Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4005 del 16/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 4005 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MOTTO FEDERICO N. IL 24/07/1985
avverso la sentenza n. 2801/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
04/11/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI
LOMBARDO;

Data Udienza: 16/12/2014

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE SETTIMA PENALE
proc. n. 8721/2014 R.G.

La Corte Suprema di Cassazione

Ritenuto che Motto Federico ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte
di Appello di cui in epigrafe che, in parziale riforma della pronuncia di primo grado,
lo ha assolto dal delitto di cui all’art. 474 cod. pen. (capo b) perché il fatto non
sussiste, rideterminando la pena nei suoi confronti per il residuo delitto di cui all’art.
648 cod. pen. (capo a);
Atteso che:
– il primo motivo di ricorso (col quale si deduce la erronea applicazione della legge
penale nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta responsabilità
dell’imputato in ordine al delitto di ricettazione, con particolare riferimento alla
sussistenza dell’elemento pscologico del reato) è inammissibile, sia perché la
censura è “aspecifica”, difettando della necessaria correlazione con le ragioni poste
a fondamento del provvedimento impugnato (la Corte territoriale ha bene spiegato
le ragioni della ritenuta responsabilità dell’imputato e diversi elementi da essa
valutati non sono stati considerati dal ricorrente) risolvendosi nella pedissequa
reiterazione della doglianza già dedotta in appello e puntualmente disattesa dalla
Corte di merito, sia perché sottopone alla Corte profili relativi al merito della
valutazione delle prove, che sono insindacabili in sede di legittimità;
– il secondo motivo di ricorso reiterato con i motivi aggiunti (col quale si deduce la
erronea applicazione della legge penale dell’art. 648 cod. pen., sul presupposto che
il fatto debba essere qualificato come l’illecito amministrativo previsto dal D.L. 14
marzo 2005, n. 35, conv. in I. 14 maggio 2005, n. 80) è manifestamente infondato,
in quanto la quantità dei capi oggetto della illecita condotta esclude che l’acquisto
possa essere avvenuto per uso esclusivamente personale (secondo quanto richiesto
dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 22225 del 19/01/2012 Rv.
252453) e che, quindi, l’imputato possa qualificarsi come “acquirente finale” dei
prodotti con marchio contraffatto, ai sensi dell’art. 1 comma 7 del D.L. 14 marzo
2005, n. 35 nel testo attualmente vigente;
Ritenuto che il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i
profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro mille;
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Settima Sezione Penale,
addì 16 dicembre 20 4.

Letto il ricorso ed esaminati gli atti;

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