluzione anche richiamando l’art. 4 del vigente codice di
autoregolamentazione – il quale vieta l’astensione qualora l’imputato si trovi in
stato di custodia cautelare o di detenzione e «chieda espressamente,
analogamente a quanto previsto dall’art. 420-ter cod. proc. pen., comma 5, che
si proceda malgrado l’astensione del difensore» – osservando che in questo
modo il legislatore secondario sembra aver considerato l’astensione dalle
udienze come non riconducibile ad un legittimo impedimento a comparire
poiché, diversamente, il richiamo all’art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen.,
sarebbe stato superfluo (v. Sez. 5, n. 21963 del 07/05/2008, Del Duca, n. m.;
Sez. 2, n. 44391 del 29/10/2008, Palumbo, n. m.).
Peraltro, l’astensione del difensore non comporta la sospensione della
prescrizione qualora si sia in presenza di più fatti idonei a legittimare il rinvio
dell’udienza, perché in tal caso «occorre dare la prevalenza al fatto non

21

ormai consolidato, quindi, parte dal riconoscimento della piena legittimazione

dipendente dall’imputato o dal suo difensore» (Sez. 2, n. 41027 del 20/10/2011,
Tarantino, n.m., in un caso in cui il difetto di notifica al coimputato impediva la
trattazione del processo cumulativo; Sez. 2, n. 11559 del 09/02/2011, De
Rinaldis, Rv. 249909, in un caso di rinvio del dibattimento per la contemporanea
adesione del difensore e del giudice all’astensione indetta dalle rispettive
categorie).
E’ stato da molti osservato che tale consolidato orientamento
giurisprudenziale ha ormai completamente “sterilizzato”, agli effetti del calcolo
della prescrizione, il decorso del tempo decorrente dal giorno dell’udienza

divieto di astensione nei processi prossimi a prescriversi, nelle varie articolazioni
di cui all’art. 4 del codice di autoregolamentazione, possa apparire in qualche
modo “superato” e non più sorretto dalla originaria giustificazione. La questione
esula dall’oggetto del presente giudizio, nel quale appare invece interessante
ricordare che nella recente giurisprudenza di questa Corte sono stati frequenti i
casi di rigetto di richieste di rinvio per astensione in riferimento a reati il cui
termine di prescrizione maturava entro 90 giorni, fondati sul rilievo che il divieto
è imposto da una norma di diritto oggettivo tuttora vigente (art. 4 del codice di
autoregolamentazione), della quale non sono stati ritenuti sussistenti i
presupposti per la disapplicazione: cfr., ad es., Sez. 3, n. 7620 del 28/01/2010,
Settecase, Rv. 246197; Sez. 6, n. 39238 del 12/07/2013, Cartia, Rv. 256336.
Quest’ultima pronuncia non solo richiama esplicitamente la “natura
regolamentare” dell’art. 4 citato, ma afferma che la disciplina speciale del codice
di autoregolamentazione prevale sulla disciplina codicistica dell’art. 159, comma
primo, n. 3, cod. pen., sia perché posta dalla fonte competente a «costituire il
limite originario della legittimità dell’esercizio del diritto all’astensione collettiva
degli avvocati dalle udienze», e sia comunque perché «l’autolimitazione, rispetto
alla disciplina codicistica della prescrizione, risponde a specifiche scelte della
categoria professionale perfettamente adeguate, e quindi congrue, ai principi
costituzionali in materia di giustizia, primo tra tutti quello della ragionevole
durata del processo», sicché non sarebbe ipotizzabile una disapplicazione della
norma secondaria. Opinione questa non pienamente collimante con quanto
sostenuto dalla Giunta dell’Unione Camere Penali Italiane in una nota del 7
giugno 2012 inviata alla Commissione di garanzia, nella quale, preso atto del
“diritto vivente”, si esprime la necessità di riformare il vigente codice di
autoregolamentazione sia quanto alla qualificazione di “legittimo impedimento”
ivi conferita all’astensione, sia quanto ai divieti di astenersi nei processi prossimi
alla prescrizione, trattandosi di un’autolinnitazione che «non ha oggi più alcuna
ragione giustificatrice».

22

rinviata per astensione al giorno dell’udienza successiva. Ciò comporta che il

7. Venendo ora più specificamente all’esame delle questioni sottoposte alle
Sezioni Unite, va preliminarmente ricordato che il rispetto dei presupposti fissati
dal codice di autoregolamentazione «costituisce la “precondizione” per la
sussistenza del diritto che si afferma voler esercitare» (cfr. Sez. 6, n. 39238 del
12/07/2013, Cartia, Rv. 256336, cit.). In particolare, l’art. 3 del vigente codice
prevede specifiche modalità di presentazione della dichiarazione di astensione, il
cui rispetto è necessario, affinché la mancata comparizione sia considerata in
adesione all’astensione (e quindi, stando al codice, «legittimo impedimento»).

o tramite sostituto) all’inizio dell’udienza o dell’atto di indagine preliminare»,
oppure, in alternativa, deve essere «comunicata prima con atto trasmesso o
depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero
oltreché agli altri avvocati costituiti, almeno due giorni prima della data
stabilita».
In questo processo l’avv. Giacomo Lattanzio, difensore dell’imputato
Agostino Lattanzio, comunicò al Tribunale di Ferrara la propria dichiarazione di
adesione all’astensione indetta dall’Unione delle Camere Penali facendola
pervenire alla cancelleria del giudice procedente a mezzo telefax, con
contestuale richiesta di rinvio. Occorre pertanto valutare la ritualità di questa
presentazione, dal momento che la giurisprudenza non è pacifica
sull’ammissibilità di una presentazione via fax di un’istanza di rinvio per
astensione. Alcune sentenze si sono pronunciate nel senso dell’inammissibilità,
perché la trasmissione via fax di tale istanza non costituisce una forma valida di
comunicazione ai sensi dell’art. 121 cod. proc. pen., in quanto non garantirebbe
la verifica dell’autenticità della sua provenienza (Sez. 1, n. 3138 del
20/01/1998, Monti, n. m.; Sez. 1, n. 6528 del 11/05/1998, Sileno, Rv. 210711);
altre, nel senso diametralmente opposto dell’ammissibilità di una comunicazione
via fax, non richiedendo tale comunicazione forme particolari (Sez. 2, n. 28141
del 06/05/2004, Paolini, Rv. 229718).
Sull’analoga questione dell’utilizzo del telefax, da parte del difensore, per la
comunicazione di richieste di rinvio per impedimento dovuto a concomitanti
impegni professionali, sono rinvenibili attualmente, nella giurisprudenza di
legittimità, tre diversi orientamenti. Un primo indirizzo esclude l’ammissibilità
dell’istanza di rinvio inviata via fax, perché l’art. 121 cod. proc. pen. stabilisce
l’obbligo per le parti di presentare le memorie e le richieste rivolte al giudice
mediante deposito in cancelleria, mentre il ricorso al telefax è riservato ai
funzionari di cancelleria ai sensi dell’art. 150 cod. proc. pen (in tal senso, Sez. 5,
n. 46954 del 14/10/2009, Giosuè, Rv. 245397; Sez. 4, n. 21602 del

23

L’astensione, difatti, come già ricordato, deve essere «dichiarata (personalmente

23/01/2003, Giuliano, Rv. 256498; Sez. 6, n. 28244 del 30/01/2013, Baglieri,
Rv. 256894; Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, Vacante, Rv. 258443, che
ribadisce il principio anche con riferimento all’invio di istanze tramite posta
elettronica certificata). In senso contrario, si è invece affermato che è viziata da
nullità assoluta, insanabile e rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del
processo, la sentenza emessa senza che il giudice si sia pronunciato sull’istanza
di rinvio per legittimo impedimento a comparire, trasmessa via fax, atteso che
tale modalità di trasmissione deve ritenersi consentita alla luce dell’evoluzione
del sistema di comunicazioni e notifiche, non ostandovi il dato letterale dell’art.

l’impedimento sia «prontamente comunicato», senza indicare le modalità (cfr.
Sez. 3, n. 11268 del 06/11/1996, D’Andrea, Rv. 207030; Sez. 5, n. 32964 del
24/04/2008, Pezza, Rv. 241167; Sez. 3, n. 10637 del 20/01/2010, Barilà, Rv.
246338; Sez. 5, n. 43514 del 16/11/2010, Graci, Rv. 249280; Sez. 5, n. 21987
del 16/01/2012, Balasco, Rv. 252954). In un senso in parte diverso, si è
affermato che l’istanza inviata a mezzo fax non è inammissibile o irricevibile, ma
la sua mancata delibazione non comporta alcuna violazione del diritto di difesa,
«in quanto la scelta di un mezzo tecnico non autorizzato per il deposito espone il
difensore al rischio dell’intempestività con cui l’atto stesso può pervenire a
conoscenza del destinatario», sicché la parte ha l’onere di accertarsi del regolare
arrivo del fax e del suo tempestivo inoltro al giudice procedente (Sez. 3, n. 9162
del 29/10/2009, dep. 2010, Goldin, Rv. 246207; Sez. 2, n. 9030 del
05/11/2013, dep. 2014, Stucchi, Rv. 258526).
Nel caso in esame, trattandosi di istanza di rinvio per adesione del difensore
all’astensione di categoria, deve trovare applicazione – in base ai criteri di
specialità e di competenza – la norma posta dalla fonte speciale e competente a
regolare la specifica materia, ossia, attualmente, dall’art. 3 del vigente codice di
autoregolamentazione, il quale prevede che l’atto contenente la dichiarazione di
astensione sia «trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella
segreteria del pubblico ministero». Appare evidente che con questa locuzione la
norma abbia esplicitamente previsto, oltre al tradizionale deposito, anche la
trasmissione nella cancelleria o segreteria con qualsiasi mezzo tecnico idoneo quale normalmente il telefax – ad assicurare la provenienza della comunicazione
dal difensore e l’arrivo della stessa nella cancelleria o nella segreteria.
D’altra parte – anche a prescindere da tale specifica norma – questa
soluzione appare imposta non solo da una interpretazione letterale (perché non è
previsto il rispetto di formalità particolari, potendo la comunicazione e il deposito
avvenire con qualsiasi mezzo e forma, mentre quando siano richieste forme
vincolate, il legislatore lo ha previsto espressamente, come per l’art. 162 cod.

420-ter, comma 5, cod. proc. pen., il quale si limita a richiedere che

proc. pen.: cfr. Sez. 3, n. 10637 del 20/01/2010, Barillà, cit.), ma anche da una
interpretazione adeguatrice (perché maggiormente conforme ai principi
costituzionali del diritto di difesa e del contraddittorio), e comunque da una
interpretazione sistematica meno legata a risalenti schemi formalistici e più
rispondente alla evoluzione del sistema delle comunicazioni e notifiche (cfr. art.
148, comma 2-bis, cod. proc. pen.; art. 4 d.l. 29 dicembre 2009, n. 193,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24) nonché alle
esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole
durata del processo. E’ altresì significativa l’evoluzione delle forme di

previste nel processo civile, pur se ritenute non estensibili al processo penale
(Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, Vacante, Rv. 258443).
Del resto, quanto alla esigenza di autenticità della provenienza e della
ricezione di questa forma di comunicazione, le Sezioni Unite hanno già rilevato a proposito dell’art. 148, comma 2-bis, cod. proc. pen. – che il telefax è «uno
strumento tecnico che dà assicurazioni in ordine alla ricezione dell’atto da parte
del destinatario, attestata dallo stesso apparecchio di trasmissione mediante il
cosiddetto “OK” o altro simbolo equivalente» (Sez. U, n. 28451 del 28/04/2011,
Pedicone, Rv. 250121), specificando anche che «la mancata individuazione, in
sede normativa, dei mezzi tecnici idonei ad assicurare la effettiva conoscenza
dell’atto […] è evidentemente legata all’esigenza di non rendere necessario il
continuo aggiornamento legislativo degli strumenti utilizzabili, né in qualche
modo obbligatorio il loro utilizzo, tenuto conto della evoluzione scientifica e
dell’effettivo grado di diffusione di nuovi mezzi tecnici di trasmissione». Inoltre,
le indicazioni automaticamente impresse sul documento ricevuto dall’ufficio sono
idonee ad assicurare l’autenticità della provenienza dal difensore (peraltro
facilmente controllabile dall’ufficio in caso di dubbio); e la norma vigente
consente che la dichiarazione sia fatta anche tramite sostituto, senza speciali
formalità.
Quanto alla paventata possibilità che il difensore invii indiscriminatamente e
subdolamente istanze di rinvio a mezzo fax ad un qualsiasi numero di fax
dell’ufficio procedente (Sez. 2, n. 9030 del 05/11/2013, dep. 2014, Stucchi,
cit.), è sufficiente osservare – a parte ogni altra considerazione – che dall’art. 3
del vigente codice di autoregolamentazione deriva la regola – del resto da
ritenersi implicita nel sistema anche senza la presenza di questa disposizione che la trasmissione a mezzo fax della dichiarazione di astensione, per essere
valida ed efficace, va fatta ad un numero di fax della cancelleria del giudice o
della segreteria del pubblico ministero procedenti, e non a qualsiasi numero di
fax dell’ufficio giudiziario.

