Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 39822 del 26/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 39822 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Sganga Annarita, nata a Roma l’1.11.71
Saragò Pasqualino, nato a Vibo Valentia il 10.3.68
indagati artt. 44/c, 93, 94 e 95 D.P.R. 380/01; 181 d.lgs 42/04 e 434, 449 c.p.

avverso la ordinanza del Tribunale, Sezione per il Riesame, di Cosenza

del 30.7.14

Sentita, in udienza, la relazione del cons. Guida Mùlliri;
_ Sentito il P.M. nella persona del P.G. dr. Sante Spinaci, che ha chiesto il rigetto del_
ricorsa;
Sentiti i difensori degli indagati avv.ti Alessandro Diddi e Gino Perrotta, che hanno
insistito per l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Con l’ordinanza impugnata, il
Tribunale, Sezione per il Riesame, ha respinto l’appello proposto dagli odierni ricorrenti
avverso il diniego, da parte del G.i.p. di dissequestro e restituzione di un fabbricato sito in
Paola.

Data Udienza: 26/05/2015

2. Motivi del ricorso – Avverso quest’ultima decisione, i ricorrenti hanno proposto
ricorso, tramite difensore, deducendo apparenza della motivazione.
Dopo un accurato riepilogo dello svolgimento dei fatti, e degli atti che hanno preceduto
il provvedimento impugnato, i ricorrenti contestano la motivazione di quest’ultimo
sostenendone la apparenza ed illogicità, sia, in punto di gravità indiziaria, che, di esigenze
cautela ri.
Sotto il primo aspetto, si ricorda, innanzitutto, che oggetto dell’istanza di restituzione
era solo il fabbricato e non anche l’area circostante.
Lo stesso Tribunale riconosce che l’immobile era stato realizzato legittimamente ed in
area priva di vincoli di edificabilità. Inoltre – sottolineano i ricorrenti – la perizia ha persino
affermato che l’immobile rappresenta un “fattore di stabilizzazione”.
Pur tuttavia, il Tribunale non ha accolto l’appello richiamando l’attenzione sul fatto che i
fattori condizionanti la frana sarebbero rappresentati da un complesso intreccio di condizioni di
tipo ambientale ed anche antropico ed, a tal fine, si fa riferimento ai “lavori di accumulo di
materiale di riporto sulla sommità del pendio e nei tagli del pendio eseguiti anche per la posa
in opera dei gabbioni di protezione”.
Così facendo, però, secondo i ricorrenti, il Tribunale individua un nesso causale che non
ha il benché minimo aggancio con l’oggetto della decisione posto che il fabbricato è stato
realizzato in un’area diversa da quella in cui è avvenuta la frana.
Del resto, gli accertamenti peritali hanno permesso di appurare che causa della frane
era stata la realizzazione di alcuni gabbioni posti in essere in esecuzione di una ordinanza
contingibile ed urgente emessa come misura di prevenzione e protezione di un’altra area
distinta e lontana da quella nella quale è stato realizzato il fabbricato.
Pertanto gli interventi antropici cui fa riferimento il Tribunale sono i gradoni e non il
fabbricato di cui si chiede la restituzione.
La critica dei ricorrenti si rivolge anche alla parte di motivazione relativa al periculum in
mora dal momento che lo stesso Tribunale premette che l’immobile è realizzato in un’area di
rispetto sulla quale non esistono vincoli di edificabilità e che, comunque, ivi sono presenti altri
fabbricati attualmente abitati sì che la tesi che la libera disponibilità dell’immobile sia un rischio
per la collettività risulta oscura ed immotivata.

I ricorrenti concludono invocando l’annullamento della ordinanza impugnata.

2

Tale immobile era stato sottoposto a sequestro preventivo in quanto, a seguito del
verificarsi di una frana in zona collinare sottostante il parcheggio dell’ospedale di Paola, era
stata riscontrata l’esistenza di lavori in corso per la riconformazione strutturale dell’immobile
di proprietà dei ricorrenti che avrebbero realizzato un immobile in difformità sostanziale
rispetto a quanto assentito dal permesso di costruire, in area qualificata “con rischio
idrogeologico associato R4”.
Per tale ragione, il P.M. aveva disposto un sequestro preventivo di urgenza anche del
manufatto in questione ravvisando elementi indizianti a carico degli indagati in ordine ai reati
di cui agli artt. 44/c, 93, 94 e 95 D.P.R. 380/01, 181 d.lgs 42/04 e 434, 449 c.p, per avere
effettuato la demolizione e ricostruzione del fabbricato di via Madonna delle Grazie, del comune
di Paola, in difformità del permesso di costruire, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico,
ambientale, sismico ed idrogeologico, nonché, avere effettuato lavori di sbancamento,
sistemazione area esterna con lavorazioni di movimento terra, sistemazione di gabbionatura a
gradoni e posizionamento di gabbioni in pietra, alla base del costone precedentemente tagliato
con mezzi meccanici. Il tutto, senza avere depositato gli atti progettuali presso l’ufficio del
Genio civile competente ed avere cagionato lo smottamento dell’intera area in terra battuta
circostante il parcheggio dell’ospedale di Paola.
La richiesta di riesame proposta contro il predetto decreto era stata respinta. In seguito
all’espletamento di una perizia, in incidente probatorio, i ricorrenti avevano avanzato
un’istanza di dissequestro e restituzione dell’immobile che, però, come detto è stata respinte e
tale reiezione è stata confermata dal Tribunale, Sezione per il Riesame.

