Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3997 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3997 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Cestaro Daniele

n. il 7 dicembre 1967

avverso
l’ordinanza 26 marzo 2013 — Ufficio di Sorveglianza di Verona;
sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
lette le conclusioni scritte del rappresentante del Pubblico Ministero, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che ha chiesto il rigetto del ricorso con
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali;

Data Udienza: 28/11/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Ritenuto in fatto

1. — Con ordinanza deliberata in data 26 marzo 2013, depositata in cancelleria
in pari data, l’Ufficio di Sorveglianza di Verona rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di Cestaro Daniele volta a ottenere la remissione del debito ai sensi del DPR
30 maggio 2002, n. 115, relativamente all’importo, meglio indicato nel provvedi-

Il giudice argomentava la propria decisione rilevando che, nella fattispecie, non
ricorrevano le condizioni soggettive posto che il prefato non aveva serbato regolare
condotta.
2. — Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore, ha interposto
tempestivo ricorso per cassazione il Cestaro chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.
2.1 — Con motivi nuovi avanzati e depositati in cancelleria il difensore di Cestaro Daniele, avv. Anna Laura La Grotteria, ha ripreso e approfondito le doglianze già
espresse in ricorso, insistendo per l’accoglimento delle medesime. Veniva in particolare rilevato che non rispondeva al vero che la misura dell’affidamento in prova fosse cessata per esito negativo della medesima, bensì solo a seguito dell’applicazione
dell’indulto ai sensi della L. 241/06. È ben vero che, successivamente alla espiazione della pena, in relazione alla quale era stata chiesta l’applicazione del beneficio
invocato, il Cestaro ha riportato per un reato commesso successivamente una condanna cumulata a sette anni e mesi sei di reclusione, ma è anche certo che il richiedente, durante l’espiazione intramuraria, ha tenuto regolare condotta.

Osserva in diritto

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mento gravato, dovuto per spese di giustizia.

3. — Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.
3.1 — Va invero dapprima rilevato come per le disposizioni in materia (D.P.R. n.
115 del 2002, art. 6 sulle spese di giustizia) al fine di ottenere il beneficio richiesto,
occorre la contemporanea ricorrenza di due requisiti: la buona condotta e le disagiate condizioni economiche, di talché la mancanza, nel caso concreto, anche di uno
solo di tali presupposti già impedisce, di per sé, la concessione della chiesta remissione del debito.

Ud. in c.c.: 28 novembre 2013 — Cestaro Daniele — RG: 19723/13, RU: 13;

si-

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale
e

3.1.2 — Ciò precisato, va chiarito, in relazione al requisito specifico della buona
condotta in tema di remissione del debito, che la giurisprudenza di questo Supremo
Collegio ha già avuto modo di affermare che il periodo da prendere in considerazione è limitato e circoscritto alla condotta tenuta dal soggetto dopo il passaggio in
giudicato della sentenza di condanna, valutata secondo i parametri di cui all’art. 30ter della L. 26 luglio 1975, n. 354, non potendo essere considerata ostativa al beneficio in parola né la commissione di fatti anteriori alla medesima condanna, posto

reati relativi al periodo extra moenia (Cass., Sez., 1, 8 maggio 2009, n. 22376, rv.
244825, Capizzi; Sez. 1, 29 settembre 2009, n. 38914, Gallico, non massimata;
Sez. 1, 16 gennaio 2009, n. 3752, rv. 242444, Bozza; Sez. 1, 16 gennaio 2004 n.
6178, Molinaro) dovendosi infatti ricercare la ratio della norma nella natura premiale dell’istituto e nella finalità di favorire il recupero e la risocializzazione di chi si è
accertato, con sentenza definitiva, avere violato la legge penale.
3.1.3 — In ottemperanza a questi principi il Magistrato di Sorveglianza ha rigettato l’istanza avendo parametrato il proprio giudizio sulla base di un episodio specifico di devianza perpetrato dal Cestaro durante il periodo di affidamento in prova in
casi particolari, tanto che la pena non era stata dichiarata estinta per esito negativo. Tale fatto, secondo la motivata argomentazione del giudice, era stato esemplificativo della non meritevolezza dell’istituto invocato.
Le ragioni esposte in questa sede dal ricorrente sono invece meramente rivalutative del giudizio già espresso dal Magistrato di Sorveglianza in modo ampio esaustivo e scevro da vizi logici e giuridici. Nei motivi nuovi si assume peraltro che la
misura dell’affidamento in prova sarebbe cessata solo a seguito dell’applicazione
dell’indulto ai sensi della L. 241/06 e dunque che il rilievo del giudice è erroneo.
Questo assunto non è tuttavia provato, sicché il ricorso non è autosufficiente. Questo Collegio ritiene per vero sul punto di dover dar continuità al principio più volte
espresso dalla Corte di legittimità secondo cui anche in sede penale debba essere
recepita la regola della cosiddetta ‘autosufficienza’ del ricorso costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., dalla giurisprudenza civile, con la conseguenza che, quando si lamenti la omessa valutazione o il
travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione
dell’integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già
stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimi-

d. in c.c.: 28 novembre 2013 — Cestaro Daniele — RG: 19723/13, RU: 13;

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che non esiste ancora un debito suscettibile di remissione, né la perpetrazione di

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

tà il loro esame diretto, a meno che il ‘fumus’ del vizio dedotto non emerga evidente dalla lettura della sentenza (Cass., Sez. 4, 26 giugno 2008, n. 37982, Buzi, n.
241023; Sez. 1, 18 marzo 2008, n. 16706, Falcone, n. 240123; Sez. 1, 29 novembre 2007, n. 47499, Chialli, n. 238333; Sez. Feriale, 13 settembre 2007, n. 37368,
Torino, n. 237302; Sez. 4, 19 dicembre 2006, n. 21858, Tagliente, n. 236689; Sez.
1, 18 maggio 2006, n. 20344, Salaj, n. 234115; Sez. 1, 2 maggio 2006, n. 16223,
Scognamiglio, n. 233781; Sez. 1, 20 aprile 2006, n. 20370, Simonettí, n. 233778);

dimostrazione della evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal
giudicante) di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa,
tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto
argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati (Cass., Sez. 1, 14 luglio 2006, n. 25117, Stojanovic, n. 234167 e Cass.,
Sez. 1, 15 giugno 2007, n. 24667, Musumeci, n. 237207).
4. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende

per questi motivi
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 28 novembre 2013
Il C nsigliere estensore

Il Presidente

sussisteva pertanto l’onere del ricorrente di fornire compiuta rappresentazione e

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