25

comunicazione e notificazione (anche a mezzo di posta elettronica certificata)

Il medesimo art. 3 poi dispone che la dichiarazione di astensione, se non
effettuata, personalmente o tramite sostituto, all’inizio dell’udienza o dell’atto
preliminare, va depositata o trasmessa almeno due giorni prima della data
stabilita, il che sembra escludere – per questo tipo di richiesta di rinvio – la
preoccupazione – emergente da molte delle decisioni dianzi citate – che il fax
pervenga all’ultimo momento, senza che vi sia il tempo per portarlo alla
conoscenza del giudice.
Alla luce della norma speciale attualmente in vigore, pertanto, la
dichiarazione del difensore di astensione fatta pervenire a mezzo fax alla

Alla medesima conclusione peraltro deve pervenirsi anche nel caso di specie,
in cui, riguardando la dichiarazione di astensione l’udienza del 5 luglio 2007, era
applicabile, ratione temporis,

non la suddetta norma del vigente codice di

autoregolamentazione, ma l’art. 3, comma 2, della regolamentazione provvisoria
adottata dalla Commissione di garanzia il 4 luglio 2002 e pubblicata sulla G.U.
del 23 luglio 2002, il quale, al contrario della disciplina attuale, disponeva che
«nell’ambito del procedimento penale,

il difensore che non intenda aderire

all’astensione proclamata, deve comunicare prontamente tale sua decisione
all’autorità procedente ed agli altri difensori costituiti». Come si è già ricordato,
la normativa secondaria vigente all’epoca poneva una sorta di presunzione di
adesione alla protesta di categoria e non imponeva alcun onere di comunicazione
al difensore che vi aderisse. Nella specie, pertanto, sarebbe stata sufficiente la
sola mancata presenza del difensore all’udienza (in mancanza di previa sua
contraria comunicazione). L’avv. Lattanzio, peraltro, comunicò ugualmente la
sua volontà di aderire all’astensione con fax pervenuto alla Cancelleria del
Tribunale il giorno prima dell’udienza ed esaminato dal giudice. Correttamente,
quindi, il Tribunale ha ritenuto ammissibile l’istanza di rinvio e l’ha esaminata nel
merito.
E’ appena il caso di rilevare che la soluzione non muterebbe nemmeno
qualora, per una qualche ragione, si volesse ritenere non applicabile nella specie
il suddetto art. 3, comma 2, della regolamentazione provvisoria. In tal caso si
dovrebbe invero applicare per analogia l’art. 420-ter cod. proc. pen., il quale
richiede che il legittimo impedimento a comparire sia «prontamente
comunicato»; e, per le considerazioni dianzi svolte, deve preferirsi
l’interpretazione secondo cui tale comunicazione, per la quale non sono previste
speciali formalità, possa avvenire anche mediante telefax pervenuto nella
cancelleria del giudice procedente. Nella specie, poi, il Tribunale di Ferrara ha
ritenuto che la comunicazione, effettuata il giorno prima dell’udienza, fosse
comunque tempestiva, tanto che l’ha esaminata nel merito.

26

cancelleria del giudice procedente, deve ritenersi ricevibile ed ammissibile.

8. Giurisprudenza e dottrina sono state (e, in parte, ancora sono) divise
sulla natura giuridica ed il fondamento costituzionale da riconoscere
all’astensione forense (e, in genere, all’astensione di altre categorie di prestatori
d’opera autonomi).
Anche dopo le modifiche introdotte con la legge n. 83 del 2000, la legge
sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali distingue nettamente, da un punto di
vista letterale, il “diritto di sciopero” dei lavoratori subordinati dalla “astensione
collettiva” dei lavoratori autonomi, professionisti, piccoli imprenditori, pur

pubblici essenziali, con la conseguente necessità di contemperamento con i diritti
della persona costituzionalmente garantiti, al fine di assicurarne il godimento
almeno nel loro contenuto essenziale. Secondo l’opinione prevalente, pertanto, il
tenore testuale dell’art.

2-bis non consentirebbe di ricondurre il fenomeno

nell’alveo del diritto di sciopero.
Si è ricordato che la sentenza n. 171 del 1996 della Corte costituzionale
affermò che le astensioni collettive dal lavoro «volte a difendere interessi di
categoria, non soltanto economici, e a garantire un corretto esercizio della libera
professione» rientrano in «un’area, connessa alla libertà di associazione, che è
oggetto di salvaguardia costituzionale ed è significativamente più estesa rispetto
allo sciopero». Secondo tale sentenza, pertanto, se è vero che «l’astensione
forense da ogni attività defensionale non può configurarsi come diritto di
sciopero e non ricade sotto la specifica protezione dell’art. 40», è anche vero che
essa costituisce «manifestazione incisiva della dinamica associativa volta alla
tutela di quella forma di lavoro autonomo» e, come tale, «non può essere ridotta
a mera facoltà di rilievo costituzionale», ma ricade nel «favor libertatis, il quale
ispira la prima parte della Costituzione e si pone come fondamentale criterio
regolatore di tale ambito di rapporti, garantendo la libertà di ogni formazione
sociale e postulando, nel contempo, la concorrente tutela degli altri valori di
rango costituzionale».
Dopo questa sentenza alcune opinioni dottrinali, facendo leva anche sulla
lettera della novellata legge sullo sciopero, hanno qualificato l’astensione forense
non come un diritto, ma come una mera libertà nei confronti dello Stato,
riconducibile appunto alla libertà di associazione di cui all’art. 18 Cost. (con la
conseguenza, per alcuni, che il suo esercizio escluderebbe solo l’addebito sotto il
profilo penalistico, ma non l’azione di inadempimento).
Nell’ambito di questo filone interpretativo sembrerebbe porsi anche un
orientamento giurisprudenziale secondo il quale dovrebbe distinguersi tra il
“diritto di sciopero”, specificamente tutelato dall’art. 40 Cost., ed una mera

considerando anche quest’ultima tra le situazioni in grado di incidere sui servizi

”libertà di astensione”, riconducibile al diverso ambito del diritto di associazione
di cui all’art. 18 Cost., con la conseguenza che il giudice avrebbe, nel singolo
processo, il potere di bilanciare i valori e gli interessi in conflitto e quindi «di far
recedere la “libertà sindacale” di fronte a valori costituzionali primari» (in questo
senso, a quanto sembra, Sez. 2, n. 22353 del 19/04/2013, Di Giorgio, Rv.
255937; Sez. 2, n. 46686 del 06/12/2011, Bencivenga, n. m.; Sez. 2, n. 18613
del 16/04/2010, Baù, n. m.).
Si tratta però di una opinione non condivisibile, dovendo preferirsi
l’interpretazione, del resto ormai assolutamente prevalente in dottrina, secondo

diritto, con la conseguente esclusione di ogni illecito, qualora esso venga
esercitato nel rispetto delle disposizioni della legge e dei codici di
autoregolamentazione. Si è infatti esattamente osservato in dottrina che l’intera
operazione di contemperamento tra alcune manifestazioni di conflitto collettivo
ed alcuni diritti costituzionalmente tutelati, realizzata dalla legge n. 146 del
1990, si fonda su un necessario presupposto logico e giuridico, costituto dal
riconoscimento dell’astensione collettiva come esercizio di un vero e proprio
diritto, e non di una mera libertà. Il legislatore in tanto ha potuto contemperare
l’esercizio di determinate astensioni collettive dalle prestazioni dei lavoratori
autonomi, professionisti e piccoli imprenditori con un catalogo di diritti
costituzionalmente garantiti della persona, in quanto ha ritenuto che anche le
prime configurino situazioni giuridiche comparabili con i secondi. In sostanza,
l’impianto della legge n. 146 del 1990, ed in particolare l’art. 2-bis, si basa sulla
premessa del riconoscimento di un diritto costituzionalmente garantito di
astensione collettiva dal lavoro per tutti i soggetti compresi nel suo campo di
applicazione, in quanto, senza questa implicita ammissione del comune rilievo
quali diritti di rango costituzionale, l’operazione di contemperamento tra
contrapposte situazioni giuridiche non avrebbe potuto essere realizzata. In
particolare, non sarebbe stato possibile, senza un comune radicamento
costituzionale, inserire manifestazioni di conflitto collettivo, diverse dallo
sciopero di cui all’art. 40 Cost., in una legge che, proprio per consentire il
contemporaneo esercizio di diritti per certi aspetti inconciliabili, ma
insopprimibili, impone il principio del loro reciproco contemperamento. Anzi, si è
espresso il dubbio sulla legittimità costituzionale di una disciplina che
prevedesse che uno dei termini del contemperamento potesse essere privo di
riferimento costituzionale.
Vero è che le opinioni non sono tutte concordi nella individuazione dello
specifico principio costituzionale che funge da base al diritto di astensione.
Secondo l’opinione di gran lunga più diffusa, che si richiama anche

28

cui anche l’astensione dei lavoratori autonomi deve essere qualificata come

all’interpretazione seguita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 171 del
1996, il fondamento costituzionale dell’astensione risiederebbe nella garanzia
della libertà di associazione di cui all’art. 18 Cost., sicché l’adesione
all’astensione costituirebbe esercizio di facoltà insite nel diritto costituzionale di
libera associazione. E’ questa, del resto, l’interpretazione seguita dalla
assolutamente prevalente giurisprudenza di legittimità.
Questa opinione, peraltro, non è andata esente da rilievi da una parte della
dottrina costituzionalistica, che ha lamentato una utilizzazione anomala della
libertà di associazione ed un profondo mutamento sul piano ermeneutico dei

ricordando che l’essenza dell’associarsi è cosa diversa dall’agire secondo i
dettami dell’associazione e che restano fuori dell’ambito della garanzia
costituzionale i comportamenti posti in essere dagli associati, anche se funzionali
al raggiungimento dei fini sociali.
Da una parte, sia pure minoritaria, della dottrina si sono pertanto continuate
a prospettare opinioni diverse sul riferimento costituzionale del diritto di
astensione, quale quella secondo cui, nonostante il tenore letterale della novella
legislativa, anche i lavoratori autonomi e gli altri soggetti di cui all’art.

2 bis

sarebbero divenuti titolari del diritto di sciopero di cui all’art. 40 Cost.; o quella
secondo cui il riferimento andrebbe ricercato, per le varie categorie professionali,
nell’art. 39 Cost., inteso non come dichiarazione di mera libertà sindacale, ma
come affermazione integrale della libertà di azione sindacale; o quella secondo
cui, almeno per alcune fra le eterogenee figure di lavoratori autonomi
contemplate dall’art.

