Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4001 del 09/01/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 4001 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NIRTA SEBASTIANO N. IL 14/05/1968
avverso il decreto n. 121/2001 TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA,
del 10/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. j-. Abz_f25,),..uzALLg
570

QL

r

,

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 09/01/2014

f

IN FATTO E IN DIRITTO
1. In data 10.10.2012 il Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Misure di
Prevenzione, all’esito di udienza camerale, rigettava l’istanza proposta
nell’interesse di Nirta Sebastiano, tesa ad ottenere la dichiarazione di
ineseguibilità della misura di prevenzione personale per violazione del principio di
specialità dell’estradizione.
Ad avviso del Tribunale non potrebbe invocarsi in tema di misure di prevenzione
il principio di specialità della estradizione (previsto all’art. 14 della Convenzione

dall’art. 721 cod.proc.pen) per la particolare natura giuridica delle misure in
questione (richiamando, nei contenuti, Sez. U n. 10281 del 25.10.2007, rv
238657).

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione Nirta
Sebastiano – a mezzo del difensore – deducendo violazione di legge.
Nel ricorso si contesta la ritenuta inapplicabilità del principio di specialità al
settore della prevenzione personale, evidenziando che le limitazioni di libertà
sottese all’esecuzione della misura derivano, in una visione costituzionalmente
orientata, anch’esse da «fatti» e pertanto occore verificare se il fatto per cui è
stata concessa l’estradizione è il medesimo rispetto a quello valutato in sede di
applicazione della misura. Nel caso in esame il fatto sarebbe diverso e pertanto il

Europera di Estradizione ratificata con legge n.300 del 30.1.1963, richiamato

Nirta non potrebbe subire limitazioni di libertà per tale comportamento, da XII
ritenersi anteriore alla consegna.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto la qualificazione del
ricorso in appello, ai sensi dell’art. 568 comma 5 cod.proc.pen. . Ciò perchè la
decisione del Tribunale non sarebbe immediatamente ricorribile per cassazione,
dovendo trovare applicazione la sequenza prevista dall’art.4 legge n.1423 del
’56.

4. Il ricorso va riqualificato in appello, ai sensi dell’art. g68 comma 5 cod. proc.
pen., per le ragioni che seguono.
La decisione impugnata, in tutta evidenza, non è decisione «applicativa» della
misura di prevenzione personale ma può essere equiparata – per analogia di
contenuti – ad una decisione afferente l’esecuzione del provvedimento
applicativo, il cui regime va ritenuto normativamente regolato dall’art. 7 legge
n.1423 del ’56 (attuale art. 11 d.lgs. n.159 del 2011).

2

A ben vedere, con l’istanza proposta il Nirta ha formulato una richiesta di
«verifica» della eseguibilità del titolo (rappresentato dal decreto applicativo della
misura) e ciò in relazione alla pretesa violazione del generale principio di
specialità di cui all’art. 14 Conv. Europea di Estradizione.
La tipologìa di istanza non trova un corrispondente modello legale di riferimento
nello (scarno) tessuto normativo di cui alla legge 1423 del ’56 nè soccorre, sul
punto, il cd. nuovo codice antimafia (d.lgs. n.159 del 2011).
In tale nuovo testo normativo vi è infatti un generico riferimento, quanto al

disposizioni di cui all’art. 666 cod.proc.pen. (art. 7 comma 9 d.lgs. 159) , ma in
realtà tale norma viene richiamata quale modello di riferimento della fase
«cognitiva» del procedimento e non per quanto riguarda la fase esecutiva.
Non può dirsi dunque di per sè richiamata la applicabilità delle norme in tema di
esecuzione contenute nel codice di rito penale anche perchè – con argomento
decisivo – la fase della esecuzione delle misure di prevenzione personali ha
caratteristiche del tutto peculiari, delineate normativamente proprio dall’art. 7
della legge n.1423 del ’56 (attuale art. 11 d.lgs. 159).
L’organo dell’esecuzione è infatti rappresentato dal Questore e il giudice identificato nel Tribunale che ha emanato il provvedimento- interviene su istanza
di parte nei casi indicati dal medesimo art. 7 (attuale 11) e 7 bis (attuale art. 12)
della legge di riferimento.
Da ciò deriva che l’unico modello normativo di intervento esecutivo di tipo
giurisdizionale – quale indubbiamente è quello oggetto dell’istanza, tesa alla
sospensione dell’esecuzione di una misura personale – è rappresentato dal
suddetto articolo 7 della legge n.1423 del ’56, da ritenersi pertanto applicabile al
caso in esame.
Ciò posto, per costante interpretazione resa nella presente sede di legittimità (

ex multis Sez. VI n. 39763 del 27.9.2012, rv 254001 e Sez. V n. 26996 del
26.5.2009, rv 244484) le decisioni assunte dal Tribunale della Prevenzione e
riferibili al suddetto modello di cui all’art. 7 non sono immediatamente ricorribili
per cassazione (lì dove lo sono, per espressa previsione quelle di cui all’art. 7 bis
in tema di autorizzazione all’allontanamento) ma vanno impugnate attraverso il
generale rimedio delineato dall’art. 4 comma 9 legge 1423 del ’56 (attuale art.
10 comma 1) e dunque con ricorso in appello.
La volontà della parte di ottenere – in ogni caso – una rivalutazione del
provvedimento può dar luogo, come evidenzato nell’atto di intervento del
Procuratore Generale presso questa Corte e ferme restando le precisazioni sin
qui operate sulla natura dell’istanza – all’applicazione del principio generale di cui

3

procedimento di primo grado, alla applicabilità (in quanto compatibili) delle

all’art. 568 comma 5 cod. proc.pen., norma tesa ad realizzare la salvaguardia di
tale effetto di rivedibilità.
L’articolo 4 della legge n.1423 del 1956 all’ultimo comma stabilisce infatti che le
impugnazioni avverso i provvedimenti in tema di misure di prevenzione sono
governate dalle norme del codice di rito in tema di impugnazioni avverso
l’applicazione delle misure di sicurezza.
Da ciò l’applicabilità delle «disposizioni generali sulle impugnazioni» così come
previsto dall’art. 680 comma 3 cod. proc. pen., con i soli adattamenti dovuti alla

Il richiamo alle disposizioni generali sulle impugnazioni, dunque, consente di
affermare che trovano pacifica applicazione in tale contesto le norme in tema di
interesse ad impugnare (art. 568 co.4 c.p.p.) trasmissione ex officio del ricorso
proposto a giudice incompetente (art. 568 co.5) estensione del potere di
proporre impugnazione in capo al difensore del proposto all’atto del deposito del
provvedimento (art. 571 co.3 c.p.p.) modello legale dell’atto di impugnazione
con obbligatoria indicazione dei motivi (art. 581 c.p.p.) trasmissione degli atti del
procedimento (art. 590 c.p.p.) inammissibilità della impugnazione (art. 591
c.p.p.) e di condanna alle spese (art. 592 c.p.p.).
Va pertanto disposta – previa riqualificazione del ricorso in appello – la
trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Reggio Calabria.

P.Q.M.
Qualificato il ricorso come appello ai sensi dell’art. 4 legge n.1423 del 1956
dispone la trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Reggio Calabria.

Così deciso il 9 gennaio 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

specificità della normativa prevenzionale.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA