Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 39848 del 27/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 39848 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
1. Rotolo Gianfranco, nato a Piacenza il 24/03/1951;
2. Nocco Laura, nata a Reggio Emilia il 07/12/1963;

avverso la sentenza del 29/01/2013 della Corte di appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso o, in subordine, la
rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa al rapporto tra l’art. 674,
cod. pen., ed il mancato superamento dei limiti della normativa speciale in
materia di emissione in atmosfera, in relazione all’efficacia scriminante
dell’autorizzazione;
udito per le parti civili l’avv. Marco Favini, che ha concluso chiedendo il rigetto
del ricorso;
udito per gli imputati l’avv. Roberto Sutich, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 27/03/2014

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 29/01/2013 la Corte di appello di Bologna, in riforma
della sentenza del 9 marzo 2010 con la quale il Tribunale di Reggio Emilia li
aveva assolti perché il fatto non sussiste, ha dichiarato i sigg.ri Rotolo Gianfranco
e Nocco Laura colpevoli del reato di cui all’art. 674 cod. pen., relativamente al
periodo che va dal 29 gennaio 2008 al maggio 2009, condannandoli alla pena
ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento del danno in favore delle costituite parti

2008, la Corte d’appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli
imputati essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione.
La vicenda ha ad oggetto le emissioni provocate dall’attività di fabbricazione
di oggetti di gioielleria ed oreficeria con fusione di metalli condotta nel
laboratorio sito all’interno dell’abitazione degli imputati, in Reggio Emilia, Piazza
Scarpinelli, 7, dalla “Laura Nocco S.a.s.”, società della quale la Nocco è socia
accomandataria, il marito, Rotolo Gianfranco, socio accomandante.
Il giudice di primo grado, dato atto che le emissioni erano state autorizzate
ai sensi dell’allora vigente d.P.R. 230/1998, aveva assolto gli imputati, sia pur
con formula dubitativa, sul rilievo che i fumi provenivano da attività autorizzata,
che le irregolarità riscontrate (in fra) non attenevano con certezza all’emissione di
fumo in senso stretto (essendo dubbia anche la variazione delle materie prime
utilizzate nel ciclo produttivo), che in ogni caso si trattava di emissioni che non
superavano la soglia della normale tollerabilità poiché il fenomeno di molestia
olfattiva si verificava in modo saltuario, senza alcuna regolarità, circa un paio di
volte a settimana (nemmeno tutte le settimane), specialmente nelle ore
notturne, e per non più di due, tre ore al massimo per volta.
Nel ribaltare la decisione del primo giudice, la Corte d’appello, adita dal
pubblico ministero e dalle parti civili, ha così ricostruito, in fatto, la vicenda: 1) la
società “Laura Nocco S.a.s” era stata autorizzata alle emissioni in atmosfera sul
dichiarato impiego, nel ciclo produttivo, di cera in scaglie per fusione e argento;
2) nel febbraio 2009, a seguito di lamentele dei vicini, l’ARPA aveva effettuato un
sopralluogo dal quale era emerso che: la fusione della cera rientrava in una fase
del ciclo produttivo, servita da impianto di aspirazione munito di camino di
scarico in atmosfera; che la sezione di sbocco del comignolo (in cui venivano
convogliati i fumi prodotti dalla fusione) non superava in altezza la linea di colmo
del tetto degli edifici circostanti e che ciò non agevolava il deflusso dei fumi; che
il camino era collegato al forno annesso al laboratorio; 3) era stato peraltro
accertato l’impiego di altri preparati oltre quelli dichiarati ed, in particolare, una
mescola di gomma siliconica ed un rivestimento MDM potenzialmente idonei a
liberare nel forno sostanze odorigene disturbanti; 4) certamente i miasmi
2

civili. Con riferimento, invece, al lasso temporale che va dal 2002 al 28 gennaio

provenivano dal camino collegato al forno annesso al laboratorio; 5) le esalazioni
erano, per intensità e durata, tali da renderle certamente insopportabili, fino a
costringere i vicini a chiudere le finestre nel periodo esito e, in alcune occasioni,
a ricorrere alle cure dei sanitari; 6) esse non erano affatto saltuarie, ma
periodiche (circa una, due volte a settimana) ed erano (giuste le definizioni
fornite dai testimoni) acri, persistenti, acute, irritanti, insopportabili, tali da
determinare la necessità di ricorrere a cure mediche; 7) il Rotolo era
direttamente interessato all’attività produttiva all’origine dei miasmi (provenienti

nulla per impedirli, ma, alle sollecitazioni dei vicini, aveva anche risposto che a
casa sua faceva quello che gli pareva.
Ha quindi affermato, in diritto, citando anche giurisprudenza di questa
Corte, che: 1) vedendosi in caso di molestia olfattiva, non rileva la presenza di
autorizzazioni alle emissioni in atmosfera; 2) ai fini della integrazione del reato di
cui all’ad. 674 cod. pen., è necessario e sufficiente il superamento della soglia
della stretta tollerabilità di cui all’ad. 844 cod. civ.; 3) alla luce della natura
ciclica delle emissioni, il fatto deve essere qualificato come reato continuato e
non come reato permanente.