2 bis,

dovrebbe aversi riguardo alla libertà,

costituzionalmente garantita, di iniziativa economica privata di cui all’art. 41
Cost. (con il divieto di svolgerla in modo da recar danno alla sicurezza, alla
libertà ed alla dignità umana).
Quel che rileva ai fini del quesito qui esaminato è peraltro la qualificazione
dell’astensione forense non già come una mera libertà, bensì come esercizio di
un vero e proprio diritto avente un sicuro fondamento costituzionale: soluzione
questa che – per le ragioni dianzi esplicitate – deve mantenersi ferma
quand’anche non si volesse – contrariamente alla assolutamente prevalente
giurisprudenza della Corte di cassazione – ravvisare tale fondamento nell’art. 18
Cost. ma (anche) in diversi principi costituzionali. Va pertanto pienamente
confermato il principio recentemente enunciato dalla sentenza delle Sez. U, n.
26711 del 30/05/2013, Ucciero, Rv. 255346, la quale ha inequivocamente
qualificato l’astensione collettiva dalla attività giudiziaria da parte degli avvocati
come «un diritto, e non semplicemente un legittimo impedimento partecipativo».

confini e dei tratti caratteristici della fattispecie prevista dall’art. 18 Cost.,

9. Strettamente connessa, ed anzi pregiudiziale alla soluzione dello specifico
quesito individuato dall’ordinanza di rimessione, è la questione della natura
giuridica e dell’efficacia (vincolante

erga omnes o meno) del codice di

autoregolamentazione valutato idoneo dalla Commissione di garanzia (e della
regolamentazione provvisoria).
A questo proposito occorre distinguere nettamente il periodo precedente
l’entrata in vigore della legge n. 83 del 2000, dal periodo successivo.
9.1. Nel sistema originario della legge n. 146 del 1990, imperniato sullo
sciopero dei lavoratori subordinati, l’individuazione delle prestazioni

Commissione di garanzia: i codici di autoregolamentazione – pur conosciuti
nell’esperienza anteriore alla legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali venivano presi in considerazione come strumenti meramente “eventuali” dall’art.
2 (vecchio testo) della legge, il quale, demandando ai codici stessi la previsione
delle sanzioni da applicare in caso di violazione, confermava chiaramente la loro
natura ed efficacia meramente endoassociativa.
In particolare, quanto ai codici di autoregolamentazione varati in quel
periodo dagli organismi rappresentativi della categoria forense, l’opinione
consolidata era che essi davano luogo ad un mero impegno unilaterale nei
confronti dell’utenza, utilizzabile dal giudice nell’attività di bilanciamento degli
opposti interessi ovvero in sede disciplinare, con riferimento alla violazione di
regole deontologiche.
Questa tesi, del resto, aveva ricevuto l’avallo dalla sentenza n. 171 del 1996
della Corte costituzionale, la quale aveva espressamente osservato che una
nuova ed adeguata regolamentazione legislativa era «ormai indilazionabile» «anche in riferimento all’astensione collettiva dal lavoro non qualificabile, per
l’assenza dei suoi tratti tipici, come esercizio del diritto di sciopero» e che fosse
finalizzata alla salvaguardia dei principi e valori costituzionali, anche con la
specificazione, da parte del legislatore, delle «prestazioni essenziali da
adempiere durante l’astensione, le procedure e le misure consequenziali
nell’ipotesi di inosservanza» – anche perché i «codici di autoregolamentazione
recentemente adottati da vari organismi professionali […] non hanno efficacia
generale». In tal modo, peraltro, la Corte costituzionale chiaramente sembrava
auspicare che la invocata nuova disciplina legislativa prevedesse che la
regolamentazione delle prestazioni essenziali durante l’astensione dei lavoratori
autonomi fosse posta da fonti di diritto oggettivo, aventi appunto “efficacia
generale”.
Anche la consolidata giurisprudenza di legittimità era nel senso che le
«disposizioni fissate in un codice di autoregolamentazione possono avere

30

indispensabili era rimessa ai (soli) contratti collettivi valutati idonei dalla

efficacia vincolante per la categoria di soggetti che hanno contribuito alla
creazione della fonte normativa, in funzione dello scopo di porsi alcuni limiti
all’esercizio concreto di un fondamentale diritto», ma non sono vincolanti per il
giudice che «rimane soggetto ai vincoli che derivano dall’ordinamento
processuale» (Sez. 5, n. 3047 del 21/01/1999 Nava, Rv. 212952 – richiamata
anche dall’ordinanza di rimessione – la quale però si riferiva appunto al codice di
autoregolamentazione adottato all’epoca dell’Unione delle Camere penali e poi
dichiarato non idoneo dalla Commissione di garanzia e quindi mai entrato in
vigore come fonte di diritto oggettivo).

l’entrata in vigore della legge n. 83 del 2000, ed in particolare a seguito della
emanazione ed entrata in vigore, dapprima, della regolamentazione provvisoria
emanata dalla Commissione e, in seguito, dei codici di autoregolamentazione
“muniti” della valutazione di idoneità, ai sensi del nuovo art. 2-bis della legge n.
146 del 1990.
Tuttavia, nella giurisprudenza di legittimità si sono formati su questo punto
due diversi indirizzi interpretativi. Un primo indirizzo ha continuato, anche di
recente, ad affermare – quasi tralaticiamente, richiamando difatti la
giurisprudenza anteriore alla legge n. 83 del 2000 e la sentenza costituzionale n.
171 del 1996, ossia principi che si riferivano ad un contesto normativo affatto
differente – che il giudice, nel valutare l’accoglibilità di una richiesta di rinvio
dell’udienza per adesione del difensore all’astensione di categoria, «non è legato
dai principi fissati dall’avvocatura per autodisciplinare l’astensione medesima
(Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati
pubblicato in G.U. n. 3 del 4 gennaio 2008), ma deve autonomamente procedere
al bilanciamento degli interessi in gioco in quanto il codice di
autoregolamentazione è un atto che vincola i soli associati» (Sez. 2, n. 22353
del 19/04/2013, Di Giorgio, Rv. 255937, con riferimento, quindi, proprio al
codice di autoregolamentazione attualmente in vigore; conf. Sez. 2, n. 24533 del
29/05/2009, Frediani, Rv. 244785).
Un secondo, più cospicuo e recente indirizzo è quello affermato dalla già
citata sentenza delle Sezioni Unite n. 26711 del 30/05/2013, Ucciero, la quale
ha espressamente osservato che le norme del codice di «Autoregolamentazione
delle astensioni dalle udienze degli avvocati», adottato il 4 aprile 2007 e ritenuto
idoneo dalla Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero
nei servizi essenziali con delibera del 13 dicembre 2007, hanno «valore di
normativa secondaria», e vanno pertanto obbligatoriamente applicate dal
giudice. La sentenza Ucciero – dopo aver richiamato la sentenza costituzionale n.
171 del 1996, e l’inquadramento ivi contenuto dell’astensione forense quale

9.2. La situazione era destinata evidentemente a mutare radicalmente dopo

«manifestazione incisiva della dinamica associativa volta alla tutela di questa
forma di lavoro autonomo», nonché la sua inclusione fra i diritti «di libertà dei
singoli e dei gruppi che ispira l’intera prima parte della Costituzione, e la sua
qualificazione come un vero e proprio «diritto, e non semplicemente un legittimo
impedimento partecipativo» – ha ricordato che proprio «allo scopo di soddisfare
le esigenze di bilanciamento tra le istanze contrapposte additate dalla richiamata
pronuncia della Corte costituzionale, la legge n. 146 del 1990 è stata
appositamente novellata ad opera della legge n. 83 del 2000, con l’introduzione
dell’art. 2-bis che ha appunto previsto, per l’astensione collettiva da parte di

codici di autoregolamentazione destinati a realizzare il contemperamento con i
diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui all’art. 1 della stessa legge,
previa verifica di idoneità da parte della apposita Commissione di garanzia». Ha
quindi ricordato che, sulla base delle nuove disposizioni, il nuovo codice di
autoregolamentazione adottato nel 2007 è stato valutato idoneo dalla
Commissione il 13 dicembre 2007 e quindi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Ha
infine concluso che, in questo quadro di riferimento normativo, «il codice di che
trattasi assume valore di normativa secondaria alla quale occorre conformarsi».
Questo indirizzo è stato poi seguito da numerose pronunce delle sezioni
semplici. Così, la sentenza della Sez. 6, n. 39871 del 12/07/2013, Notarianni,
Rv. 256444, nel rigettare una istanza di rinvio per astensione in un
procedimento di sequestro preventivo, ha ribadito i principi espressi dalla
sentenza Ucciero, stabilendo che il divieto di astenersi nelle udienze «afferenti
misure cautelari», di cui all’art. 4, lett. a), del codice di autoregolamentazione,
deve ritenersi comprensivo anche dei procedimenti relativi a misure cautelari
reali, sulla base di una interpretazione che trovava conferma nella coerenza sul
punto tra la normativa secondaria (più dettagliata) e quella primaria della legge
n. 146 del 1990. Analogamente, la sentenza Sez. 6, n. 51524 del 12/07/2013,
Cartia, Rv. 256336, ha fondato il rigetto di una istanza di rinvio per astensione
sull’art. 4, comma 1, lett. a), del codice di autoregolamentazione, nella parte in
cui non consente l’astensione nei giudizi di legittimità in cui la prescrizione dei
reati vada a maturare nei novanta giorni successivi. La sentenza afferma che
proprio il valore di normativa secondaria, che deve attribuirsi al codice valutato
idoneo, impone di escludere la legittimità della dichiarazione di adesione nei casi
di divieto ivi contemplati, poiché in tali casi la dichiarazione di astensione non
trova “copertura» e si risolve «in una iniziativa individuale, come tale non
rilevante perché inidonea a costituire esercizio del diritto all’astensione collettiva
dalle udienze». La sentenza ha anche osservato che l’ormai avvenuta
“sterilizzazione” del corso della prescrizione per l’intero periodo di differimento

32

lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, l’adozione di appositi

potrebbe indurre a considerare inopportuno il suddetto divieto di astensione, ma
ha ritenuto che tale vigente norma regolamentare non fosse illegittima, e non
andasse quindi disapplicata, essendo peraltro congrua rispetto al principio della
ragionevole durata del processo.
Un richiamo adesivo al principio della sentenza Ucciero sul «valore di
normativa secondaria» riconosciuto al codice di autoregolamentazione, è
contenuto anche in altre più recenti decisioni, che hanno basato sui divieti di cui
all’art. 4 del codice il rigetto di richieste di rinvio formulate sia in udienze
«afferenti misure cautelari» (Sez. 6, n. 39979 del 19/09/2013, Cellamare; Sez.

