Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 40 del 28/11/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 40 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ARENI RAFFAELE N. IL 19/09/1952
avverso l’ordinanza n. 30/2014 TRIB. LIBERTA’ di LATINA, del
01/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
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Uditi difens e Avv.;

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Data Udienza: 28/11/2014

Ritenuto in fatto
1.A seguito di annullamento con rinvio di precedente provvedimento da
parte della quinta sezione della Corte di Cassazione, disposto con sentenza
del 17/4/2014, con successiva ordinanza in data 1/4/2014 il Tribunale di
Latina, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava l’ordinanza del
17/04/2012, con la quale il G.I.P. del medesimo Tribunale aveva convalidato

euro 306.090,00, riconducibile a Raffaele Areni, in quanto profitto del reato
di bancarotta fraudolenta per distrazione, contestato in relazione al
fallimento della s.r.l. Cargo, dichiarato in data 10/4/2011.
A fondamento della decisione il Tribunale disattendeva l’eccezione
preliminare di sopravvenuta inefficacia del sequestro per il mancato rispetto
del termine di dieci giorni dalla data di ricezione degli atti, entro il quale il
Tribunale avrebbe dovuto pronunciarsi: rilevava che il disposto dei commi 9
e 10 dell’art. 309 cod. proc. pen. non può applicarsi nei casi in cui entro il
termine prescritto intervenga decisione in seguito annullata, ma soltanto se
la decisione sia totalmente omessa. Respingeva altresì l’eccezione
d’inutilizzabilità della consulenza tecnica espletata dall’accusa perché
depositata oltre il termine prorogato delle indagini preliminari, da riferirsi
soltanto all’espletamento delle investigazioni e non al deposito di relazioni di
elaborati riepilogativi quando l’incarico sia stato tempestivamente conferito
prima della scadenza.
Evidenziava quindi, da un lato, la sussistenza del “fumus commissi
delicti” in relazione all’operazione di cessione da ritenersi gratuita del
credito, vantato dalla fallita CARGO s.r.I., amministrata dall’Areni, ad altra
impresa nella titolarità della di lui moglie separata, CREARE s.r.I., che aveva
proseguito la medesima attività con identici oggetto sociale, sede e segni
distintivi della fallita, la cui operatività era cessata sin dalla seconda metà
del 2010 in concomitanza con rilevanti perdite di esercizio; dall’altro, il
concreto pericolo che la libera disponibilità della somma aggravi le
conseguenze del delitto di bancarotta in relazione alle operazioni bancarie
successive alla cessione del credito, finalizzate a disperdere quel valore.
Escludeva, infine, trattarsi di un’ipotesi di sequestro per equivalente, non
consentito in riferimento a fattispecie di bancarotta.
2. Avverso detto provvedimento propongono ricorso per cassazione a
mezzo del difensore l’Areni, il quale ne ha chiesto l’annullamento per i
seguenti motivi:

1

il decreto di sequestro preventivo, disposto in via d’urgenza sulla somma di

a) violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 324 cod. proc. pen.
in relazione al rigetto dell’eccezione di sopravvenuta inefficacia del
provvedimento di sequestro per la tardiva decisione del Tribunale rispetto
alla ricezione degli atti avvenuta in data 17 maggio 2013, in quanto il rigetto
della questione sulla nullità della procedura per difetto di notificazione,
rilevata poi dalla sentenza della Corte di Cassazione, aveva impedito lo
spirare del termine ultimo per la decisione, posto che la nuova udienza per
rispettare il termine di tre giorni liberi da rituale notifica del decreto di