2. Ricorrono per Cassazione gli imputati proponendo, per il tramite del
difensore di fiducia, due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo denunziano la mancanza, la contraddittorietà e/o la
manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett.

e, cod. proc.

pen.) e inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme
giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale (art.
606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.) con particolare riferimento all’ad. 521
cod. proc. pen..
2.1.1. Sotto un primo profilo, lamentano che l’affermazione di responsabilità
del Rotolo si fonda sulla sola testimonianza del Bonazzi (stralcio della quale è
riportata nel ricorso) che, riportando una conversazione avuta con l’imputato,
avente ad oggetto il camino di una caldaia da riscaldamento, aveva riferito che
l’imputato gli aveva risposto che a casa sua faceva quello che voleva. Nessun
riferimento, dunque, all’attività di oreficeria, nemmeno citata nella rubrica che,
invece, parla di abitazione.

Questa divergenza descrittiva (abitazione nella

rubrica, oreficeria come attività produttiva dei miasmi oggetto di pronuncia),
oltre a creare problemi di correlazione tra il ritenuto ed il contestato, ha
contribuito ad alimentare l’equivoco di fondo. In realtà, v’erano elementi positivi
dai quali poter dedurre l’estraneità dell’imputato all’attività svolta dalla moglie.
2.1.2.Quanto alla provenienza delle immissioni maleodoranti dall’abitazione
degli imputati, i mezzi di prova posti a fondamento della condanna (relazione

3

dal laboratorio installato nella propria abitazione) e non solo non aveva fatto

tecnica dell’ARPA del 2009 e testimonianze) non la sorreggono poiché i testimoni
Bonazzi e Termine, a specifica domanda, non hanno saputo fornire risposte sulla
provenienza delle esalazioni e gli unici testimoni indifferenti (Garatti Ezio e
Fornaciari Stefano, dipendenti ARPA), intervenuti nel 2007 su segnalazione di
una delle parti civili, avevano riferito di un odore debole, non forte, come di
plastica bruciata. Peraltro, mai, fino al 2009 erano state fatte segnalazioni o
richiami all’attività in questione, come riconosciuto dalla stessa parte civile.
2.1.3. La nota dell’ARPA del 10 febbraio 2009, che aveva preceduto la

essendo stato il suo redattore in grado di «esprimere un giudizio sull’eventuale
sviluppo di fumi maleodoranti»), limitandosi a evidenziare che, avuto riguardo

alle caratteristiche strutturali dell’impianto, particolari condizioni atmosferiche
avrebbero potuto determinare la comparsa del fenomeno disturbante. Il
testimone Vivi (dipendente ARPA e redattore della nota) ha riferito che le
irregolarità riscontrate (mancanza di un punto di campionamento, sezione di
sbocco del camino posto ad un’altezza inferiore al colmo dei tetti, utilizzo di altro
materiale nell’attività), non erano tali da richiedere una nuova autorizzazione,
rendendo piuttosto consigliabile un suo aggiornamento. In ogni caso, alcun atto
di contestazione era mai stato fatto alla Nocco prima della diffida del 30 luglio
2009, che si colloca temporalmente oltre il termine finale contestato nella
rubrica, la cui mancata impugnazione non può essere letta alla stregua di una
condotta confessoria.
2.1.4. Le patologie mediche riscontrate a carico delle parti civili sono
documentalmente non riconducibili alle emissioni di fumo. In nessun referto
medico prodotto si fa riferimento alle emissioni come causa delle patologie
riscontrate e comunque non si dà alle stesse alcuna rilevanza causale.
2.1.5.Come riferito dal testimone Vivi, la sostanza utilizzata nella
lavorazione (il gesso) non è classificata come cancerogena dalla vigente
legislazione e comunque non era oggetto di aspirazione, sicché non avrebbe mai
potuto essere espulsa in atmosfera.
2.1.6.Le testimonianze acquisite nel corso del processo, non consentono di
concludere nel senso, ritenuto dalla Corte territoriale, di una attività frequente
quanto a durata e intensità. Non solo. Dal loro esame non è possibile evincere,
con certezza, nemmeno se si parli di fumi, odori, da dove derivassero.
2.1.7. Il fatto che il forno di fusione fosse acceso 8 ore continuative ogni due
settimane, non vuol dire che le emissioni fossero della stessa durata perché i
metalli fondono a temperature alte.
2.2. Con il secondo motivo denunziano inosservanza o erronea applicazione
della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto
nell’applicazione della legge penale (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.).
4

