Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 39992 del 17/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 39992 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MONACHINO DANIELE N. IL 30/01/1980
avverso l’ordinanza n. 46/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del
04/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/seRtite le conclusioni del PG Dott. t, C. FG4t~”,;,Qkcia4
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Data Udienza: 17/06/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Monachino Daniele, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata
dichiarata l’inammissibilità della sua istanza di riparazione per l’ingiusta
detenzione subita agli arresti domiciliari (dall’8 maggio al 5 luglio 2003), in
relazione ai delitti di cui, rispettivamente, agli artt. 110, 640bis e 61 n. 7 cod.
pen., e 110 cod. pen., 8 d.lgs. n. 74/2000, per i quali era stato dichiarato non

La Corte territoriale ha ravvisato l’inammissibilità della domanda per non aver
l’istante documentato la definizione del procedimento in relazione ad altra
imputazione (art. 416 cod. pen.) che pure era stata alla base del provvedimento
cautelare adottato nei confronti del Monachino. Inoltre, la Corte di Appello ha
ritenuto che l’istanza non avrebbe potuto comunque accogliersi nel merito poiché
la declaratoria di prescrizione aveva riguardato due reati originariamente
contemplati nell’ordinanza di custodia cautelare, i cui limiti edittali giustificavano
il periodo di custodia cautelare sofferto.

2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione
dell’art. 314 cod. proc. pen. e per vizio motivazionale, rilevando in fatto che egli
si era attivato per ottenere la documentazione richiesta dalla Corte distrettuale e
che questa aveva ritenuto non idonea gli atti che erano stati rilasciati dalla
cancelleria del Tribunale di Agrigento; in diritto, che secondo l’insegnamento
della giurisprudenza di legittimità la Corte di Appello avrebbe dovuto richiedere
d’ufficio la documentazione ritenuta necessaria per la decisione.
Quanto alle argomentazioni svolte nel merito della domanda, ritiene il ricorrente
che la decisione impugnata non abbia tenuto conto dei principi posti dalla
giurisprudenza costituzionale (sent. n. 219/2008) e dalle Sezioni Unite di questa
Corte (sent. n. 4187/2009), per le quali la declaratoria di prescrizione del reato
non preclude il riconoscimento del diritto alla riparazione per l’ingiusta
detenzione.

3. Con memoria depositata il 30.5.2014, l’Avvocatura Generale dello Stato, in
rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto la
conferma dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato.
4.1. La Corte di Appello di Palermo ha delineato i tratti essenziali della vicenda
sottopostale nel modo che segue: il Monachino era stato raggiunto da ordinanza

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doversi procedere per essere i reati estinti per prescrizione.

di custodia cautelare agli arresti domiciliari per i reati di cui all’art. 416 cod. pen.
(capo A), di truffa aggravata per il conseguimento di pubbliche forniture (capo B)
e di emissione di fatture per operazioni inesistenti (capo M). Quest’ultimo, nella
successiva richiesta di rinvio a giudizio assumeva i contenuti del reato di cui
all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000. Il Tribunale per il riesame aveva annullato la
predetta ordinanza limitatamente al reato associativo per carenza di gravi indizi
di reità. In sede di merito, con sentenza del 9.12.2008 il Giudice dell’udienza
preliminare presso il Tribunale di Agrigento aveva dichiarato estinto per

custodiale); il Tribunale di Agrigento, con sentenza del 30.6.2009, aveva assolto
il Monachino dal reato di evasione dell’imposta sui redditi mentre lo aveva
condannato alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione per l’evasione
dell’Iva (fatti descritti con riferimento all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000); condanna che
la Corte di Appello di Palermo aveva riformato con la dichiarazione di non doversi
procedere per essere il reato estinto per prescrizione.
4.2. Tanto precisato, va ritenuto che colga il segno il ricorrente quando asserisce
che la Corte di Appello non avrebbe potuto dichiarare l’inammissibilità
dell’istanza perché “malgrado le ripetute sollecitazioni … il ricorrente non ha
fornito alcuna documentazione attestante la definizione nel procedimento in
relazione alla imputazione di cui all’art. 416 c.p.” .
In linea di principio, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che,
vigente nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione il principio
dispositivo – per cui la ricerca del materiale probatorio necessario per la
decisione è riservata alle parti tra le quali si distribuisce in base all’onere della
prova -, esso risulta tuttavia temperato dai poteri istruttori del giudice del
merito, il quale, ove la documentazione prodotta si rilevi insufficiente, ben può
procedere ad integrarla anche di ufficio, senza tuttavia surrogarsi all’inerzia ed
agli oneri di prospettazione, di allegazione o di impulso probatorio del richiedente
(tra le altre, Sez. 4, n. 4070 del 08/10/2013 – dep. 29/01/2014, Cacopardo, Rv.
258424; Sez. 4, n. 18848 del 21/02/2012 – dep. 16/05/2012, Ferrante, Rv.
253555). Anche quando si sottolinea maggiormente che il procedimento per la
riparazione dell’ingiusta detenzione, pur presentando indubbie connotazioni
civilistiche, riguarda pur sempre un rapporto obbligatorio di diritto pubblico, e la
conseguente incidenza sul principio civilistico della esclusiva disponibilità delle
prove in capo alle parti, la conclusione è che il giudice della riparazione può
procedere ad attività integrativa di ufficio ovvero invitare le parti ad integrare la
documentazione presentata. Per tale seconda ipotesi, particolarmente rilevante
nella vicenda che occupa, viene ritenuto che ove la parte non ottemperi all’invito
volto ad accertare l’esistenza del dolo o della colpa grave dell’istante, e non