Puppo; Sez. 6, n. 17 del 18/09/2013, dep. 2014, Q.S., tutte n. m.), sia in
processi per reati destinati a prescriversi entro i successivi novanta giorni (Sez.
2, n. 51412 del 18/09/2013, Verardi, n. m.). Allo stesso modo, la sentenza della
Sez. 2, n. 13227 del 20/02/2014, Colucci, n. m., ha rigettato una richiesta di
rinvio per astensione per il mancato rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 3,
comma 1, lett. b), del codice di autoregolamentazione, in quanto la dichiarazione
di astensione era stata trasmessa in cancelleria fuori dal termine di due giorni
prima della data stabilita e non era stata comunicata agli altri avvocati costituiti,
né vi era comunque dichiarazione impegnativa di avere assolto a tale obbligo
anche con forme diverse da quelle scritte.
Da ultimo, il principio è stato confermato anche dalla sentenza della Sez. 6,
n. 1826 del 24/10/2013, dep. 2014, S., Rv. 258336 – relativa, specificamente,
al diritto di astensione del difensore dalle udienze camerali, in cui la sua
partecipazione non è obbligatoria – la quale ha ribadito il valore di normativa
secondaria del codice in vigore, ricordando che l’attuale assetto delle fonti
normative in materia di rinvio dell’udienza per astensione del difensore prevede
che la stessa trovi appunto la sua regolamentazione nella legge sullo sciopero
nei servizi essenziali e nella suddetta fonte regolatrice di natura sub-legislativa
(la sentenza, in particolare, a differenza di quelle appena richiamate, non ha
fatto riferimento ai divieti ed alle prescrizioni del codice per rigettare istanze di
rinvio, ma ha applicato una norma dello stesso ritenendo che essa
implicitamente consentisse l’astensione in una ipotesi fino ad allora esclusa dalla
giurisprudenza).
9.3. Questa conclusione sembra messa in dubbio dall’ordinanza di
rimessione la quale sostiene che questa normativa primaria e secondaria non
esaurirebbe la regolamentazione della materia, con la conseguenza che
residuerebbe per il giudice un potere di autonoma valutazione in situazioni non
espressamente contemplate dal codice di autoregolamentazione con la possibilità
di bilanciare il diritto all’astensione del difensore con altri diritti

2, n. 47145 del 17/09/2013, Figliuzzi; Sez. 2, n. 38684 del 17/09/2013, Di

costituzionalmente rilevanti. Sembrerebbe che l’ordinanza di rimessione ritenga
anche che, qualora il giudice consideri necessario tale bilanciamento, il vigente
codice di autoregolamentazione non avrebbe nei suoi confronti valore vincolante
con l’ulteriore conseguenza della natura sostanzialmente endoassociativa delle
norme del codice (orientamento questo, ancora di recente sostenuto, fra le altre,
anche dalle citate sentenze Sez. 2, n. 22353 del 19/04/2013, Di Giorgio, e Sez.
2, n. 24533 del 29/05/2009, Frediani).
Ritengono le Sezioni Unite che questa interpretazione debba essere
senz’altro disattesa e che vada invece pienamente confermato il principio, già

astensioni dalle udienze degli avvocati ritenuto idoneo dalla Commissione di
garanzia nel 2007, pubblicato sulla G.U. nel 2008 ed attualmente in vigore (così
come, parimenti, la regolamentazione provvisoria adottata dalla Commissione
nel 2002) contiene una normativa di valore secondario, o regolamentare, che ha
efficacia obbligatoria per tutti i soggetti dell’ordinamento, ed in primo luogo,
quindi, nei confronti del giudice, il quale è tenuto a rispettarla ed applicarla.
Il legislatore primario, dopo aver posto con legge la normativa generale
sulla astensione dal lavoro di lavoratori autonomi, professionisti e piccoli
imprenditori in caso di interferenza con pubblici servizi essenziali, ha previsto
che la normativa secondaria e di dettaglio, di rango regolamentare, sia attribuita
alla competenza di una specifica fonte, appositamente creata (costituita,
appunto, dai codici di autoregolamentazione, adottati dalla categoria
professionale, ritenuti idonei dalla Commissione di garanzia e pubblicati sulla
Gazzetta Ufficiale ovvero, in mancanza degli stessi o della dichiarazione di
idoneità, dalla regolamentazione provvisoria adottata dalla Commissione).
Si tratta dunque di norme poste dalla speciale fonte normativa alla quale le
norme di rango legislativo sulla produzione hanno attribuito la specifica
competenza a porre la disciplina secondaria della materia, e pertanto a tutti gli
effetti di vere e proprie norme che fanno parte del “diritto oggettivo”. In altre
parole, si tratta di norme che rientrano nell’ambito delle norme di “legge” cui si
riferisce l’art. 101, comma secondo, Cost., ed alle quali il giudice, proprio in
forza di tale disposizione costituzionale, è sicuramente “soggetto” (pur essendo
soggetto solo ad esse).
Le norme del vigente codice di autoregolamentazione (come quelle della
regolamentazione provvisoria), del resto, presentano tutte le caratteristiche che,
nel nostro ordinamento, contraddistinguono le norme poste da fonti di diritto
oggettivo. In primo luogo, invero, per esse trova applicazione il principio iura
novit curia, come peraltro è confermato da tutte le sentenze dianzi citate che
hanno applicato d’ufficio le norme del codice per rigettare richieste di rinvio per

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enunciato dalla sentenza Ucciero, che il codice di autoregolamentazione delle

astensione da udienze afferenti misure cautelari o reati destinati a prescriversi
entro i 90 giorni (nonostante l’ormai avvenuta “sterilizzazione” della prescrizione
per l’intero periodo di rinvio). La violazione di dette norme, poi, può costituire
oggetto di ricorso per cassazione per violazione di legge (ai sensi dell’art. 111,
settimo comma, Cost., dell’art. 606, comma 1, lett.

b), cod. proc. pen., e

dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.) e l’eventuale annullamento
andrà appunto pronunciato per violazione di legge, e non per vizio di
motivazione. Inoltre, le disposizioni del codice di autoregolamentazione (e della
regolamentazione provvisoria) vanno sicuramente interpretate secondo i criteri

civile, e non secondo le regole interpretative valevoli per gli atti normativi e gli
accordi collettivi di diritto privato.
Ciò del resto è confermato non solo da tutto il complesso sistema normativo
specificamente creato dal legislatore primario, ma anche dal tenore testuale
della legge n. 83 del 2000. Si è esattamente osservato che nel settore del lavoro
autonomo, in mancanza di altre fonti di disciplina, la generale obbligatorietà dei
codici è la condicio sine qua non perché il meccanismo introdotto dal legislatore
possa dar vita ad una disciplina vincolante per l’intera categoria dei lavoratori
(autonomi, professionisti, piccoli imprenditori) interessati. Tale risultato è stato
raggiunto dalla legge n. 83 del 2000 rendendo operativo anche nei confronti dei
codici di autoregolamentazione valutati idonei dalla Commissione di garanzia
l’obbligo legale di osservanza delle relative prescrizioni. In particolare, questa
operazione legislativa si è incentrata sul disposto dell’art. 2, comma 3, della
legge 146 del 1990, che prescrive a tutti i soggetti coinvolti nello sciopero di
effettuare le prestazioni indispensabili, nonché di rispettare le modalità, le
procedure e le altre misure previste dal comma 2 del medesimo art. 2. L’art. 2,
comma 2, è stato poi espressamente richiamato – ed in tal modo reso applicabile
anche ai lavoratori autonomi ed alle loro associazioni – sia dall’art.

2-bis, che

impone anche a tali soggetti il suo rispetto, sia dall’art. 4, comma 4, secondo
periodo, che sanziona nei loro confronti la sua inosservanza. L’art. 2-bis, infatti,
stabilisce che resta fermo «quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 2», così
operando la detta estensione ai lavoratori autonomi ed alle loro associazioni
dell’obbligo, sancito da questa norma, di effettuare le prestazioni indispensabili e
di rispettare le altre previsioni dell’art. 2, comma 2. Quest’ultima disposizione,
inoltre, contiene un esplicito riferimento ai codici di autoregolamentazione, il che
ha determinato un profondo mutamento della loro efficacia rispetto alla
normativa precedente, nella quale, in mancanza di espliciti richiami, non era
possibile attribuire ai codici di autoregolamentazione del lavoro subordinato una
generale obbligatorietà, che ora invece discende comunque dall’art. 2, comma 3,

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ermeneutici fissati per le leggi dall’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice

e dal suo richiamo all’art. 2, comma 2.
Si è quindi conclusivamente e correttamente sostenuto che la obbligatorietà
generale dei codici di autoregolamentazione deriva dal rinvio, contenuto nell’art.
2-bis della legge n. 146 del 1990, all’art. 2, comma 3, il quale a sua volta
richiama l’art. 2, comma 2, oggi comprensivo anche di un espresso riferimento ai
codici di autoregolamentazione. Questa vincolatività ex lege è poi confermata
dalle misure sanzionatorie che, ai sensi dell’art. 4, comma 4, secondo periodo, si
applicano sia «in caso di violazione dei codici di autoregolamentazione di cui
all’articolo 2-bis», sia «in ogni altro caso di violazione dell’articolo 2, comma 3».
ex lege dei codici, questa

disposizione dell’art. 4 non prevede mere sanzioni endo-sindacali, bensì sanzioni
amministrative pecuniarie, deliberate dalla Commissione di garanzia ed applicate
con ordinanza ingiunzione della Direzione provinciale del lavoro.
L’efficacia erga omnes viene generalmente ammessa dalla dottrina anche
sulla base di considerazioni prettamente sistematiche. Si evidenzia che, nel
sistema normativo, l’art.

2-bis ha il ruolo di norma sulla produzione, e in

particolare di norma sulla fonte secondaria di disciplina delle misure dirette a
consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili di cui all’art. 1 della legge
n. 146 del 1990, mentre i codici di autoregolamentazione assumono appunto il
ruolo di fonte secondaria regolativa delle dette misure, svolgendo la parallela
funzione assolta per il lavoro subordinato dai contratti collettivi. E’ pure vero che
i codici non avrebbero di per sé efficacia erga omnes (come ritenuto dalla
sentenza costituzionale n. 171 del 1996 in riferimento alla precedente
normativa), ma la previsione della delibera di idoneità, coniugata con il nuovo
riconoscimento in capo alla Commissione di garanzia del potere normativo
(espresso dalla provvisoria regolamentazione), permette di ritenere che proprio
la delibera di idoneità attribuisca ai codici efficacia generale. E difatti, se si
prescinde dall’efficacia generalizzata di un codice dichiarato idoneo, più non si
comprende la previsione che, in alternativa ad un codice idoneo, ha rimesso alla
Commissione di garanzia il potere di regolamentazione provvisoria.
L’opinione pacificamente concorde – e che va qui condivisa – è dunque nel
senso che il nuovo assetto normativo consente di riconoscere al codice dichiarato
idoneo (ed alla regolamentazione provvisoria) un ruolo di fonte normativa subprimaria e quindi in grado di porre norme vincolanti per tutti i soggetti
dell’ordinamento e, in primo luogo, per il giudice. Si tratta in particolare di fonte
posta per effetto di uno speciale procedimento diretto specificamente ad
individuare le regole di contemperamento del diritto di astensione con i diritti
costituzionali degli utenti, nel quale è decisiva la finale valutazione di idoneità
della Commissione di garanzia. Si è anche osservato, infine, che il risultato della

36

Del resto, proprio in virtù della vincolatività

generale vincolatività prescinde dall’ampiezza del consenso su cui le fonti
collettive si fondano, dal momento che «il legislatore ha ritenuto di astenersi
dall’introdurre meccanismi di controllo dei conflitti basati sulla selezione dei
soggetti legittimati a definire le regole negoziali o a proclamare gli scioperi».
In conclusione, alle norme poste dalla regolamentazione provvisoria e dal
codice di autoregolamentazione dichiarato idoneo e pubblicato deve riconoscersi
forza e valore di norme di diritto oggettivo di rango secondario o regolamentare.

