Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3991 del 16/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3991 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MODOU FALL N. IL 14/07/1976
BA CHEIKHOU N. IL 11/05/1976
avverso la sentenza n. 582/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del
16/01/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA
PELLEGRINO;

Data Udienza: 16/12/2014

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Lecce, seconda sezione
penale, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, assolveva Modou
Fall dal reato di cui all’art. 14 comma 5 ter d.lgs. n. 286/1998 perché il fatto
non è previsto dalla legge come reato, ritenuta in relazione al capo b)
l’attenuante di cui all’art. 648 comma 2 cod. pen., rideterminava la pena
inflitta a Modou Fall in mesi sei di reclusione ed euro 250,00 di multa e quella
inflitta a Ba Cheikhou in mesi quattro di reclusione ed euro 150,00 di multa,
con il beneficio della non menzione nei confronti di Ba Cheikhou e conferma nel
resto (con la medesima sentenza il giudice di primo grado assolveva gli
imputati dal reato di cui all’art. 474 cod. pen. avente ad oggetto i medesimi
beni di cui al reato di ricettazione per difetto di prova della loro destinazione
alla vendita).
2. Propongono con distinti, ma assolutamente identici, ricorsi per cassazione
gli imputati, assistiti da difensore, lamentando:
– violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., difetto probatorio e
motivazione assente in relazione all’art. 473 cod. pen. (primo motivo);
– violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., difetto probatorio e
motivazione assente comunque illogica e contraddittoria in relazione all’art.
648 cod. pen. (secondo motivo);
– eccessività della pena irrogata e mancata concessione della circostanza
attenuante di cui all’art. 62 n 4 cod. pen. con illogicità della motivazione sul
punto (terzo motivo).
3. I ricorsi sono inammissibili per genericità, difetto di interesse e manifesta
infondatezza.
I ricorrenti, non senza evocare in larga misura generiche censure in fatto non
proponibili in questa sede, si è per lo più limitato a riprodurre le stesse
questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e
disattese, con motivazione del tutto coerente e adeguata che non è stata in
alcun modo sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione. È ormai
pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba
essere ritenuto inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che
riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice
del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo
per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la
mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata
e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima
non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio
di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 cod. proc. pen., comma 1,
lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso, Sez. 2, sent. n.
29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, sent. n.
28011 del 15/02/2013, Sammarco, rv. 255568; Sez. 4, sent. n. 18826 de
09/02/2012, Pezzo, rv. 253849; Sez. 2, sent. n. 19951 del 15/05/2008, Lo