del 28 maggio 2013. Per contro, la soluzione offerta nel provvedimento
impugnato eludeva la questione di diritto, incentrata sulla valenza sanante di
decisione illegittima perché assunta in violazione dei diritti difensivi.
b) Violazione di legge per l’erronea applicazione dell’art. 407 cod. proc. pen.,
comma terzo, in relazione all’art. 321 cod. proc. pen.: la soluzione offerta
alla questione dell’inutilizzabilità della consulenza tecnica disposta dal P.M.
non aveva tenuto conto che l’elaborato era stato depositato un mese e
mezzo dopo la scadenza del termine prorogato per le indagini preliminari
senza fosse dimostrato che gli accertamenti così compendiati erano stati
condotti prima di detta scadenza.
c) Violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 321 cod. proc. pen.
in relazione al disposto dell’art. 216 I. fall.: in ordine alla natura del
sequestro, disposto direttamente su somma di denaro non individuata con
precisione e quindi integrante un sequestro per equivalente, avente ad
oggetto un valore ricercato presso i conti correnti del ricorrente e dei
familiari, non consentito, il Tribunale aveva rilevato in modo frettoloso e
laconico che l’importo rinvenuto era proveniente dall’indennizzo assicurativo,
già erogato alla fallita. Aveva però ignorato che se fossero state
effettivamente individuate dette somme il sequestro diretto avrebbe
riguardato solo i rapporti di conto corrente bancario e non tutti i rapporti
bancari degli indagati e dei congiunti. Per contro, i successivi passaggi dai
vari conti correnti e la trasformazione in titoli rendono apodittico ritenere che
quanto sequestrato sia esattamente l’oggetto della condotta di distrazione.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.
1.L’impugnazione ripropone in primo luogo questione in rito, di natura
pregiudiziale, incentrata sull’inefficacia del provvedimento di convalida del
sequestro preventivo, determinata dall’intervento tardivo della decisione del
Tribunale del riesame e dall’illegittima efficacia sanante, che vi si era sta
2

fissazione dell’udienza camerale, non avrebbe potuto essere tenuta prima

assegnata, della sanzione processuale, conseguente al mancato rispetto del
termine a comparire. Tale evenienza, in tesi difensiva, avrebbe imposto il
differimento dell’udienza camerale e la successiva pronuncia oltre il termine
di dieci giorni dalla ricezione degli atti, prescritto dall’art. 324 cod. proc.
pen., comma settimo, mentre la sanatoria non potrebbe riconnettersi ad una
decisione annullata in sede di legittimità perché assunta nel mancato
rispetto dei termini processuali, vigenti per la comparizione dell’istante.
1.1 Va premesso che, fissata l’udienza camerale per la discussione del

difetto di notificazione del decreto di fissazione dell’udienza, l’aveva differita
al giorno successivo, ritenendo che in tal modo sarebbe stato rispettato il
termine di tre giorni liberi prescritto dall’art. 324 cod. proc. pen., comma
sesto; tale norma, analoga all’art. 309 cod. proc. pen., comma ottavo, nel
disciplinare la formazione del contraddittorio tra le parti interessate alla
procedura di riesame, prescrive che l’avviso della data fissata per l’udienza
camerale sia notificato al difensore ed all’imputato “almeno tre giorni prima”.
Come già riconosciuto dalla sentenza rescindente della quinta sezione
penale di questa Corte, la trattazione del riesame con le cadenze temporali
sopra descritte aveva violato la disposizione di cui all’art. 324 sopra citata,
pregiudicando la validità dell’ordinanza resa dal Tribunale, senza però che
dalla relativa pronuncia di annullamento possa discendere l’inefficacia della
misura in contestazione. Poiché la decisione sul riesame, ancorchè affetta da
nullità, -che va qualificata come di ordine generale a regime intermedio
poiché la violazione incide negativamente sulle facoltà d’intervento e di
difesa della parte (Cass. sez. 2, nr. 30015 del 15/5/2009, Scaraggi, rv.
244720)- era intervenuta nel termine fissato dall’art. 309 cod.proc.pen.,
comma decimo, richiamato dall’art. 324 cod. proc. pen., comma settimo, la
stessa non ha determinato l’inefficacia della misura impugnata: tale
sanzione è riscontrabile soltanto quando nessun provvedimento sia stato
adottato dal tribunale entro dieci giorni dalla ricezione degli atti. In tal senso
si è espresso l’orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte
(sez. 1, n. 1953 del 05/05/1992, Savarese, rv. 190682; sez. 6, n. 47791 del
28/10/2003, Mbarouk, rv. 228444; sez. 2, nr. 30015 del 15/5/2009,
Scaraggi, rv. 244720; sez. 1, n. 6529 dell’ 1/02/2012, Passalacqua, rv.
252083), che il ricorrente pone in discussione con argomenti che non
tengono conto della natura non assoluta dell’invalidità, che aveva
pregiudicato l’ordinanza annullata. In altri termini il vizio non era talmente
radicale da avere determinato la giuridica inesistenza del provvedimento e
da avergli inibito la produzione di qualsiasi effetto rilevante.