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CONSIDERATO IN DIRITTO

La ragione precipua di tale pronuncia ‘va rinvenuta, per un verso, nella consideràzione
che, come sì evince anche d’alla sintesi dei motivi, le doglianze si sviluppano tutt’e àtti=averso
in argornentaiioni éhé attengono al merito e, per altro verso, nella constatazione che, lungi
dall’essere rispondente al vero ciò che i ricorrenti assumono, il provvedimento impugnato
spiega le ragioni del proprio convincimento, innanzitutto, richiamandosi – giustamente – alle
risultanze della perizia posto che essa costituisce l’unico novum rispetto al giudicato cautela’re
già formatosi sul provvedimento ablativo in discussione.
E’ ben vero che il Tribunale dà atto che in base alla perizia non risulta che il fabbricato
abbia causato la frana ma, al contempo, osserva che – proprio come ricordato dai ricorrenti la perizia individua «i fattori condizionanti in un complesso intreccio di condizioni di tipo
ambientale ma anche antropico, nella specie, i lavori di accumulo di materiale di riporto sulla
sommità del pendio e nei tagli del pendio eseguiti anche per la posa in opera dei gabbioni di
protezione». Sulla base di tali rilievi (peraltro non discussi neppure dai ricorrenti, il Tribunale,
individua, pertanto la sussistenza del fumus che legittima il provvedimento cautelare in atto.

Per quel che attiene, poi, in particolare al fabbricato di cui qui viene chiesta la
restituzione il Tribunale riconosce che esso si trova in un’area definita “fascia di rispetto”
rispetto alla zona a rischio frana appena descritta ma sottolinea, altresì (in tal modo legittimando la
persistenza anche di esigenze cautelari), che «anche alla luce delle Linee Guida al PAI», la “fascia di
rispetto” limitrofa alla zona R4 è zona che, pur non sottoposta a vincolo di edificabilità, «è
considerata in astratto pericolosa, siccome fisiologico teatro di sfogo di un eventuale fenomeno
franoso».
Il rilievo conduce pertanto il Tribunale, anche in presenza di «carenze di tipo conoscitivo
sul reale stato dei luoghi interessati» a concludere logicamente che, in questa fase cautelare,

in attesa di studi dettagliati e maggiori approfondimenti che verosimilmente ci saranno nel
corso del procedimento, sia più che mai opportuna la cautela in atto anche sull’immobile di cui
qui viene invocata la restituzione. Significativa, a tal fine, è, resto la evidenziazione, da parte
dei giudici di merito, del fatto che sia stato lo stesso perito ad affermare (pag. 68 dell’elaborato)
che, «allo stato, attuale è sconsigliata l’ubicazione di un fabbricato a così ridotta distanza dalla
frana».

In buona sostanza, è fin troppo evidente, quindi, che, contrariamente a quanto
affermato dai ricorrenti, il provvedimento impugnato non difetta per nulla di motivazione né la
stessa può essere definita apparente. Al contrario, essa ha precisi contenuti nei quali viene
argomentatannente giustificata (soprattutto in base alla perizia) la necessità di mantenere il
sequestro.
Volendo, la decisione può essere discutibile ma sicuramente non è affatto illogica
mentre le opposte considerazioni dei ricorrenti, lungi dal dimostrare la “apparenza” della
motivazione, censurano la spiegazione offerta dai giudici di merito (che – palesemente – non è da
essi condivisa) e, nel fare ciò, si basano anche su asserzioni non documentate (come, ad esempio,
quando sostengono che la perizia avrebbe affermato che l’immobile di cui si va trattando rappresenterebbe un
“fattore di stabilizzazione”).

I ricorsi, quindi finiscono per mettere in discussione la motivazione la qual cosa, però,
non è consentita in questa fase essendo stato reiteratamente affermato da questa S.C. a
SS.UU. (per tutte, 29.5.08, Ivanov, Rv. 239692) che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in
materia di sequestro preventivo o probatorio «è ammesso solo per violazione di legge, in tale
nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in judicando” sia quei vizi della motivazione
così radicali da rendere l’apparato argomenta tivo posto a sostegno del provvedimento o del
tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi
inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice» ( conf. SU., 29 maggio 2008 n.

25933, Malgioglio, non massimata sul punto).

3

3. Motivi della decisione – I ricorsi sono inammissibili.

Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e, ciascuno, al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di
1000 C.

P.Q. M .
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.

Così deciso il 26 maggio 2015
Il Presidente

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e,
ciascuno, al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C

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