prescrizione il reato di truffa aggravata (ed altri reati non compresi nel titolo

fornisca giustificazione alcuna al riguardo, viene sottratta al giudice la possibilità
di accertare tale presupposto, legislativamente previsto, con la conseguenza che
sulla sua positiva esistenza viene a mancare ogni prova e la relativa istanza
legittimamente viene rigettata (Sez. 4, n. 3042 del 24/05/2000 – dep.
12/06/2000, Iannino A, Rv. 216735).
Risulta invece priva di riscontro nella giurisprudenza successiva quell’arresto
della Corte di cassazione secondo il quale colui che richiede l’equa riparazione
per l’ingiusta detenzione subita ha il solo onere di mettere la Corte competente

indicati gli estremi del provvedimento privativo della libertà e del giudicato
assolutorio, rimanendo a carico del giudice l’operazione di enucleazione e
valutazione dei fatti quali accertati in sede giudiziale, nell’ambito della verifica
comunque doverosa volta ad accertare l’esistenza di eventuali comportamenti
dolosi o gravemente colposi del custodito ostativi alla concessione dell’indennizzo
(Sez. 4, n. 2962 del 14/11/1997 – dep. 25/02/1998, Zagami V, Rv. 210264).
Quanto ai precedenti giurisprudenziali espressamente indicati dal ricorrente,
secondo i quali pur essendo onere dell’interessato, secondo i principi civilistici,
dimostrare i fatti posti a base della domanda, e cioè la sofferta custodia
cautelare e la sopravvenuta assoluzione, deve tuttavia ritenersi, avuto anche
riguardo al fondamento solidaristico dell’istituto in questione, che il giudice sia
tenuto ad avvalersi, se necessario, della possibilità, prevista dagli artt. 213 e
738, comma terzo, cod. proc. civ., di chiedere anche d’ufficio alla P.A. (ivi
compresa, quindi, quella della giustizia) informazioni scritte su atti e documenti
di cui essa sia in possesso (Sez. 4, n. 27431 del 26/05/2011 – dep. 13/07/2011,
Minervino, Rv. 250899; Sez. 4, n. 21060 del 12/03/2008 – dep. 27/05/2008,
D’Innocente ed altro, Rv. 240020), si può senz’altro convenire con i medesimi,
che si pongono nell’alveo delle affermazioni riportate in apertura di paragrafo,
enucleando, rispetto ad esse, specificazioni per il caso che trattasi di informazioni
scritte su atti e documenti di cui sia in possesso la P.A.
Orbene, nel caso che occupa la Corte di Appello ha dato atto che l’ordinanza
cautelare era stata annullata in relazione al reato associativo contestato al
Monachino già dal Tribunale per il riesame; pertanto l’eventuale decisione
irrevocabile avente ad oggetto tale reato non aveva alcuna incidenza ai fini
dell’applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen. Infatti, l’azionabilità del diritto alla
riparazione per l’ingiusta detenzione nel caso di privazione della libertà personale
disposta, con unica ordinanza, per una pluralità di imputazioni, delle quali talune
espunte dal provvedimento coercitivo, in quanto ritenute inidonee “ah origine” a
sorreggerlo, altre definite con decisione liberatoria, non è condizionata dalla
sopravvivenza del procedimento in relazione alle prime e dalla possibilità, per