10. Dopo avere accertato che in capo al difensore è configurabile un vero e

le specifiche norme primarie e secondarie in materia) e non una mera libertà, e
che le norme del codice di autoregolamentazione, dichiarato idoneo e pubblicato
(o quelle della regolamentazione provvisoria) sono norme di diritto oggettivo
vincolanti erga omnes, occorre ora esaminare la questione se, pur dopo l’entrata
in vigore delle suddette fonti secondarie con cui è stato effettuato in via generale
il contemperamento, continui a permanere in capo al giudice un potere di
autonomo bilanciamento degli interessi e dei valori in gioco ed un potere di
rifiutare eventualmente, a seguito di tale valutazione, il rinvio nonostante una
regolare dichiarazione di astensione del difensore ed il rispetto delle norme del
codice di autoregolamentazione.
10.1. Come si è già ricordato, questo potere di bilanciamento del giudice era
generalmente ritenuto sussistente da giurisprudenza e dottrina nella vigenza
della normativa anteriore alla disciplina introdotta dalla legge n. 83 del 2000. Si
riconosceva, infatti, che l’adesione all’astensione poneva un problema – ancor
prima al legislatore che al giudice – di “bilanciamento di interessi”, soprattutto
per il “nodo cruciale” della prescrizione, che all’epoca non aveva ancora trovato
una condivisa e definitiva soluzione giurisprudenziale.
La stessa sentenza costituzionale n. 171 del 1996 aveva affermato che allo stato della normativa all’epoca vigente ed in mancanza della auspicata
specifica regolamentazione normativa, anche mediante codici di
autoregolamentazione – era da privilegiare (anche se non risolveva il problema
per l’eventualità dell’adesione all’astensione dei difensori d’ufficio nominati)
l’interpretazione che riconosceva «al giudice il potere di bilanciare i valori in
conflitto e, conseguentemente, di far recedere la “libertà sindacale” di fronte a
valori costituzionali primari». La sentenza, peraltro, non mancava di sottolineare
che, per la salvaguardia dei valori e principi costituzionali, era indispensabile che
fosse il legislatore ad individuare «anche le prestazioni essenziali da adempiere
durante l’astensione, le procedure e le misure consequenziali nell’ipotesi di
inosservanza», spettando appunto «al legislatore di definire in modo organico le

proprio diritto all’astensione costituzionalmente tutelato (qualora siano rispettate

misure atte a realizzare l’equilibrata tutela dei beni coinvolti».
Negli anni novanta del secolo scorso – non essendosi all’epoca ancora
affermato un orientamento giurisprudenziale volto ad individuare una causa di
sospensione ex lege della prescrizione, in virtù del combinato disposto degli artt.
159 cod. pen. e 304, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. – nella giurisprudenza di
cassazione si faceva frequentemente ricorso al principio del bilanciamento di
interessi, soprattutto per impedire il maturare della prescrizione, «dandosi la
prevalenza a quello dello Stato, diretto ad evitare l’estinzione del reato per
prescrizione, rispetto a quello del difensore dell’imputato, diretto al legittimo

partecipare alle udienze» (v., ad es., Sez. 4, n. 6604 del 17/12/1992,
Montagnoli, Rv. 195252; Sez. 6, n. 2156 del 17/12/1996, dep. 1997, Galletto,
Rv. 207265; Sez. 1, n. 5740 del 14/10/1997, Ancler, Rv. 208925; Sez. 3, n. 466
del 11/03/1999, Savarese, Rv. 213092; Sez. 5, n. 3047 del 21/01/1999 Nava,
Rv. 212952, che ritenne il giudice non vincolato dal parametro temporale della
prescrizione entro 45 giorni successivi all’udienza fissato allora dal codice di
autoregolamentazione dichiarato non idoneo dalla Commissione di garanzia). In
un caso particolare, si ritenne che il rigetto – peraltro anteriore all’entrata in
vigore della legge n. 83 del 2000 – era giustificato dal fatto che era stata già
disposta una udienza della corte di assise in trasferta per l’esame di un teste a
domicilio ai sensi dell’art. 502 cod. proc. pen., in quanto spettava «al giudice
ogni motivata decisione, che tenga conto e bilanci gli interessi in giuoco,
evidentemente costituiti anche da quelli – processuali e logistici – della
giustizia» (Sez. 1, 13/12/2001, dep. 2002, Agate, n. m.).
10.2. Con riferimento a dichiarazioni di astensione formulate dopo l’entrata
in vigore della legge n. 83 del 2000, e durante la vigenza della provvisoria
regolamentazione emanata dalla Commissione di garanzia con delibera del 4
luglio 2002, in un processo in cui il difensore di un imputato libero aveva
dichiarato di aderire all’astensione, mentre i difensori dei coimputati detenuti
avevano sollecitato la trattazione del processo, venne rifiutato il rinvio
richiamando la necessità, sulla scorta dei principi della sentenza costituzionale n.
171 del 1996, di un bilanciamento giudiziale tra l’«esercizio della libertà di
astensione collettiva» e gli altri valori costituzionali, anche in relazione al
principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., che esalta il
rilievo speciale conferito ai processi con imputati in stato di detenzione, dal
momento che è «incomprimibile il diritto dell’imputato detenuto ad una rapida
definizione del processo; diritto che quindi fa aggio sulla libertà degli avvocati di
astenersi collettivamente dalle udienze» (Sez. 3, n. 17269 del 21/03/2007,
Musaj, Rv. 237322). Va però rilevato che questa decisione si fonda, oltre che su

38

esercizio dei diritti personali di libertà, in particolare di quello di astenersi dal

tali considerazioni generali, anche e soprattutto sulla necessità di rispettare l’art.
4, comma 1, lett. b) , della regolamentazione provvisoria, che prevedeva la
celebrazione del processo ove lo richiedesse l’imputato in stato di detenzione
malgrado l’astensione del suo difensore, di fiducia o d’ufficio, «ipotesi questa da
ritenersi comprensiva della richiesta, di analogo contenuto, fatta dal difensore
dell’imputato detenuto». L’affermazione che la mera “libertà” degli avvocati di
astenersi «trova un limite in altri valori costituzionali, fra i quali rientra la
ragionevole durata del processo», è stata poi ripresa da successive decisioni (cfr.
Sez. 2, n. 46686 del 06/12/2011, Bencivenga, n. m., in riferimento ad una

Sempre con riferimento all’epoca di vigenza della fonte secondaria costituita
dalla regolamentazione provvisoria, è stato ritenuto legittimo il rigetto di una
istanza di rinvio per astensione per il motivo che il processo si sarebbe prescritto
entro sei mesi, ipotesi questa non contemplata dalla regolamentazione
provvisoria, e ciò perché (riprendendo testualmente le argomentazioni della
sentenza Nava, che invece si riferiva al codice di autoregolamentazione “ante
riforma” dichiarato non idoneo) il giudice «non è legato ai principi fissati
dall’avvocatura per autodisciplinare l’astensione medesima, ma deve
autonomamente considerare l’interesse a non lasciar prescrivere i reati da
giudicare tenendo conto delle molteplici variabili che condizionano un simile
giudizio» (Sez. 2, n. 24533 del 29/05/2009, Frediani, Rv. 244785).
Anche in altra occasione venne ritenuta irrilevante la «presunzione di
astensione» fissata dall’art. 3 della regolamentazione provvisoria del 2002, per il
motivo che questa disposizione imponeva all’avvocato “non aderente” di
comunicare tale sua decisione per fini organizzativi, ma «nulla invece essa
dispone, né potrebbe disporre, circa la rilevanza che assume la pura e semplice
assenza del difensore, in occasione di astensione collettiva, nei procedimenti
camerali» (Sez. 6, n. 14396 del 19/02/2009, Leoni, Rv. 243263). Questa tesi
della non vincolatività per il giudice di detta disposizione della regolamentazione
provvisoria e della presunzione di astensione ivi fissata, venne ripresa anche da
Sez. 2, n. 10834 del 26/01/2011, Adaggio, n. m., che ritenne «irrilevante la
preventiva comunicazione delle Camere penali al presidente del tribunale, attesa
la natura individuale dell’adesione alla programmata astensione», e ripropose
anche la qualificazione dell’astensione come legittimo impedimento.
10.3. Più di recente, in riferimento ad istanze di rinvio per astensione
formulate nella vigenza dell’attuale codice di autoregolamentazione, in relazione
alla questione del permanere di un potere del giudice di compiere un autonomo
bilanciamento di interessi, possono distinguersi nella giurisprudenza della Corte
di cassazione due diversi indirizzi interpretativi.

9

astensione in una udienza camerale d’appello con rito abbreviato).

Da un lato, invero, alcune decisioni hanno ribadito la necessità per il giudice
di operare un bilanciamento dei contrapposti interessi. In un caso di rigetto, da
parte del giudice del merito, della richiesta di rinvio per adesione all’astensione
del difensore di una imputata non sottoposta a misura detentiva, ma alla sola
misura cautelare coercitiva di cui all’art. 282-ter cod. proc. pen., sono stati di
nuovo richiamati i principi espressi dalla sentenza costituzionale n. 171 del 1996
e si è affermata ancora la necessità di riconoscere al giudice «il potere di
bilanciare i valori in conflitto e, conseguentemente, di far recedere la “libertà
sindacale” di fronte a valori costituzionali primari», ribadendo che il giudice non

22353 del 19/04/2013, Di Giorgio, Rv. 255937). Peraltro, dopo queste
affermazioni, la sentenza osserva che «l’imputata si trovava pur sempre
sottoposta ad una misura coercitiva – sebbene non detentiva – e, quindi,
essendo limitato un suo diritto costituzionalmente protetto (art. 16 Cost.), era
interesse primario lo svolgimento del processo», mentre era irrilevante che l’art.
4 del codice di autoregolamentazione vieti l’astensione nei soli processi con
imputati detenuti, perché correttamente il giudice, nel bilanciare gli interessi in
gioco, aveva dato la prevalenza all’interesse dell’imputata, sottoposta a misura
coercitiva, ad un celere processo, essendo invece irrilevante che l’imputata non
avesse chiesto espressamente di procedere nonostante l’astensione del suo
avvocato, e ciò in quanto «il processo non è una materia disponibile», così come
non sono disponibili i diritti costituzionali inviolabili, quale la libertà di
circolazione.
Sotto un altro profilo si è ritenuto che la dichiarazione di astensione del
difensore della parte civile non legittima il rinvio, in presenza di una contraria
volontà manifestata dal difensore dell’imputato, sebbene l’art. 3, comma 2, del
vigente codice di autoregolamentazione stabilisca che l’astensione costituisce
legittimo impedimento anche qualora avvocati del medesimo procedimento non
abbiano aderito ad essa, specificando che tale disposizione si applica a tutti i
soggetti del procedimento, ivi compresi i difensori della persona offesa, ancorché
non costituita parte civile. Si è invero affermato che questa disposizione (alla
quale viene riconosciuto il valore di normativa secondaria) non può essere
interpretata nel senso della prevalenza della dichiarazione di astensione del
difensore della parte civile sulla contraria volontà espressa, tramite il proprio
difensore, dall’imputato, dovendo invece essere privilegiato l’interesse
dell’imputato ad una celere definizione del procedimento, anche in virtù del
principio della ragionevole durata del processo (Sez. 6, n. 43213 del
12/07/2013, Arangio, Rv. 257205).
A ben vedere, tuttavia, in queste due sentenze l’affermazione del potere del

40

è vincolato dal codice di autoregolamentazione pubblicato in G.U. (Sez. 2, n.

giudice di operare un autonomo bilanciamento di interessi sembra fatto più come
tralaticia ripetizione di formule tratte da sentenze risalenti che come
enunciazione di un principio effettivamente utilizzato per la decisione. In realtà si
è trattato non di bilanciamento tra valori costituzionali confliggenti, ma della
scelta di una interpretazione – fra le varie possibili – estensiva ed adeguatrice (a
norme o principi costituzionali) delle norme secondarie in materia. Così, la
sentenza Arangio ha solo interpretato l’art. 3, comma 2, del codice di
autoregolamentazione – il quale dispone che la regola, secondo cui l’astensione
costituisce legittimo impedimento anche quando gli altri difensori non vi abbiano

ancorché non costituita parte civile – nel senso che però prevale in ogni caso
l’eventuale contraria volontà formalmente espressa dall’imputato di procedere, in
considerazione del suo interesse ad una celere definizione del procedimento.
Analogamente, anche la sentenza De Giorgio, nonostante le non condivisibili (e
superate) affermazioni di principio, ha in realtà interpretato l’art. 4, lett. b), del
codice – che vieta l’astensione nei procedimenti con imputati in stato di custodia
cautelare o di detenzione – nel senso che esso si applichi anche ai casi di
imputati soggetti alla misura coercitiva non detentiva di cui all’art. 282-ter cod.
proc. pen. (peraltro violando poi il medesimo art. 4, il quale richiede, per
escludere l’astensione, che l’imputato detenuto o in stato di custodia cautelare,
chieda espressamente, analogamente a quanto previsto dall’art. 420-ter, comma
5, cod. proc. pen., che si proceda malgrado l’astensione del difensore).
10.4. Altre recenti decisioni, invece, aderiscono ad una diversa impostazione
di principio. Così, già la citata sentenza delle Sezioni Unite Ucciero aveva tenuto
a sottolineare che proprio per soddisfare le esigenze di bilanciamento tra diversi
interessi e valori costituzionali indicati dalla sentenza costituzionale n. 171 del
1996, il legislatore, con la legge n. 83 del 2000, aveva previsto l’adozione di
specifiche fonti di diritto oggettivo, aventi valore di normativa secondaria,
costituite da appositi codici di autoregolamentazione destinati a realizzare il
«contemperamento con i diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui
all’art. 1» della legge n. 146 del 1990, previa verifica di idoneità da parte della
apposita Commissione di garanzia.
Particolare rilievo presenta, anche sotto questo profilo, la già ricordata
sentenza della Sez. 6, n. 1826 del 24/10/2013, dep. 2014, S., la quale, dopo
aver riaffermato il principio che «con la dichiarazione di astensione dalle udienze
il difensore esercita un diritto, che il giudice deve riconoscere, purché il suo
esercizio avvenga nel rispetto della legge» e ribadito la «sussistenza di un vero e
proprio “diritto al rinvio” quale diretta conseguenza dell’esercizio del diritto
costituzionale di libertà di associazione del difensore», ha sottolineato una serie