diffida del luglio 2009, non contiene giudizi sulle emissioni in atmosfera (non

Ferma restando l’estraneità del Rotolo ai fatti, nonché l’inesistenza di un
collegamento causale tra gli impianti e l’emersione del fenomeno odorigeno, non
v’è comunque alcuna prova di sussistenza dell’elemento soggettivo a carico della
Nocco.
Inoltre, la Corte d’appello ha erroneamente spinto la condanna fino a tutto il
mese di maggio 2009, laddove la rubrica indica come data finale solo quella del

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.11 ricorso è infondato.

4. Non sussiste, in primo luogo, alcuna violazione dell’art. 521 cod. proc.
pen., denunciata dagli imputati sotto il duplice profilo: a) del difetto di
correlazione tra il fatto contestato e quello per il quale è intervenuta condanna;
b) della condanna per fatti commessi in epoca successiva a quella indicata nella
rubrica.
4.1. La rubrica contesta agli imputati di aver, in concorso tra loro e «quali
proprietari dell’immobile», provocato l’emissione di fumi irrespirabili e di gas
maleodoranti, atti a cagionare molestia ai danni dei vicini, per il tramite dei
comignoli posti nella abitazione di loro proprietà. Il giudice di prime cure, dato
atto che le emissioni erano provocate dall’attività produttiva svolta all’interno
dell’abitazione dalla “Laura Nocco S.a.s.”, aveva assolto gli imputati per le ragioni
più diffusamente sopra riportate, nessuna delle quali, però, aveva fatto leva sul
fatto che il Ruotolo non fosse il legale rappresentante della società.
4.2.La Corte d’appello, dal canto suo, ha ritenuto la responsabilità
dell’imputato perché direttamente interessato all’attività produttiva all’origine dei
miasmi e sul rilievo, in fatto, che aveva risposto ai vicini che a casa sua egli
faceva quello che voleva.
4.3.Non v’è, dunque, alcuna diversità tra fatto contestato e fatto oggetto di
condanna: i fumi maleodoranti, infatti, provenivano dall’abitazione degli imputati
i quali sono stati chiamati a risponderne in quanto proprietari. La “provenienza”
dei fumi non è mai stata messa in discussione. E’ stato il giudice di prime cure
che, attribuita la “causa” della produzione dei fumi, all’attività della società, ne
ha tratto il proprio convincimento in ordine alla liceità delle emissioni stesse. Ma
il fatto che i fumi fossero prodotti dall’attività produttiva della “Laura Nocco
S.a.s.”, non sposta il tema della responsabilità che la rubrica propone e nulla
toglie al fatto che tali fumi comunque provenivano dall’abitazione degli imputati.

5

12 maggio 2009.

4.4.Ed infatti la Corte d’appello coglie decisamente nel segno quando
attribuisce al Ruotolo la responsabilità per il fatto contestato non solo in quanto
socio accomandante e marito della Nocco, direttamente interessato all’attività
produttiva, ma anche quale

«proprietario dell’immobile ove si svolgeva

l’attività produttiva e dove egli stesso abitava».
4.5.La frase a lui attribuita («a casa mia faccio quello che mi pare»),
indipendentemente dal contesto in cui (e dal motivo per il quale) sarebbe stata
pronunciata, bene è stata valorizzata dalla Corte territoriale quale prova

l’attività produttiva delle emissioni si svolgeva.
4.6.Quanto al secondo profilo del vizio denunziato, è appena il caso di
evidenziare che, in primo grado, il pubblico ministero aveva modificato la
contestazione spostando il termine di consumazione del reato dal

«12 maggio

2009» a tutto il mese di maggio 2009.

5. Ancorché il tema sia stato affrontato nella sentenza impugnata, i
ricorrenti non propongono a questa Suprema Corte la specifica questione circa la
sussistenza del reato di cui all’art. 674, cod. pen. anche in caso di fumi
provenienti da attività autorizzata alle emissioni in atmosfera. Non v’è ragione,
dunque, per soffermarsi su questo argomento, tanto meno di sottopork (R„
questione alle Sezioni Unite di questa Corte, come richiesto dal PG di udienza;
anche perché, come affermato dalla Corte territoriale, le emissioni non erano
conformi all’autorizzazione, sia per l’impiego di preparati diversi da quelli
autorizzati, sia per le caratteristiche strutturali dell’impianto. La questione di
diritto non si pone per ragioni di fatto che la rendono superflua.

