Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 39812 del 22/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 39812 Anno 2014
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIGOLI SIGNORINO N. IL 11/10/1949
avverso la sentenza n. 5855/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
24/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
rocuratore Generale in persona del Dott.
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ha concluso per

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Udit

l’Avv

Data Udienza: 22/04/2014

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Eduardo Vittorio Scardaccione, che ha concluso per il rigetto
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24 gennaio 2013 la Corte d’ Appello di Milano
confermava la sentenza del Tribunale di Pavia del 20.5.2009 con la quale
Rigoli Signorino era stato condannato, con concessione delle circostanze
attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, alla pena di anni tre di

222, 216, primo comma, n. 1 R.D. n. 267/42, per avere, in qualità di
amministratore di fatto, in concorso con Benenati Salvatore – giudicato
separatamente- amministratore di diritto della società “La Bottega del pane
s.a.s.”, dichiarata fallita dal Tribunale di Pavia in data 2.4.2002, distratto
dalla massa fallimentare le merci acquistate dalla società poi fallita, nel
periodo fine anno 2000-primo semestre 2001, del valore complessivo di euro
361.801,39 ovvero i proventi delle vendite di tali merci; agli artt. 110 c.p.,
222, 216, primo comma, n. 2 L. F. per avere, in concorso con il Benenati,
nella suddetta qualità, sottratto con lo scopo di procurare a sé, o ad altri, un
ingiusto profitto, i libri e le scritture contabili della fallita, con l’aggravante di
avere commesso più fatti di bancarotta (art. 219 comma 2 L.F.).
2.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione

l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, affidato a tre motivi di ricorso,
lamentando:
2.1. con il primo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui agli artt. 606,
primo comma, lett. b) ed e) c.p.p., per erronea applicazione di norme
giuridiche, di cui deve tenersi conto nell’ estrinsecazione della legge penale e
manifesta illogicità della motivazione emergente dal testo del provvedimento
impugnato, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi delle
fattispecie di reato in contestazione. In particolare:
-con riguardo al reato di cui all’art. 216, comma primo, n.2, i giudici
di merito hanno errato nel ritenere configurabile nei confronti del ricorrente il
reato di bancarotta documentale, in concorso con l’amministratore di diritto,
atteso che l’obbligo di tenuta e del mantenimento delle scritture sociali è
attribuito esclusivamente all’imprenditore, unico gravato dal dovere di
conservazione e tenuta dei libri e delle scritture contabili, unico a dover
effettuare le scritturazioni nei registri obbligatori di impresa, ai sensi dell’art.
2214 c.c. e ciò in stretto riferimento alla qualifica ricoperta; che si tratta di
un obbligo soggettivamente riservato e non oggettivamente estensibile a
terzi, diversi ed estranei alla compagine societaria, tranne che gli estranei

1

reclusione, oltre alla pena accessoria, per i reati di cui: agli artt. 110 c.p.,

non abbiano compiuto attività specifica di materiale ritenzione delle dette
scritture, circostanza che nel caso specifico non è in contestazione e
comunque, non sussiste;
-con riguardo, al reato di bancarotta per distrazione di merce o di
proventi derivanti dalle vendite di beni societari, tale ipotesi non poteva
essere addebitata automaticamente al ricorrente non portatore delle quote
della s.a.s., sulla base della semplice mancanza di merce o dei ricavi della
vendita di merce e della semplice constatazione del dissesto; che occorreva

distrazione a proprio favore delle somme pertinenti all’attività commerciale
propria della fallita; che i testi citati nella sentenza non hanno mai fatto
riferimento al ricorrente, addebitandogli condotte di appropriazione indebita
di somme della società di cui lo stesso si occupava tra il novembre 2000 ed il
giugno 2001, con la finalità di portarla al fallimento;
2.2. con il secondo motivo, la ricorrenza dei vizi dì cui agli artt. 606
primo comma, lett. b) ed e) c.p.p. in relazione al combinato disposto di cui
agli artt. 192 e 546 c.p.p. quanto all’identificazione dell’autore dei reati
addebitati nel ricorrente. In particolare, con i motivi di appello veniva
specificamente devoluta la questione afferente l’identificazione di Commisso
Saro, zio del Benenati, in “Signorino Rigoli”, ma alle questioni così
prospettate la Corte di Appello non ha dato risposta alcuna; che il difetto di
motivazione sul tema dunque è validamente rilevato con l’atto di gravame,
posto che l’interpretazione dei fatti operata dalla sentenza di primo grado, è
stata ricavata in base alla sola deposizione della Merri, senza il dovuto
confronto con complessivo materiale probatorio, rappresentato dalla
deposizione del teste Baroncelli e dalla non corretta individuazione del figlio
di Signorino Rigoli, alias Commisso Saro nella effige di altro imputato
(assolto);
2.3. con il terzo motivo il vizio di cui agli artt. 606, primo comma, lett.
b) ed e) c.p.p., in relazione al disposto dell’art. 133, 62 bis e 69 c.p. per
difetto di motivazione ed illogicità della stessa, circa l’ insussistenza dei
presupposti per il bilanciamento con giudizio di prevalenza delle concesse
attenuanti generiche, atteso che la sentenza di appello afferma che “la
specificità del precedente, pur se risalente nel tempo (1991) limita il giudizio
di comparazione che non può approdare alla più favorevole ed invocata
prevalenza” , ma trattasi di un giudizio meramente apodittico, posto che
l’affermazione acritica di quella vicenda processuale rispetto a quella in
contestazione rappresenta una motivazione di stile.
CONSIDERATO IN DIRITTO

