Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3983 del 16/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3983 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PELLECCHIA GIUSEPPE N. IL 27/11/1981
avverso la sentenza n. 11989/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
24/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA
PELLEGRINO;

Data Udienza: 16/12/2014

osserva

2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, tramite difensore, lamentando,
quale formale motivo unico, la violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen.
per mancanza, erroneità e contraddittorietà della motivazione con riferimento
all’art. 62 n. 6 cod. pen., riconoscendo come il vaglia postale, pur non potendo
essere assimilato all’atto di offerta reale integri, sicuramente, tutti i
presupposti idonei a costituire una valida messa a disposizione della somma e,
soprattutto, costituisce prova evidente della volontà dell’offerente di elidere
ovvero attenuare le conseguenze del reato commesso.
3. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile il ricorso per
cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di
quelli già dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito,
dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto
non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto
di ricorso (v., tra le tante, Sez. 5, sent. n. 25559 del 15/06/2012, Pierantoni;
Sez. 6, sent. n. 22445 del 08/05/2009, p.m. in proc. Candita, Rv. 244181;
Sez. 5, sent. n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708). In altri
termini, è del tutto evidente che a fronte di una sentenza di appello, da
leggersi in integrazione con quella di primo grado in presenza di una c.d.
“doppia conforme”, che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la
pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può
essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla
Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente
privi dei requisiti di cui all’art. 581 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), che
impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni
richiesta (Sez. 6, sent. n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838).
Invero, i giudici d’appello, con motivazione congrua e priva di vizi logicogiuridici capace di superare gli odierni reiterati rilievi difensivi, hanno
riconosciuto come “… correttamente … è stata esclusa l’operatività
dell’attenuante del risarcimento del danno per l’irritualità e la mancata
accettazione dell’offerta e dunque le censure opposte dall’appellante sul punto
vanno fermamente disattese”. Al riguardo, evidenzia il Collegio come il
ricorrente, nei motivi di appello, nulla avesse dedotto in merito alla pretesa
validità dell’avanzata offerta reale (tacendone anche le modalità di
effettuazione, che, solo nel ricorso per cassazione, si apprende che sarebbero
avvenute tramite l’invio di un vaglia postale): modalità che già il giudice di
primo grado aveva “censurato” nei suoi aspetti formali evidenziandone i
mancati effetti (la stessa non era andata a buon fine). Ne consegue che
1

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Napoli, quarta sezione
penale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminava la
pena nei confronti di Pellecchia Giuseppe in anni due, mesi otto di reclusione
ed euro 360,00 di multa per il reato di cui agli artt. 56, 629 commi 1 e 2 in
relazione all’art. 628 comma 3 n. 3, 7 I. n. 203/1991.

l’assenza di prova in ordine al dedotto invio del vaglia (ovvero delle ragioni che
abbiano ostato all’incolpevole mancata ricezione da parte del destinatario)
rende del tutto insindacabile in questa sede la valutata oggettiva irritualità
dell’offerta e, tantomeno, consente di poterne valutare l’astratta congruità.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma il 16 dicembre 2014
Il Consigliere estensore

Il Presidente

4. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della
Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro
1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria.

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