Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3988 del 16/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3988 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DIENG MBAYE N. IL 12/01/1960
avverso la sentenza n. 456/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del
30/01/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA
PELLEGRINO;

Data Udienza: 16/12/2014

osserva

2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, assistito da difensore,
lamentando:
– violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., motivazione assente e
comunque illogica e contraddittoria in relazione all’art. 474 cod. pen. (primo
motivo);
– violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., motivazione assente e
comunque illogica e contraddittoria in relazione all’art. 648 cod. pen. (secondo
motivo);
– eccessività della pena irrogata e mancata concessione della circostanza
attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. (terzo motivo).
3. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
Il ricorrente, non senza evocare in larga misura generiche censure in fatto non
proponibili in questa sede, si è per lo più limitato a riprodurre le stesse
questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e
disattese, con motivazione del tutto coerente e adeguata che non è stata in
alcun modo sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione. È ormai
pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba
essere ritenuto inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che
riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice
del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo
per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la
mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata
e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima
non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio
di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 cod. proc. pen., comma 1,
lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso, Sez. 2, sent. n.
29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, sent. n.
28011 del 15/02/2013, Sammarco, rv. 255568; Sez. 4, sent. n. 18826 de
09/02/2012, Pezzo, rv. 253849; Sez. 2, sent. n. 19951 del 15/05/2008, Lo
Piccolo, rv. 240109; Sez. 4, sent. n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, rv.
236945; Sez. 1, sent. n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, rv. 230634; Sez. 4,
sent. n. 15497 del 22/02/2002, Palma, rv. 221693).
Va inoltre evidenziato come il giudice dell’appello non è tenuto a rispondere a
tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter
1

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Lecce, seconda sezione
penale, in parziale riforma della pronuncia di primo grado con la quale a Dieng
Mbaye era stata inflitta la pena di mesi due, giorni quindici di reclusione ed
euro 400,00 di multa per i reati, unificati sotto il vincolo della continuazione, di
cui agli artt. 474 cod. pen. e 648, comma 2 cod. pen., ordinava che della
condanna non fosse fatta menzione nel certificato del casellario giudiziale nei
limiti di cui all’art. 175 cod. pen., con conferma nel resto.

2

motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata
(cfr., per tutte, Sez. 6, sent. n. 1307 del 26/09/2002, dep. 14/01/2003,
Delvai, rv. 223061).
Va in ogni caso evidenziato come lo sviluppo argomentativo della motivazione
della sentenza impugnata, da integrarsi con quella di primo grado, è fondato
su una coerente analisi critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione
in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di
adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del
requisito della sufficienza, rispetto al tema di indagine concernente la
responsabilità del ricorrente in ordine ai delitti a lui contestati. La motivazione
della sentenza impugnata supera quindi il vaglio di legittimità demandato a
questa Corte, alla quale non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata
valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una
ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice
del merito.
Fermo quanto precede, i giudici d’appello, con motivazione congrua e priva di
vizi logico-giuridici capace di superare gli odierni reiterati rilievi difensivi, hanno
riconosciuto come “… non pare … dubbio che l’imputato detenesse la merce
esposta su una bancarella … a scopo di vendita … omissis … l’art. 474 cod. pen.
tutela principalmente non l’acquirente, ma la pubblica fede intesa come
affidamento delle persone nei marchi e nei segni distintivi; pertanto, ai fini
della valutazione della grossolanità della falsificazione, l’attitudine di questa ad
ingenerare confusione deve essere apprezzata non con riferimento al momento
dell’acquisto, ma in relazione alla visione degli oggetti nel loro successivo uso
da parte di un numero indistinto di individui …; la norma cioè intende tutelare
l’identità del prodotto industriale che sarebbe svilita ad un’osservazione
superficiale di coloro che indossino o portino con sé prodotti apparentemente di
quel marchio. Dunque, la grossolanità del falso, che esclude il reato, si
determina solo quando le caratteristiche del prodotto sono tali da eliminare
immediatamente, a priori, la possibilità che una persona di comune
avvedutezza e discernimento sia tratta in inganno. Nel caso di specie, al
contrario, i noti marchi dei prodotti non presentavano caratteristiche tali da
consentire di coglierne ad un loro esame superficiale la non originalità. Quanto
sopra evidenziato, nel confermare la configurabilità nel casi di specie del reato
di cui all’art. 474 cod. pen., esclude quella del reato di cui all’art. 517 cod. pen.
omissis … Deve poi ritenersi, in ragione della particolare notorietà dei marchi
di cui si tratta ed in assenza di prova in senso contrario, che essi fossero stati
regolarmente registrati in Italia … omissis … Deve escludersi poi che l’imputato
non sapesse che i suddetti marchi … ampiamente noti dei prodotti detenuti a
scopo di vendita fossero contraffatti, trattandosi di merce di scarsa qualità e di
scarso valore commerciale a differenza di quella autentica recante i marchi
indicati, ovvero che ne fosse vietata la vendita a fronte dell’intervenuta
contraffazione. Sussiste inoltre il reato di ricettazione siccome contestato,
tenuto altresì conto: che l’imputato non ha concretamente allegato di aver
compiuto personalmente le contraffazioni, da solo o con altri; che il
notoriamente assai modesto prezzo di vendita di prodotti del tipo di quello di
cui si tratta praticato dagli ambulanti come l’imputato nella vendita al pubblico
è incompatibile con il loro pregresso acquisto in regolari punti vendita

4. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della
Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro
1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma il 16 dicembre 2014
Il Consigliere estensore

all’ingrosso. La pena irrogata dal primo giudice appare congrua, non ricorrendo
peraltro gli estremi per il riconoscimento delle attenuanti generiche,
considerato che la modesta entità del fatto è stata già ampiamente considerata
dal primo giudice allorchè ha riconosciuto all’imputato l’attenuante di cui all’art.
648, comma 2 cod. pen. ed ha irrogato una pena modesta; né, alla luce di
quanto testè rilevato, ai fini del riconoscimento delle predette attenuanti
potrebbe essere valorizzato il mero stato di incensuratezza”.

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