41

aderito, si applica anche con riferimento ai difensori della persona offesa,

di rilevanti proposizioni – tutte pienamente condivisibili e certamente operanti
nell’attuale sistema normativo – specificando: che se è vero che questo diritto di
libertà deve essere bilanciato con i diritti fondamentali degli altri soggetti
interessati dalla funzione giudiziaria nonché con i principi costituzionali del buon
andamento dell’amministrazione della giustizia, è anche vero che «un tale
bilanciamento risulta oggi effettuato a monte dal legislatore»; che proprio per
soddisfare le esigenze di questo bilanciamento è intervenuto il legislatore,
sollecitato dalla Corte costituzionale, con la legge n. 83 del 2000, prevedendo
anche l’adozione di codici di autoregolamentazione, dichiarati idonei dalla

astensione «resta subordinato ad una serie di regole e limiti, che sono stabiliti
dalla legge, integrata dai codici di autoregolamentazione che siano valutati
conformi alla legge stessa» ed idonei; che «una volta che tali regole risultano
osservate, il giudice non può che accogliere la richiesta di differimento
dell’udienza formulata dal difensore che dichiari di aderire all’astensione
collettiva, a condizione che sia stata proclamata a norma di legge»; che del resto
vi sono altri istituti in grado di assicurare tutela ai principi e ai diritti suscettibili
di essere lesi dagli effetti dell’astensione e dal conseguente diritto al rinvio (dato
che: il rinvio dell’udienza determina la sospensione della prescrizione per l’intero
periodo necessario per gli adempimenti occorrenti per il recupero dello
svolgimento del processo; si esclude il diritto del difensore ad avere la notifica
del provvedimento di differimento; l’astensione rende operante anche la causa di
sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare; il codice di
autoregolamentazione esclude l’astensione nei processi per reati la cui
prescrizione maturi durante il periodo di astensione o nei termini ivi indicati);
che, pertanto, nell’attuale sistema normativo i diritti fondamentali dei soggetti
destinatari della funzione giudiziaria, espressione dei principi e dei valori
costituzionali del buon andamento dell’amministrazione giudiziaria, risultano
fortemente tutelati nella comparazione con la libertà di astensione.
In questo indirizzo, poi, sembra possano farsi rientrare anche le recenti
sentenze dianzi ricordate che hanno rigettato richieste di rinvio per la prossima
prescrizione del reato, applicando senz’altro l’art. 4 del codice vigente e così
implicitamente escludendo che permanga ancora la possibilità di un autonomo
giudizio di bilanciamento, nel quale, stante l’ormai avvenuta sterilizzazione della
prescrizione, avrebbe potuto forse, in qualche caso, trovare prevalenza il diritto
costituzionale all’astensione.
10.5. Quest’ultima linea interpretativa deve senz’altro essere qui condivisa e
confermata. La disciplina normativa della materia relativa alla astensione
collettiva dei difensori è attualmente interamente contenuta in norme di diritto

42

Commissione di garanzia; che pertanto attualmente l’esercizio del diritto di

oggettivo poste da fonti legislative e dalle competenti fonti di livello secondario o
regolamentare, sicché non può residuare spazio (se non in ipotesi veramente
eccezionali ed in limiti molto ristretti) per il riconoscimento di un autonomo
potere giudiziale di bilanciamento dei valori costituzionali in possibile contrasto,
e per ritenere ancora pienamente applicabile il principio – affermato dalla
dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità in un contesto
normativo totalmente diverso, caratterizzato dalla mancanza di disciplina – che
riconosceva al giudice un potere discrezionale di bilanciamento.
Già da tempo, del resto, si era evidenziato che le gravi criticità emerse

giustificato tale potere di bilanciamento attribuito al giudice erano state via via
superate negli anni successivi.
L’elemento decisivo è comunque rappresentato dall’intervento legislativo
costituito dalla legge n. 83 del 2000, e dalla ormai piena operatività del sistema
normativo da questa delineato con la creazione delle fonti secondarie competenti
(codici di autoregolamentazione dichiarati idonei dalla Commissione di garanzia
e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale ovvero regolamentazioni provvisorie). In
questo sistema il contemperamento tra l’astensione collettiva dei lavoratori
autonomi, professionisti, piccoli imprenditori ed il godimento dei diritti
costituzionalmente tutelati degli utenti dei servizi pubblici essenziali è ormai
disciplinato – come per il diritto di sciopero – dalla legge, attraverso
l’individuazione delle prestazioni «indispensabili» (perché idonee ad assicurare
l’effettività del godimento dei diritti «nel loro contenuto essenziale») che devono
essere comunque garantite in ogni caso di conflitto collettivo. Tale individuazione
è rimessa dalla legge alla contrattazione collettiva quanto allo sciopero e ai
codici di autoregolamentazione quanto all’astensione dei lavoratori autonomi, e solo ove questi manchino o siano ritenuti inidonei dalla Commissione di garanzia
– alla regolamentazione provvisoria emanata dalla Commissione stessa.
Dunque, nel sistema attuale – strutturato proprio seguendo le indicazioni
della sentenza costituzionale n. 171 del 1996 – le situazioni che richiedono un
bilanciamento tra i confliggenti diritti costituzionali sono state in via generale
previste dalle norme legislative e secondarie competenti in materia, le quali
hanno già provveduto al bilanciamento. Il che appare appunto conforme alla
suddetta sentenza costituzionale, che aveva auspicato l’intervento del legislatore
anche per l’esigenza che in una materia così delicata, come le agitazioni
sindacali di lavoratori non dipendenti nei servizi pubblici essenziali, le
interferenze ed i conflitti tra i contrapposti valori costituzionali in gioco siano
regolati “a monte” da norme certe, generali ed astratte e non rimesse a mutevoli
valutazioni discrezionali in relazione ai singoli casi concreti.

43

subito dopo l’entrata in vigore del «codice Vassalli» e che avevano determinato e

Così, ad esempio, il bilanciamento con l’esigenza che il servizio essenziale
giustizia non resti paralizzato e con le esigenze organizzative, logistiche e di
buon andamento della amministrazione giudiziaria, è effettuato innanzitutto
dall’art. 2 del codice, il quale dispone che la proclamazione dell’astensione, «con
l’indicazione della specifica motivazione e della sua durata», deve essere
comunicata almeno dieci giorni prima agli uffici giudiziari interessati, al Ministro,
alla Commissione di Garanzia e al Consiglio Nazionale forense; che va fatta
anche comunicazione al pubblico «con modalità tali da determinare il minimo
disagio per i cittadini» e da rendere nota l’iniziativa il più tempestivamente

sessanta giorni; che ciascuna proclamazione deve riguardare un unico periodo di
astensione; che l’astensione non può superare otto giorni consecutivi non festivi;
che in ogni mese solare non può comunque essere superata la durata di otto
giorni; che in ogni caso fra due astensioni successive deve intercorrere un
intervallo di almeno quindici giorni. Queste regole possono essere derogate solo
nel caso in cui l’astensione sia proclamata «in difesa dell’ordine costituzionale, o
di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori»
(art. 2, comma 7, della legge e art. 2, comma 3, del codice).
Il bilanciamento con le esigenze organizzative e logistiche è poi effettuato
anche dall’art. 3, comma 1, del codice, il quale prevede che la mancata
comparizione dell’avvocato all’udienza, o all’atto di indagine, «o a qualsiasi altro
atto o adempimento per il quale sia prevista la sua presenza, ancorché non
obbligatoria», affinché sia considerata in adesione all’astensione regolarmente
proclamata ed effettuata, e dunque considerata legittimo impedimento, deve
essere alternativamente: a) dichiarata personalmente, o tramite sostituto,
all’inizio dell’udienza o dell’atto di indagine preliminare; ovvero b) comunicata
con atto scritto trasmesso o depositato alla cancelleria del giudice o nella
segreteria del pubblico ministero, oltreché agli altri avvocati costituiti, almeno
due giorni prima della data stabilita.
Il medesimo art. 3 provvede anche al bilanciamento con il diritto di difesa e
di azione e con i contrapposti interessi delle altre parti processuali, disponendo,
al comma 2, che la dichiarazione di astensione regolarmente manifestata
costituisce legittimo impedimento anche qualora avvocati del medesimo
procedimento non abbiano aderito all’astensione stessa, e che tale disposizione
si applica a tutti i soggetti del procedimento, ivi compresi i difensori della
persona offesa, ancorché non costituita parte civile; ed, al comma 3, che, nel
caso in cui sia possibile la separazione o lo stralcio per le parti assistite da
difensore che non aderisce all’astensione, questi, conformemente alle regole
deontologiche forensi, deve farsi carico di avvisare gli altri colleghi interessati

44

possibile; che fra proclamazione ed astensione non possono intercorrere più di

all’udienza o all’atto di indagine preliminare quanto prima, e comunque almeno
due giorni prima della data stabilita, ed è tenuto a non compiere atti
pregiudizievoli per le altre parti in causa.
Il bilanciamento con il fondamentale diritto di libertà di indagati ed imputati,
nonché con le esigenze di urgenza, di celerità e di effettività (e ragionevole
durata) del processo, è operato dall’art. 4 del codice che, come già ricordato,
prevede, alla lettera a), che l’astensione non è consentita in relazione agli atti di
perquisizione e sequestro; alle udienze di convalida dell’arresto e del fermo; a
quelle afferenti misure cautelari; agli interrogatori di garanzia di cui all’art. 294

in ipotesi di urgenza, come ad esempio di accertamento peritale complesso; al
giudizio direttissimo; al compimento degli atti urgenti di cui all’art. 467 cod.
proc. pen. (specie con riferimento alle prove non rinviabili); e, alla lettera b),
che l’astensione è esclusa «nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali
l’imputato si trovi in stato di custodia cautelare o di detenzione, ove l’imputato
chieda espressamente, analogamente a quanto previsto dall’art. 420-ter, comma
5, cod. proc. pen., che si proceda malgrado l’astensione del difensore. In tal caso
il difensore di fiducia o d’ufficio, non può legittimamente astenersi ed ha
l’obbligo di assicurare la propria prestazione professionale».
L’interesse fondamentale dello Stato di evitare la prescrizione dei reati (che
aveva determinato in passato la gran parte dei bilanciamenti ad opera del
giudice), è stato ormai contemperato con il diritto all’astensione dall’art. 4, lett.
b), del codice, secondo cui l’astensione non è consentita nei procedimenti e
processi concernenti reati la cui prescrizione maturi durante il periodo di
astensione, ovvero entro 360, 180 o 90 giorni se pendenti rispettivamente nella
fase delle indagini preliminari, o in grado di merito o nel giudizio di legittimità.
Del resto, come già ricordato, questa esigenza è attualmente ampiamente
soddisfatta – a prescindere da tale disposizione – anche dal pacifico
orientamento secondo cui il corso della prescrizione rimane sospeso per l’intero
periodo compreso tra l’udienza rinviata per l’astensione e quella successiva.
Inoltre, in caso di rinvio per astensione in un processo con imputati
sottoposti a custodia cautelare, è anche pacifica l’operatività della sospensione
dei relativi termini, ai sensi dell’art. 304, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. (Sez.
5, n. 3920 del 22/09/1997, Gaglione, Rv. 208826; Sez. 1, n. 1036 del
14/02/2000, Mazzocca, Rv. 215376; nonché, da ultimo, Sez. 1, n. 12697 del
15/01/2008, Schiavone, Rv. 239357, secondo cui la sospensione va
commisurata all’effettiva durata del rinvio disposto dal giudice; Sez. 5, n. 19646
del 19/04/2011, Ambrosino, Rv. 250178, secondo cui non è necessaria
un’esplicita ordinanza dispositiva della sospensione dei termini custodiali).