1

osserva

2

Piccolo, rv. 240109; Sez. 4, sent. n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, rv.
236945; Sez. 1, sent. n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, rv. 230634; Sez. 4,
sent. n. 15497 del 22/02/2002, Palma, rv. 221693).
Va inoltre evidenziato come il giudice dell’appello non è tenuto a rispondere a
tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente
iter
motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata
(cfr., per tutte, Sez. 6, sent. n. 1307 del 26/09/2002, dep. 14/01/2003,
Delvai, rv. 223061).
Va in ogni caso evidenziato come lo sviluppo argomentativo della motivazione
della sentenza impugnata, da integrarsi con quella di primo grado, è fondato
su una coerente analisi critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione
in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di
adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del
requisito della sufficienza, rispetto al tema di indagine concernente la
responsabilità del ricorrente in ordine ai delitti a lui contestati. La motivazione
della sentenza impugnata supera quindi il vaglio di legittimità demandato a
questa Corte, alla quale non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata
valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una
ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice
del merito.
In relazione al primo motivo, il Collegio ne rileva l’assoluta inconferenza e
difetto di interesse: invero, nel titolo dello stesso si contesta il vizio di
motivazione in relazione alla dedotta violazione dell’art. 473 cod. pen.
(fattispecie di reato mai contestata), mentre nel corpo della contestazione si fa
riferimento all’art. 648 cod. pen..
Nel secondo motivo, si censura nel titolo il vizio di motivazione in relazione alla
dedotta violazione dell’art. 648 cod. pen..
Rileva il Collegio come i giudici d’appello, con motivazione congrua e priva di
vizi logico-giuridici capace di superare gli odierni generici rilievi difensivi,
abbiano riconosciuto in premessa come “… ricorre … il reato di ricettazione
siccome contestato tenuto … conto: che gli imputati non hanno concretamente
allegato di aver compiuto personalmente le contraffazioni, da soli o con altri;
che la fattura ed il confezionamento dei prodotti del tipo di quelli in sequestro è
incompatibile con il loro pregresso acquisto in regolari punti vendita all’ingrosso
…”, per poi riconoscere l’inapplicabilità nella fattispecie dell’illecito
amministrativo previsto dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in I.
14.05.2005, n. 80. Commette detto illecito, l’acquirente finale di un prodotto
con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da
quella indicata: acquirente finale che, di contro, non può rispondere né del
reato di ricettazione né della contravvenzione di cose di sospetta provenienza
attesa la prevalenza dell’illecito amministrativo rispetto ai predetti reati alla
luce del rapporto di specialità desumibile, oltre che dall’avvenuta eliminazione
della clausola di riserva ‘salvo che il fatto non costituisca reato’, dalla precisa
individuazione del soggetto agente e dell’oggetto della condotta nonché dalla
rinuncia legislativa alla formula ‘senza averne accettata la legittima
provenienza’, il cui venir meno consente di ammettere indifferentemente dolo
o colpa.

4. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della
Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro
1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria per ciascuno.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di mille euro alla Cassa
delle Ammende.
Così deciso in Roma il 16 dicembre 2014
Il Consigliere estensore

Il Presidente

Ciò premesso, se è vero che non può configurarsi una responsabilità penale per
l’acquirente finale di cose in relazione alle quali sono state violate le norme in
materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà
industriale (Sez. U, sent. n. 22225 del 19/01/2012, Micheli), è altrettanto vero
che la medesima giurisprudenza di legittimità riconosce che per acquirente
finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e
provenienza diversa da quella indicata, di cui al D.L. 14.03.2005 n. 35, conv. in
I. 14/05/2005 n. 80, nella versione modificata dalla I. 23.07.2009 n. 99, si
intende colui che non partecipa in alcun modo alla catena di produzione o di
distribuzione e diffusione dei prodotti contraffatti, ma si limita ad acquistarli
per uso personale. E, la Corte territoriale riconosce come “nel caso in esame
Madou Fall e Ba Cheikhou, sorpresi mentre trasportavano a bordo di
un’autovettura un quantitativo non indifferente di merce contraffatta non
hanno agito come ‘acquirenti finali’ quindi come utilizzatori ultimi della merce
non potendo neanche astrattamente ipotizzarsi – in considerazione del tipo di
merce (foderine per occhiali, cinture, occhiali) e de/loro quantitativo (centinaia
di pezzi) – che detta merce fosse destinata all’uso personale loro o dei loro
familiari”. Da qui la manifesta infondatezza anche del secondo motivo di
doglianza.
Identiche conclusioni vanno tratte con riferimento al terzo motivo in presenza
di motivazione, pur nella sua sinteticità, del tutto congrua ed incensurabile
nella presente sede. Il riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 648, comma 2
cod. pen. in conseguenza della valutata entità del danno patrimoniale ha
inevitabilmente determinato l’esclusione dell’applicazione dell’attenuante di cui
all’art. 62 n. 4 cod. pen. (cfr., Sez. 2, sent. n. 49071 del 04/12/2012, Mocci,
rv. 253906, secondo cui in tema di delitto di ricettazione, la circostanza
attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità è compatibile con la
forma attenuata del delitto nel solo caso in cui la valutazione del danno
patrimoniale sia rimasta estranea al giudizio sulla particolare tenuità del fatto)
e la pena finale è stata determinata tenuto conto dei parametri di cui all’arrt.
133 cod. pen..

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