6.Quanto ai denunziati vizi di motivazione, si osserva quanto segue.
6.1. La logica non è oggetto di codificazione, né il suo esercizio può essere
oggetto di censura quando il ragionamento, che da essa deve esser sorretto, non
devii macroscopicamente dai canoni della coerenza intrinseca e di quella
estrinseca con i dati di fatto utilizzati per la decisione.
6.2.Nella fase di merito un risultato può dirsi acquisito aldilà di ogni
ragionevole dubbio quando le prove oggetto di valutazione siano tali da poter
costruire il percorso che conduce dal fatto contestato a quello accertato, senza
che possano intravedersi, lungo di esso, possibili deviazioni verso approdi diversi
ed altrettanto ragionevolmente accettabili (Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011,
Javaid, Rv. 251507).
6.3.In sede di legittimità, invece, il giudizio di coerenza e non manifesta
illogicità della motivazione non può fondarsi su un inammissibile e rinnovato
esame del compendio probatorio già utilizzato dal giudice di merito per giungere
6

dell’effettività del dominio che egli, in quanto proprietario, aveva del luogo in cui

alle sue conclusioni; a meno che tale compendio non sia frutto del travisamento
della prova (dai ricorrenti non denunciato e sempre che tale travisamento sia
davvero e concretamente in grado di disarticolare il ragionamento posto a
fondamento della condanna e condurlo verso approdi alternativi altrettanto validi
– cfr., sul punto, Sez. 6, n. 15054, del 24/03/2006, Strazzanti, Rv. 233454), la
Corte di Cassazione non può sovrapporre la propria logica a quella dei giudici di
merito (nel che sta il requisito della manifesta illogicità quale limite al sindacato
di legittimità), dovendosi limitare a verificare che il ragionamento seguito nelle

illogico (cfr, da ultimo, in motivazione, Sez. 2, n. 9026 del 05/11/2013, Palumbo,
Rv. 258525; nello stesso senso, Sez. U, n. 12 del 31 maggio 2000, Jakani,
secondo la quale

«è normativamente preclusa la possibilità non solo di

sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta
nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia
portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo
che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno;
ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del
provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto
costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di
legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sé e
per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri
valutativi da cui essa è “geneticamente” informata, ancorché questi siano
ipoteticamente sostituibili da altri»;

cfr., anche, Sez, U, n. 47289 del

24/09/2003 e Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, secondo le quali,

«l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett
e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare
percepibile “ictu oculi”, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del
legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza
possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni
processuali»).
6.4.Alla luce delle considerazioni che precedono pare evidente che le
censure mosse dai ricorrenti alla sentenza impugnata propongono una non
consentita rivalutazione del medesimo materiale probatorio sottoposto al vaglio
della Corte territoriale.
6.5.La Corte d’appello ha indicato in modo chiaro le fonti del suo
convincimento in ordine: a) alla periodicità delle emissioni e alla loro durata; b)
alla intensità degli odori, alla gravità e alle conseguenze delle emissioni, in

7

precedenti fasi di giudizio sia intrinsecamente coerente e non manifestamente

termini non solo di fastidio, ma anche di malessere fisico dei vicini di casa; c)
alla provenienza dall’attività di fusione di metalli dall’abitazione degli imputati.
6.6.1 ricorrenti non denunciano il travisamento delle prove poste dalla Corte
a fondamento del proprio convincimento ma, attraverso il richiamo anche ad
altre prove (e la trascrizione parziale di alcune di esse) acquisite nel corso del
processo, surrettiziamente ripropongono in questa sede un inammissibile
riesame, nel merito, dell’intera vicenda.

pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione, in solido, delle spese del
grado sostenute dalla parte civile che, avuto riguardo ai parametri di cui alle
tabelle allegate al D.M. Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012 (vigenti pro-tempore),
all’impegno profuso, all’oggetto e alla natura del processo, si ritiene di dover
liquidare nella misura complessiva di C 3.000,00 per compenso professionale,
oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Condanna i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese del grado in favore
delle costituite parti civili, che liquida complessivamente in C 3.000,00, oltre
accessori di legge.
Così deciso il 27/03/2014

7.11 ricorso, dunque, deve essere respinto e i ricorrenti condannati al

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