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in condizioni di provvedere ed a tal fine è sufficiente che nell’istanza siano

esse, del sopravvenire di condanna con il conseguente meccanismo di
imputazione del periodo di custodia cautelare sofferto alla pena definitiva inflitta.
Ne consegue che il termine biennale previsto dall’art. 315 cod. proc. pen. per la
proposizione della domanda di riparazione non decorre dal momento in cui viene
definito con sentenza irrevocabile il procedimento per le imputazioni inidonee a
legittimare la privazione della libertà personale, ma da quello in cui si avvera, in
relazione alle altre imputazioni, una delle condizioni indicate in detto articolo
(irrevocabilità della sentenza di condanna o di proscioglimento, inoppugnabilità

provvedimento di archiviazione) (cfr. Sez. 4, n. 3125 del 13/11/2001 – dep.
28/01/2002, Fraquelli F, Rv. 220725).
Erra quindi la Corte di Appello quando sostiene che, in difetto del giudicato
avente ad oggetto il reato associativo, il diritto alla riparazione non può
considerarsi ancora sorto. Ed erra, quindi, a reputare inammissibile l’istanza per
la mancanza di documentazione sostanzialmente inconferente e che, in ogni
caso, essa avrebbe dovuto acquisire d’ufficio, specie ove l’adempimento
demandato alla parte avesse visto l’attivazione di questa e l’infruttuosità della
medesima per ragioni ad essa non imputabili.
4.3. Tuttavia la Corte di Appello ha valutato in ogni caso la domanda,
reputandola infondata nel merito.
Com’è noto, l’art. 314 cod. proc. peti. prende in considerazione due distinte
ipotesi: una prima, assunta dal comma 1 dell’art. 314 cod. proc. pen., è quella di
una custodia cautelare (custodia carceraria come custodia domiciliare), la cui
ingiustizia deriva dal semplice dato postumo del definitivo proscioglimento del
soggetto con una delle ampie formule in facto o in iure previste. Il
riconoscimento del diritto è esplicitamente subordinato alla condizione della
inesistenza di una condotta dolosa o gravemente colposa del soggetto causativa
o concausativa della custodia stessa (cd. ingiustizia sostanziale).
La seconda ipotesi, riconosciuta dal secondo comma dell’articolo, è quella di una
custodia cautelare, la cui applicazione sia stata accertata, con decisione
irrevocabile, non conforme alle previsioni di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc.
pen. (cd. ingiustizia formale). E ciò indipendentemente dall’esito finale del
processo di merito.
L’ipotesi della declaratoria di prescrizione non è esplicitamente presa in
considerazione dal disposto normativo; ma con sentenza del 20.6.2008 n. 219 la
Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per contrasto con
l’art. 3 Cost., dell’art. 314 del codice di procedura penate, nella parte in cui,
nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto
all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni, “secondo

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della sentenza di non luogo a procedere, notificazione all’interessato del

quanto precisato in motivazione”. Ne consegue – secondo le implicazioni che ne
sono state tratte dalle SS.UU. (Sez. U, n. 4187 del 30/10/2008 – dep.
29/01/2009, Pellegrino, Rv. 241855), che l’istituto è applicabile non solo nei casi
di assoluzione dalle imputazioni, ma anche in quelli di proscioglimento per altra
causa, non di merito, ed infine qualora la custodia cautelare sia stata di durata
superiore rispetto alla pena irrogata con sentenza definitiva.
E tuttavia, il diritto all’indennizzo, in ipotesi di prescrizione, sussiste solo se la
durata della custodia cautelare sofferta risulti superiore alla misura della pena

detenzione subita in eccedenza, ovvero quando risulti accertata in astratto la
sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’ingiustizia formale della
privazione della libertà personale (Sez. 4, n. 44492 del 15/10/2013 – dep.
04/11/2013, Caturano, Rv. 258086).
Orbene, la Corte di Appello ha compiuto tale verifica, accertando che la durata
della custodia cautelare sofferta (pari a 59 giorni) non era stata superiore alla
misura della pena astrattamente irrogabile per i reati di cui trattasi; ed anzi, può
aggiungersi, essa era stata inferiore anche alla pena concretamente inflitta al
Monachino (anni uno mesi quattro di reclusione).
A fronte di ciò la doglianza del ricorrente fraintende il provvedimento impugnato,
che non stabilisce alcuna relazione di incompatibilità tra la sentenza dichiarativa
dell’estinzione del reato per prescrizione e la riparazione di cui all’art. 314 cod.
proc. pen. ma si pone in posizione di consonanza con la giurisprudenza di
legittimità, quella stessa evocata dal ricorrente, per la quale il diritto alla
riparazione, in tal caso, compete solo ove la durata della custodia cautelare
ecceda la pena che può astrattamente essere o è concretamente inflitta.

5. Ne deriva che il ricorso deve essere rigettato. Segue al rigetto la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in
favore del Ministero resistente, spese che si liquidano in complessivi euro
1.000,00.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione in favore del Ministero delle Finanze delle spese del
presente giudizio che liquida in complessivi euro 1.000,00.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17.6.2014.

astrattamente irrogabile, o a quella in concreto inflitta, ma solo per la parte di

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