Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3987 del 16/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3987 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CARULLO SALVATORE N. IL 30/07/1982
PIETROPAOLO DOMENICO N. IL 23/12/1970
avverso la sentenza n. 6354/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
07/11/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA
PELLEGRINO;

Data Udienza: 16/12/2014

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Napoli, seconda sezione
penale, confermava la sentenza di primo grado che aveva condannato Carullo
Salvatore alla pena di anni quattro, mesi sei di reclusione ed euro 600,00 di
multa e Pietropaolo Domenico alla pena di anni cinque di reclusione ed euro
700,00 di multa, con le pene accessorie di legge in quanto ritenuti responsabili
dei reati, avvinti dal vincolo della continuazione, di tentata rapina aggravata in
concorso (capo A), sequestro di persona aggravata in concorso (capo B) e
lesioni personali aggravate in concorso (capo C).
2. Propongono distinti ricorsi per cassazione gli imputati.
2.1. il Pietropaolo Domenico, in proprio, lamentando manifesta illogicità della
motivazione (motivo unico);
2.2. il Carullo Salvatore, in proprio, lamentando inosservanza o erronea
applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione al capo A
(primo motivo), inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizio
di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche (secondo motivo), inosservanza o erronea applicazione
della legge penale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 132 e 133 cod.
pen. (terzo motivo).
2.3. il Carullo Salvatore, a mezzo di difensore, lamentando contraddittorietà ed
illogicità della motivazione (motivo unico).
3. I ricorsi, in relazione a tutte le articolazioni di gravame proposte trattabili
congiuntamente per sostanziale omogeneità e la reciproca interazione dei temi
trattati, risultano inammissibili per genericità e manifesta infondatezza.
I ricorrenti, non senza evocare in larga misura generiche censure in fatto non
proponibili in questa sede, si sono per lo più limitati a riprodurre le stesse
questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e
disattese, con motivazione del tutto coerente e adeguata che non è stata in
alcun modo sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione. È ormai
pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba
essere ritenuto inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che
riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice
del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo
per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la
mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata
e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima
non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio
di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 cod. proc. pen., comma 1,
lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso, Sez. 2, sent. n.
29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, sent. n.
28011 del 15/02/2013, Sammarco, rv. 255568; Sez. 4, sent. n. 18826 de
09/02/2012, Pezzo, rv. 253849; Sez. 2, sent. n. 19951 del 15/05/2008, Lo
Piccolo, rv. 240109; Sez. 4, sent. n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, rv.
i

osserva

2

236945; Sez. 1, sent. n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, rv. 230634; Sez. 4,
sent. n. 15497 del 22/02/2002, Palma, rv. 221693).
Va inoltre evidenziato come il giudice dell’appello non è tenuto a rispondere a
tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente
iter
motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata
(cfr., per tutte, Sez. 6, sent. n. 1307 del 26/09/2002, dep. 14/01/2003,
Delvai, rv. 223061).
Va in ogni caso evidenziato come lo sviluppo argomentativo della motivazione
della sentenza impugnata, da integrarsi con quella di primo grado, è fondato
su una coerente analisi critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione
in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di
adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del
requisito della sufficienza, rispetto al tema di indagine concernente la
responsabilità dei ricorrenti in ordine ai delitti a loro contestati. La motivazione
della sentenza impugnata supera quindi il vaglio di legittimità demandato a
questa Corte, alla quale non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata
valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una
ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice
del merito.
Fermo quanto precede, i giudici d’appello, con motivazione congrua e priva di
vizi logico-giuridici (da leggersi unitamente alla pronuncia di primo grado
attesa la ricorrenza di una c.d. “doppia conforme”) capace di superare gli
odierni reiterati rilievi difensivi, hanno affermato che “… le deduzioni a
sostegno dell’assoluzione, che reiterano le tesi difensive sostenute in primo
grado, non valgono a smentire o appena informare le argomentazioni con cui il
primo giudice le ha contrastate, affermando la penale responsabilità dei
prevenuti in ordine ai reati loro ascritti; alla esauriente e corretta motivazione
in fatto ed in diritto occorre preliminarmente riportarsi per evitare inutili
ripetizioni. E’ appena il caso di ribadire la piena attendibilità della parte lesa
(nemmeno costituitasi parte civile) non solo perché il suo racconto risulta
coerente, circostanziato e reiterato, ma anche perché riscontrato dalle ulteriori
ed inequivocabili risultanze anzidette; inoltre, alla versione accusatoria gli
imputati, rifiutandosi di sottoporsi ad esame, non contrapponevano alcuna
ipotesi alternativa dei fatti, donde le fragili argomentazioni al riguardo
prospettate negli atti di gravame appaiono oltre che ininfluenti, decisamente
tardive. Entrambi i difensori assumono tuttavia con forza l’inattendibilità della
versione resa da Marcone Giuseppe, in ragione delle sue limitate capacità
intellettive che rendevano la deposizione densa di inverosimiglianza, di palesi
incongruenze nonché di aspetti contrastanti con dati di fatto: al riguardo si
condivide e si richiama le pregevole, scrupolosa e completa motivazione sulla
totale credibilità del teste resa dal Tribunale a pag. 5, cui nulla deve essere
aggiunto, pur tenendosi conto delle critiche difensive. Ed invero, tra queste
ultima spicca la soltanto apparente illogicità, secondo cui giammai gli imputati,
una volta procuratasi la copia delle chiavi, si sarebbero recati a casa del
Marcone mentre vi era uno degli occupanti, nella specie il predetto, che era
loro amico, ben potendo accedervi quando non c’era nessuno, per non correre
il più che certo rischio di essere identificati dagli abitanti, i quali li conoscevano.

4. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della
Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro
1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria per ciascuno.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di mille euro alla Cassa
delle Ammende.
3

La circostanza non è affatto illogica, anzi depone per la fondatezza della
versione accusatoria: gli imputati si erano recati presso l’abitazione del
Marcone, che viveva col fratello Antonio e la di lui moglie, al fine di ricercare e
conseguentemente impossessarsi degli euro 600 vinti da Antonio al gioco
fantacalcio, somma che ovviamente non sapevano dove fosse nascosta; ed
infatti una volta penetrati in casa chiedevano insistentemente a Giuseppe dove
si trovassero i soldi del fratello, mettendosi a rovistare dappertutto, sicuri che
costui l’avrebbe rivelato, confidando essi da un lato nella estrema remissività
dell’amico di cui avevano avuto riprova allorquando questi consentiva loro di
far duplicare le chiavi della sua abitazione e dall’altro nel rafforzare tale
condizione di soggezione psicologica, coll’aggredirlo violentemente non appena
entrati in casa; nessun’altra spiegazione può ritenersi plausibile sulla finalità di
siffatto comportamento aggressivo, altrimenti del tutto ingiustificato.
Indubbiamente marginali e privi del necessario carattere della decisività i
motivi d’appello basati su dati logici o di fatto che smentirebbero ad avviso di
entrambi i difensori la versione accusatoria; è appena il caso di osservare ad
esempio come l’interruzione dell’azione criminosa, dovuta a qualche non
previsto contrattempo, avesse obbligato i due ad allontanarsi repentinamente
dall’abitazione ove dimenticavano la copia delle chiavi e il giubbotto del
Carullo; ancora, la presenza dell’auto di quest’ultimo nei pressi era dovuta ad
un’avaria, che spiega perché i due si allontanarono a piedi; del tutto
indimostrata e fantasiosa l’ipotizzata ricostruzione alternativa sostenuta
nell’atto di appello dal Pietropaolo, alla cui lettura si rimanda non necessitando
essa di ulteriore approfondimento. Tutto il resto è ultroneo. La richiesta
subordinata sulla quantificazione della pena formulata nell’interesse del
Pietropaolo è inammissibile … perchè priva di qualsiasi motivo a sostegno; la
pena inflitta al Carullo è congrua e correttamente calcolata secondo í criteri di
cui all’art. 133 cod. pen., insuscettibile quindi di riduzione, negandosi anche in
questa sede le attenuanti generiche (invocate con motivi ai limiti
dell’ammissibilità perché privi di riferimenti concreti, sia oggettivi che
soggettivi) avendo dimostrato il Carullo, così come il correo, una preoccupante
capacità criminale, desumibile sia dalla commissione dei fatti per cui è
processo, gravi ed allarmanti, per giunta con modalità particolarmente odiose
(approfittando in maniera subdola dell’ingenuità dell’amico ed usando
ingiustificata violenza) sia dal comportamento processuale tenuto”.

Così deciso in Roma il 16 dicembre 2014
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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