45

cod. proc. pen.; all’incidente probatorio ad eccezione dei casi in cui non si veda

10.6. Il legislatore, primario e secondario, ha pertanto già posto un sistema
idoneo ad operare esaurientemente il bilanciamento del diritto all’astensione con
gli altri diritti e valori costituzionali primari, nel tempo individuati dalla dottrina e
dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, quali, ad esempio, quelli del
diritto di libertà, del diritto di difesa e di azione, del buon andamento della
amministrazione della giustizia, dell’interesse dello Stato ad evitare la
prescrizione dei reati, nonché quello generale delle “esigenze di giustizia” e della
ragionevole durata del processo (chiaramente ritenuto dal legislatore non idoneo
di per se solo, a giustificare una valutazione discrezionale del giudice e ad

all’astensione).
Il legislatore, quindi, seguendo le indicazioni della Corte costituzionale, ha
voluto superare la fase transitoria – caratterizzata dalla mancanza di una
adeguata disciplina normativa che aveva determinato a volte forti
contrapposizioni ed aveva giustificato l’attribuzione al giudice del potere
discrezionale di bilanciamento tra valori costituzionali – assegnando alle fonti
competenti in materia la funzione di bilanciamento prima provvisoriamente
svolta dal giudice.
Queste considerazioni si basano anche sulla constatazione che il sistema di
bilanciamento individuato dalla legge non è rimasto lettera morta e che,
specialmente dopo l’entrata in vigore del codice di autoregolamentazione del
2007 dichiarato idoneo, esso ha dato buoni risultati, grazie anche alla
circostanza che si è generalmente avuta la presenza di due elementi
fondamentali, e precisamente, da un lato, il senso di responsabilità e di realismo
degli organismi di categoria dell’avvocatura e, dall’altro lato, l’attenta e continua
attività di vigilanza e di intervento della Commissione di garanzia. Non si può
infatti negare che le astensioni degli avvocati possono arrecare notevoli disagi
non solo al funzionamento dell’apparato giudiziario, ma anche ad un grande
numero di utenti e di soggetti terzi. I due suddetti elementi, pertanto, appaiono
veramente indispensabili per il buon funzionamento del delicato sistema di

escludere o limitare l’esercizio del diritto costituzionale del difensore

bilanciamento dei contrapposti valori costituzionali, col conseguente
superamento delle incerte e variabili soluzioni della fase precedente.
Negli ultimi cinque anni, dal 2009 al 2013, la Commissione di garanzia ha
svolto circa una novantina di interventi preventivi di «indicazione immediata»
delle violazioni della normativa vigente, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. d),
della legge n. 146 del 1990. Con questi provvedimenti la Commissione, non
appena ricevuta la delibera di proclamazione dell’astensione delle udienze, ha
indicato «immediatamente» le violazioni delle disposizioni della legge e del
codice di autoregolamentazione relative alla fase precedente all’astensione

46

/(

z

(solitamente riguardanti il preavviso minimo, la durata massima e l’intervallo
minimo tra successive proclamazioni); ed ha invitato l’organismo proclamante, a
seconda dei casi, a revocare immediatamente l’astensione ovvero a differirla,
riformulandola in modo conforme alla normativa.
Circa una ventina di delibere hanno aperto il procedimento diretto a valutare
il comportamento del Consiglio dell’Ordine (nella persona del Presidente), quale
rappresentante degli avvocati, finalizzato all’eventuale irrogazione delle sanzioni
pecuniarie di cui all’art. 4 della legge n. 146 del 1990. Solitamente questi
procedimenti sono stati aperti dopo che le indicazioni immediate offerte con gli
interventi preventivi sono rimaste, in tutto o in parte, prive di riscontro. In molti
casi, a fronte di plurime agitazioni proclamate a breve distanza di tempo dal
medesimo Consiglio dell’Ordine per le quali erano state emesse delibere di
intervento urgente, la Commissione ha poi applicato i principi generali sulla
connessione aprendo quindi un ridotto numero di procedimenti di valutazione del
comportamento.
Vi sono poi state, in quel periodo, sedici delibere di valutazione del
comportamento dell’organismo di categoria che aveva proclamato l’astensione,
le quali, per la larghissima parte, hanno «valutato negativamente» il
comportamento e quindi hanno irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria
ai sensi dell’art. 4, comma 4, della legge n. 146, da adottare poi con ordinanzaingiunzione emessa dalla competente Direzione territoriale del lavoro. Solo in
due casi è stata disposta l’archiviazione del procedimento, ed in un altro caso si
sono ritenuti insussistenti i motivi per giungere ad una valutazione negativa.
Tra le violazioni più spesso sanzionate vi sono state il mancato rispetto degli
obblighi di preavviso e di durata massima. Il punto di maggiore criticità è dato
dal fatto che queste violazioni vengono frequentemente giustificate dagli
organismi che proclamano l’astensione con il richiamo all’art. 2, comma 7, della
legge n. 146 del 1990, il quale prevede che le disposizioni in tema di preavviso e
di durata massima «non si applicano nei casi di astensione dal lavoro in difesa
dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e
della sicurezza dei lavoratori». L’art. 2, comma 3, del codice di
autoregolamentazione ribadisce che le norme in tema di preavviso e di durata
possono non essere rispettate nei soli casi in cui l’astensione è proclamata ai
sensi del citato art. 2, comma 7, I. n. 146 (la disposizione, quindi, è più
restrittiva del previgente art. 2, comma 3, della regolamentazione provvisoria, il
quale parlava di proclamazione «in difesa dell’ordine costituzionale ovvero per
gravi attentati ai diritti fondamentali dei cittadini e alle garanzie essenziali del
processo»). Questa disposizione è stata a volte erroneamente interpretata in
modo eccessivamente esteso da alcuni organismi locali. Nelle delibere di

apertura del procedimento di valutazione del comportamento, fra le motivazioni
alla base dell’astensione, possono leggersi, ad esempio, quelle dell’aggravarsi
della situazione organizzativa del tribunale; o di gravi carenze nell’impianto
elettrico e di prevenzione degli incendi; o della mancanza o insufficiente
funzionamento dell’impianto di climatizzazione; o del decesso di un avvocato per
malore cardiaco in mancanza di un presidio medico presso il tribunale; o delle
precarie condizioni di stabilità dell’edificio o della mancanza dei canoni di
salubrità; o della carenza di organico del personale e dei magistrati e della
proposta del Governo di riforma delle sedi giudiziarie.

preavviso e la durata massima sono state però fino ad ora tutte giustamente
censurate e sanzionate dalla Commissione di garanzia. Nelle delibere di
valutazione negativa è stato ripetutamente affermato che la deroga concerne i
soli scioperi proclamati «allorché siano minacciati i valori fondanti del nostro
sistema di governo democratico e di libertà individuali e collettive», situazione
non configurabile, ad esempio, quando l’astensione intenda denunciare
l’incostituzionalità e il conseguente «grave pregiudizio per i diritti fondamentali
dei cittadini» connessi a progetti di modifica legislativa delle circoscrizioni
giudiziarie, potendo tali doglianze essere fatte valere con gli ordinari rimedi
giurisdizionali. Analoghe considerazioni possono valere per l’ipotesi di agitazioni
(in genere locali) di protesta contro specifici provvedimenti dell’autorità
giudiziaria, contro i quali sono esperibili i normali rimedi giurisdizionali.
Allo stesso modo, si è affermato che la deroga riguarda il caso «di effettiva
verificazione di gravi “eventi lesivi” di danno», che mettano fisicamente a
repentaglio la sicurezza dei lavoratori», sicché la deroga non si estende «alle
situazioni di fatto antecedenti a un evento di danno, nemmeno quando queste
abbiano determinato la generica messa in pericolo della incolumità e della
sicurezza dei lavoratori», situazioni di fatto che non sono sfornite di tutela, o alla
situazione di inadeguatezza della sede del tribunale che si protragga da anni e
non può quindi considerarsi “evento” o “accadimento”, precisando però che la
deroga è invece estensibile, oltre agli eventi di danno, a quelli di pericolo «grave,
attuale e non altrimenti evitabile», idonei ad integrare un vero e proprio “stato di
necessità”, con conseguente “inevitabilità” dell’azione di astensione.
La Commissione ha altresì esattamente messo in rilievo in diverse delibere
che le esimenti di cui all’art. 2, comma 7, della legge n. 146 del 1990
«costituiscono deroghe tassative alle regole ordinarie che disciplinano le
astensioni dal lavoro e, come tali, sono soggette a una stretta interpretazione e
non possono essere derogate da atti di livello inferiore, quali i codici di
autodisciplina o le regolamentazioni provvisorie» (e difatti nel vigente codice di

Queste motivazioni addotte per giustificare il non rispetto delle norme sul

autoregolamentazione non è stata più riprodotta la deroga prevista nella
previgente regolamentazione provvisoria).
In questi casi, e in particolare quando vi sia stato l’intervento preventivo di
“indicazione immediata” da parte della Commissione, non può ritenersi che siano
state rispettate le condizioni per una regolare e valida proclamazione
dell’astensione e, di conseguenza, che sia sorto il diritto costituzionale
dell’avvocato di astenersi. L’art. 3, comma 1, del codice di autoregolamentazione
infatti dispone che, affinché la mancata comparizione dell’avvocato possa essere
considerata legittimo impedimento, deve, tra l’altro, consistere in una «adesione

presenza di un diritto costituzionale per assenza dei suoi presupposti, non vi è
alcuna necessità di bilanciamento con altri diritti costituzionali ed il giudice dovrà
considerare ingiustificata la mancata presenza, salve le sanzioni di competenza
della Commissione.
Nemmeno dovrebbero esservi incertezze e difformità interpretative sulla
sussistenza delle condizioni che giustifichino una deroga perché la Commissione
di garanzia, almeno fino ad oggi, è sempre intervenuta con urgenza (di solito lo
stesso giorno della proclamazione o in quello successivo) emanando il
provvedimento (comunicato a tutti gli uffici giudiziari interessati) con la
“indicazione immediata” delle violazioni alle norme sul preavviso e sulla durata,
con invito a revocare immediatamente l’astensione o a riformularla.
10.7. Alla luce dell’attuale sistema normativo, dunque, appare difficile che
possano residuare diritti o valori costituzionali diversi ed ulteriori rispetto a quelli
considerati dalla legge o dal codice di autoregolamentazione, tali da poter ancora
giustificare l’esercizio di un potere discrezionale del giudice volto a limitare il
diritto costituzionale di libertà del difensore di astenersi.
D’altra parte, se si ritiene che la presenza di uno dei suddetti valori
costituzionali possa continuare a giustificare un bilanciamento giudiziale per
rigettare una richiesta di rinvio nonostante la regolamentazione attuata dalla
fonte secondaria competente, dovrebbe coerentemente ammettersi che il
bilanciamento possa anche portare ad accogliere l’istanza di rinvio in contrasto
con una norma del codice (ad esempio, in un caso di prossima prescrizione,
considerando ormai non più compromesso l’interesse dello Stato), così
determinandosi in pratica il ritorno ad una situazione di incertezza e di variabilità
delle soluzioni concrete che il legislatore del 2000, seguendo l’indicazione della
Corte costituzionale, ha sicuramente voluto superare.
Di conseguenza, deve confermarsi il principio già enunciato dalle più recenti
decisioni dianzi ricordate, secondo cui il difensore ha un diritto
costituzionalmente garantito all’astensione, mentre il giudice ha il compito di

all’astensione regolarmente proclamata ed effettuata». Non essendosi in

accertare che siano rispettati i limiti, le prescrizioni e le modalità fissati dalla
legge n. 146 del 1990 e dal codice di autoregolamentazione dichiarato idoneo
dalla Commissione e pubblicato sulla

G.U.