riesame per il giorno 24/5/2013, il Tribunale, a fronte dell’eccezione sul

2. Anche il secondo motivo va disatteso. Il Tribunale al riguardo ha
individuato la data effettiva di scadenza del termine per il compimento delle
indagini preliminari nel 30 ottobre 2013 e ha ritenuto che il deposito della
consulenza tecnica del P.M. , avvenuto il 13 dicembre 2013, attestasse con
funzione riepilogativa attività di accertamento e valutazione svolta in
precedenza. Il ricorrente contesta la correttezza di tale considerazione
assumendo essere “non dimostrabile che in tale lasso di tempo il consulente
tecnico non abbia effettivamente svolto anche degli accertamenti”: in realtà,

di legge avrebbe dovuto dedurre in modo certo e documentato che la realtà
dei tempi di espletamento dell’incarico da parte del consulente, mediante
acquisizione di dati, informazioni ed elementi oggetto del suo intervento
ricostruttivo, si era svolta in un momento successivo al termine del 30
ottobre. Solo siffatta deduzione, tradottasi, ad esempio, nell’indicazione
dell’epoca di prelievo del materiale documentale dalla segreteria del P.M. o
dalla cancelleria del Tribunale fallimentare, ovvero di acquisizione di
informazioni da istituti di credito, avrebbe consentito di confutare il
fondamento fattuale e giuridico dell’opinione espressa dal collegio del
riesame, che è corretta in punto di diritto e non smentita in punto di fatto.
2.1 II provvedimento in verifica sul punto ha offerto corretta
applicazione di consolidati principi interpretativi, secondo i quali il riferimento
agli “atti di indagine” da compiersi entro il termine di cui all’art. 405
cod.proc.pen., la cui inosservanza comporta l’inutilizzabilità degli atti stessi,
per la sua natura eccezionale va considerato in senso restrittivo sotto un
duplice profilo, uno contenutistico, l’altro temporale. Esso va riferito soltanto
alle attività aventi efficacia probatoria, espletate su impulso della parte
pubblica e dirette ad acquisire i dati conoscitivi necessari per l’assunzione
delle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale e le prove da
utilizzare nel giudizio, secondo quanto precisato dall’art. 326 cod. proc. pen.
ed in ogni caso riguarda il momento del loro compimento, non già quello del
deposito.
Si è, infatti, già affermato nella giurisprudenza di questa Corte che,
quanto al primo aspetto, viene in rilievo la funzione dell’atto, sicchè deve
compiersi entro il termine massimo stabilito per le indagini preliminari
quanto assolva allo scopo per le quali le indagini sono condotte. Quanto al
secondo, la sanzione dell’inutilizzabilità non investe gli atti che siano stati
realizzati entro il termine in questione, ma il cui deposito sia avvenuto in un
momento successivo alla sua scadenza (sez. 3, n. 4089 del 20/01/2012,
Van Den Heule e altro, rv. 251974; sez. 2, n. 40409 del 08/10/200
Scatena, rv. 241870; sez. 3, n. 10664 del 27/09/1995, Poli, rv. 202945
4

a fronte del rilievo contenuto nel provvedimento e censurato per violazione

ovvero gli atti la cui esecuzione il Pubblico Ministero abbia tempestivamente
delegato alla polizia giudiziaria quando l’incarico sia altrettanto
tempestivamente evaso, sebbene i relativi esiti siano riportati in un
documento scritto, una relazione di servizio, oppure un’informativa di reato,
avente funzione riepilogativa e di più agevole consultazione, acquisito dopo
lo spirare del termine (vedi in motivazione Cass. sez. 2, n. 45988, del
28/11/2007, Tripodi, rv. 2385197).
Ad analoghe conclusioni si è giunti in riferimento all’operato del