(o, in mancanza, dalla

regolamentazione provvisoria), ed allorché tale accertamento abbia esito positivo
deve accogliere la richiesta di differimento formulata dal difensore.
Ciò peraltro non significa che al giudice sia totalmente preclusa qualsiasi
valutazione. Il giudice, infatti, deve comunque accertare che l’astensione sia
stata regolarmente proclamata e che la dichiarazione del difensore di adesione
all’astensione e la sua richiesta di rinvio siano conformi alle suddette disposizioni

vero che il sistema delle legge n. 146 del 1990 e dei codici di
autoregolamentazione non prevede espressamente un autonomo potere di
bilanciamento in capo al giudice nel singolo caso, è anche vero che il giudice
ovviamente conserva, come in qualsiasi altra ipotesi, il compito di dare alle
suddette disposizioni normative la corretta interpretazione, anche mediante una
esegesi sistematica o adeguatrice, facendo appunto in modo che il risultato della
interpretazione sia il più possibile conforme ai principi e valori costituzionali di
cui si sta discutendo. In altre parole, questi principi costituzionali potrebbero
essere utilizzati per bilanciare i diversi interessi in modo indiretto, dando alle
disposizioni del codice una interpretazione più conforme ai principi stessi,
sempre però nella misura in cui tale interpretazione adeguatrice non si ponga in
contrasto con lettera della disposizione o con la ratio della soluzione normativa.
E’ questa, ad esempio, la via seguita dalla ricordata sentenza della Sez. 6, n.
39871 del 12/07/2013, Notarianni, che ha interpretato la locuzione “misure
cautelari” contenuta nell’art. 4, lett. a), del codice nel senso che essa comprende
anche le misure cautelari reali.
Certo, in questa sede non potrebbe nemmeno a priori escludersi – in via
ipotetica – che si possano presentare situazioni in cui riemerga il potere di
bilanciamento in capo al giudice, come nell’ipotesi in cui, per una qualche
ragione, venisse meno la vigenza di codici di autoregolamentazione e di
regolamentazioni provvisorie, e si ripresentasse la situazione di carenza
normativa nella quale era intervenuta la sentenza costituzionale n. 171 del
1996. E forse nemmeno potrebbe escludersi che – sempre ipoteticamente – si
verifichino ipotesi eccezionali in cui emergano valori costituzionali che non
possano, nemmeno indirettamente, farsi rientrare tra quelli già presi in
considerazione dalla normativa primaria e secondaria e che potrebbero essere
irrimediabilmente pregiudicati dall’esercizio del diritto di astensione. In questi
casi, potrebbe pensarsi che, in riferimento a tali ulteriori valori, si riproponga
una situazione di mancanza e inadeguatezza normativa considerata dalla

50

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della legge n. 146 del 1990 e del codice di autoregolamentazione. Inoltre, se è

suddetta sentenza costituzionale e che, in passato, aveva giustificato
l’attribuzione al giudice del potere di bilanciamento. Dovrebbe comunque
trattarsi di valori costituzionali che non siano stati tenuti presenti, neppure
indirettamente, dalla fonte secondaria competente al fine di contemperamento, il
che in concreto appare appunto molto difficile, anche perché i casi finora
esaminati dalla giurisprudenza di legittimità appaiono tutti rientrare nell’ambito
dei valori e principi costituzionali per i quali le fonti secondarie hanno già
effettuato il bilanciamento o essere comunque risolvibili, in un modo o nell’altro,
mediante l’interpretazione delle disposizioni di dette fonti. Dovrebbe comunque

quelli per i quali è già normativamente avvenuto il bilanciamento), mentre non
potrebbero ritenersi sufficienti, ad esempio, generiche ragioni di opportunità, o
vaghe “esigenze di giustizia” non contemplate dal codice, o il fine di evitare “il
grave disagio ad un teste chiamato a testimoniare da città lontana” o la lesione
di “interessi logistici della giustizia” nell’ipotesi di udienza in trasferta per
l’esame (che sia ripetibile) di un teste. In queste ipotesi mancherebbe un vero e
proprio valore costituzionale da far prevalere sul diritto costituzionale
all’astensione, e comunque i casi in cui l’astensione non è consentita per la
necessità di assumere un atto o una prova urgenti sono già previsti dall’art. 4 del
codice che richiama l’art. 467 cod. proc. pen., che a sua volta richiama i casi
previsti dall’art. 392. Non potrebbe quindi comunque condividersi la tesi
dell’ordinanza di rimessione che sembra ritenere rilevanti non veri e propri valori
costituzionali ma addirittura semplici disagi o difficoltà del servizio giudiziario o
dei soggetti interessati. Del resto è normale che uno sciopero o una astensione
collettiva che interessi servizi pubblici essenziali possa creare disagi agli utenti
ed intralci all’organizzazione, ma ciò non sarebbe sufficiente ad escludere o
limitare l’esercizio del diritto costituzionale che si svolga nel rispetto delle norme
di diritto oggettivo.

11. In conclusione, vanno affermati i seguenti principi di diritto.
“Il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli
avvocati, dichiarato idoneo dalla Commissione di garanzia per l’attuazione della
legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, con deliberazione del 13
dicembre 2007 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 2008 (così
come la previgente Regolamentazione provvisoria dell’astensione collettiva degli
avvocati dall’attività giudiziaria, adottata dalla Commissione di garanzia con
deliberazione del 4 luglio 2002, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 171 del
23 luglio 2002), costituisce fonte di diritto oggettivo contenente norme aventi
forza e valore di normativa secondaria o regolamentare, vincolanti erga omnes,

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trattarsi di veri e propri ulteriori diritti o valori costituzionali (non riconducibili a

ed alle quali anche il giudice è soggetto in forza dell’art. 101, secondo comma,
Cost.”.
“Il bilanciamento tra il diritto costituzionale dell’avvocato che aderisce
all’astensione dall’attività giudiziaria e i contrapposti diritti e valori costituzionali
dello Stato e dei soggetti interessati al servizio giudiziario, è stato realizzato,
conformemente alle indicazioni della sentenza costituzionale n. 171 del 1996, in
via generale dal legislatore primario con la legge n. 146 del 1990 (come
modificata e integrata dalla legge n. 83 del 2000) e dalle suddette fonti
secondarie alle quali è stata dalla legge attribuita la competenza in materia,
mentre al giudice spetta normalmente il compito di accertare se l’adesione
all’astensione sia avvenuta nel rispetto delle regole fissate dalle competenti
disposizioni primarie e secondarie, previa loro corretta interpretazione”.

12. In questo processo, il difensore aveva comunicato la sua adesione
all’astensione collettiva regolarmente proclamata chiedendo il rinvio dell’udienza
del 5 luglio 2007. Il Tribunale di Ferrara rigettò l’istanza di rinvio per la ragione
che la teste del P.M. aveva affrontato un viaggio da Bari per essere presente in
udienza e che «l’assunzione della testimonianza [appariva] improcrastinabile ai
fini di giustizia, non potendosi costringere la teste a ricomparire in altra udienza
neppure coattivamente, in quanto una tale misura apparirebbe verosimilmente
vessatoria e contraria ai fondamentali diritti delle parti avendo la teste
dimostrato una disponibilità alle esigenze della giustizia che non possono
peraltro essere portate oltre una soglia minima di ragionevolezza». La Corte di
appello, a sua volta, ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di primo
grado sia perché l’art. 4 del codice di autoregolamentazione non era vincolante
per il giudice ma solo per l’avvocatura, sia perché sul diritto di astensione
dovevano prevalere «le esigenze di giustizia, rappresentate dalla necessità di
procedere all’audizione di una teste che aveva affrontato un lungo viaggio da
Bari per essere sentita in dibattimento» e che, se il processo fosse stato rinviato,
avrebbe dovuto affrontare altri due lunghi viaggi.

gr

Va innanzitutto ricordato quanto già dianzi osservato, e cioè che, in
relazione all’epoca in cui è avvenuta la dichiarazione di astensione, non trovava
applicazione il codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione il
13 dicembre 2007 e pubblicato nella

G.U. del 4 gennaio 2008, bensì la

regolamentazione provvisoria adottata dalla Commissione di garanzia il 4 luglio
2002 e pubblicata nella G.U. del 23 luglio 2002. Ciò però non produce in pratica
conseguenze sulla presente decisione, perché, come già rilevato, anche la
regolamentazione provvisoria è una fonte secondaria di diritto oggettivo
contenente norme efficaci erga omnes e vincolanti per il giudice. La disciplina

l’
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posta dalla regolamentazione provvisoria, almeno per gli aspetti rilevanti in
questo processo, era poi identica a quella del successivo codice di
autoregolamentazione dichiarato idoneo. In particolare, era identico il testo
dell’art. 4, lett. a), nella parte in cui esclude il diritto di astenersi nel caso di
«compimento degli atti urgenti di cui all’art. 467 cod. proc. pen.». Ora, l’art. 467
prevede che il presidente, a richiesta di parte, dispone l’assunzione delle prove
non rinviabili nei casi previsti dall’art. 392 cod. proc. pen. Quest’ultimo, per
quanto concerne in particolare la raccolta di deposizioni testimoniali nelle ipotesi
che possono interessare il presente giudizio, prevede «l’assunzione di una

stessa non potrà essere esaminata nel dibattimento per infermità o altro grave
impedimento».
Nella specie, dalle stesse sentenze di merito risulta che non sussistevano le
condizioni per escludere il diritto del difensore all’astensione e disattendere la
richiesta di rinvio, dal momento che non è stato accertato (né motivato) che la
teste non avrebbe potuto più essere esaminata “per infermità o altro grave
impedimento”, ma si è solo ritenuto di dover evitare alla stessa il “grave disagio”
di ritornare da Bari a Ferrara, grave disagio che sicuramente non integra una
situazione di “impedimento”, e tanto meno di “grave impedimento”.
La statuizione del Tribunale (confermata dalla Corte di appello) di rigettare
la richiesta di rinvio è quindi illegittima per violazione di legge, e precisamente
dell’art. 4, comma 1, lett. a), della regolamentazione provvisoria pubblicata nella
G.U. del 23 luglio 2002 e dell’art.

2-bis della legge n. 146 del 1990 e,

conseguentemente, per lesione del diritto del difensore di astenersi e del diritto
di difesa ed al contraddittorio degli imputati. Non essendo stato consentito al
difensore di fiducia di partecipare all’udienza di audizione della teste e di
controinterrogarla, nonostante la sua legittima richiesta di rinvio (attuata in
ottemperanza alle prescrizioni delle norme speciali regolatrici della materia), si è
determinata una nullità assoluta, riconducibile all’art. 178, comma 1, lett. c), e
all’art. 179 cod. proc. pen., rilevabile anche di ufficio in ogni grado e stato del
procedimento.
Va dunque accolto il secondo motivo, restando assorbiti gli altri motivi. Di
conseguenza vanno annullate senza rinvio la sentenza impugnata nonché quella
emessa il 17 aprile 2008 dal Tribunale di Ferrara e va disposta la trasmissione
degli atti al predetto Tribunale di Ferrara per il giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e quella del Tribunale di Ferrara in data 17

53

4

testimonianza di una persona, quando vi è fondato motivo di ritenere che la

aprile 2008 e dispone trasmettersi gli atti al predetto Tribunale per il giudizio.

Così deciso il 14/03/2014.

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