compiersi entro il predetto termine, non riferibile, nè alla redazione
dell’elaborato, contenente l’esposizione dei risultati delle operazioni
compiute, né al suo deposito nella segreteria dell’autorità che ha affidato
l’incarico (Cass. sez. 2, n. 38914 del 17/10/2007,Camilli, rv. 238437).
3. Quanto al merito del provvedimento, il ricorrente lo censura
unicamente per avere escluso la possibilità di qualificare il disposto
sequestro preventivo di bene ritenuto profitto del reato di bancarotta
fraudolenta per distrazione quale sequestro per equivalente. La questione
s’incentra sulla natura fungibile dell’oggetto materiale vincolato, una somma
di denaro, reperita su conto corrente bancario, che non sarebbe stata non
previamente individuata in termini specifici.
3.1 La soluzione offerta dal Tribunale riposa su rilievi in punto di fatto:
pur concordando in linea di principio sull’inammissibilità del sequestro
finalizzato alla confisca per equivalente quando abbia ad oggetto proventi
del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l’ordinanza in verifica ha
osservato che quanto rinvenuto sui conti correnti riconducibili all’Areni ed
alla moglie separata costituiva il denaro proveniente dall’indennizzo erogato
dalle Assicurazioni Generali in favore della fallita. Invero, secondo i giudici
del riesame, prima del deposito dell’indennizzo derivante dalla cessione del
credito, ritenuta costituire l’artificio mediante il quale il patrimonio della
società CARGO era stato depauperato di quel rilevante valore, i conti in
esame avevano presentato un saldo di poche decine di euro,
improvvisamente incrementatosi dopo la distrazione. Hanno quindi
evidenziato che il conto corrente intestato a CREARE s.r.l. era stato acceso
appositamente dalla La Penna, recatasi presso l’istituto bancario con
soggetto indicato quale il proprio marito, con l’intento di compiere operazioni
che si sarebbero svolte nei giorni successivi, ossia il deposito del denaro
della società fallita.
3.2 Rispetto a tali emergenze fattuali, ricostruite secondo informazioni
testimoniali e documentali, il ricorso non esplica alcuna censura e non ne
smentisce né la fondatezza, né il valore dimostrativo considerato

5

.11 • i 400

consulente tecnico del P.M., la cui attività accertativa e valutativa deve

Tribunale, proponendo piuttosto critiche teoriche sulla questione di diritto
proposta. Trascura però che, per quanto non sia stata condotta
un’individuazione specifica del denaro sotto il profilo dell’annotazione dei
numeri seriali delle banconote, oggetto di deposito nel conto della La Penna,
in ragione della strumentale costituzione di tale rapporto di conto corrente e
della sua incapienza in un momento antecedente la distrazione, secondo
quanto esposto nell’ordinanza impugnata, non possono esservi dubbi
sull’esclusione di una possibile confusione con altro denaro già ivi depositato

creditori.
3.3 Del resto, appare opportuno richiamare quanto già affermato in
modo puntuale e pienamente condivisibile da questa Corte a Sezioni Unite,
secondo le quali, quando l’oggetto del sequestro è costituito da denaro di
pertinenza di impresa dichiarata fallita, “È ammissibile il sequestro
preventivo finalizzato alla confisca di somme di denaro che costituiscono
profitto di reato, sia nel caso in cui la somma si identifichi proprio in quella
che è stata acquisita attraverso l’attività criminosa, sia quando sussistono
indizi per i quali il denaro di provenienza illecita risulti depositato in banca,
ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare cio’che proviene dal reato
e che si è cercato di occultare” (Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, C. fall. in
proc. Focarelli, rv. 228166). In termini coerenti si è poi sostenuto che “In
tema di bancarotta fraudolenta, è legittimo il sequestro preventivo di conti
correnti e depositi di titoli, pertinenti alle vicende di una società dichiarata
fallita, quando il pericolo derivante dalla libera disponibilità delle cose
sottratte o delle risorse economiche frutto della loro alienazione, presenti i
requisiti della concretezza e della attualità, nel senso che in seguito alla
consumazione del reato possano prodursi conseguenze ulteriori, connotate in
termini di antigiuridicità, in quanto consistenti nel volontario aggravarsi o
protrarsi dell’offesa al bene protetto, in rapporto di stretta connessione con
la condotta penalmente illecita perseguita; è, pertanto, legittimo il sequestro
preventivo preordinato all’esigenza di fermare la circolazione del denaro e
dei beni fungibili che siano acquisiti dagli indagati in condizioni di presunta
antigiuridicità, anche per consentire, nell’ambito del procedimento penale
per bancarotta, la verifica definitiva della riferibilità delle somme sequestrate
all’attività di sottrazione di beni e risorse della società fallita” (sez. 5, n.
8468 del 24/01/2005, Lange’ ed altri, rv. 231176).
Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.
6

e sulla riconducibilità all’operazione fraudolenta, compiuta in danno dei

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2014.

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