2

il riferimento fattuale alla individuazione di condotte di ‘incasso’, ovvero di

Il ricorso non merita accoglimento.
1.Con il primo motivo di ricorso il ricorrente in sostanza non contesta la
correttezza del percorso logico delle sentenza di merito circa la presenza della
figura di un amministratore di fatto della società fallita, desumibile dalle
convergenti dichiarazioni in proposito rese dai testi Balzari, Merri e Barocelli,
secondo cui altra persona, che si presentava come lo “zio” diversa dal
Benenati , amministratore di diritto si occupava della “gestione effettiva” della
società, ma deduce la specifica non riferibilità al ricorrente delle ipotesi

oltre che delle modalità relative alla sua identificazione. D’altra parte la
questione relativa la ricorrenza della qualità di amministratore di fatto e
l’accertamento degli elementi sintomatici in grado di rivelare la gestione o la
cogestione della società da parte dello stesso è questione squisitamente di
merito, insindacabile in sede di legittimità ove assistita da motivazione
congrua e pertinente (Sez. V, n. 22181 del 19.2.2013 e Sez. V, n. 35249 del
03/04/2013). Nella specie, invero, la corte di merito, con ragionamento logico
immune da censure, ha tratto dalle dichiarazioni dei testi escussi- secondo cui
lo “zio” o “signor Saro” gestiva le forniture, provvedeva al pagamento degli
stipendi , ritirava gli incassi- ragionevoli e non equivoci elementi per ritenere
configurabile la qualità di amministratore di fatto (Sez. V, n. 35249 del
03/04/2013).
1.1. Con riguardo specifico, poi, alla responsabilità dell’imputato in merito
alla bancarotta fraudolenta documentale, giova richiamare i principi espressi
più volte da questa Corte, secondo cui risponde dei delitti di bancarotta
anche l'”amministratore di fatto” che abbia esercitato in concreto poteri di
amministratore di una società in nome collettivo o in accomandita semplice
pur non rivestendo la qualità di “socio illimitatamente responsabile” (Sez. V,
13/10/2009, n. 43036); inoltre, in tema di bancarotta fraudolenta
documentale, l’amministratore di fatto è penalmente responsabile per la
sottrazione e/o distruzione delle scritture contabili obbligatorie, non rilevando
che l’attività da lui prestata abbia carattere meramente materiale e non di
rappresentanza (Sez. V, 19/02/2013, n. 22181). L’amministratore di fatto
della società fallita, invero, è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri
cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre
condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale
responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili
(Sez. V, n. 39535 del 20/06/2012).
In tale contesto, non appare censurabile, né sotto il profilo della violazione
di legge, né sotto quello del vizio motivazionale, la valutazione del giudice

3

delittuose della bancarotta fraudolenta patrimoniale distrattiva e documentale,

d’appello che ha ritenuto che nella dinamica dell’operazione distrattiva l’ipotesi
di bancarotta fraudolenta documentale costituiva lo strumento per eludere
qualsiasi accertamento circa l’assenza di beni o liquidità, per cui l’imputato si
è rappresentato le conseguenze della sua condotta di cui ha accettato
preventivamente il risultato e, dunque, deve rispondere anche del reato di
bancarotta documentale. In proposito deve evidenziarsi come l’esistenza
delle scritture contabili risulti attestata dal verbale in data 22.5.2001 di
restituzione di esse da parte dello studio commerciale Balzari

rinvenimento di tale documentazione, essendo all’evidenza propedeutico alla
sottrazione dei beni, avvenuta, secondo la contestazione anche all’epoca
della restituzione dei libri contabili, deve senz’altro essere ascritto anche
all’amministratore di fatto, autore di essa.
1.2. Per quanto concerne, poi, il reato di bancarotta fraudolenta
patrimoniale ascritto all’imputato si osserva che affinché l’amministratore di
fatto di una società possa essere ritenuto responsabile del reato di bancarotta
fraudolenta patrimoniale per distrazione, occorre che abbia posto in essere
atti tipici di gestione, nella consapevolezza delle implicazioni della condotta
tipica del soggetto qualificato. Nel caso di specie tale prova, sulla base di
quanto emerge dalla sentenza impugnata, è stata pienamente raggiunta
sicchè trovano applicazione i principi più volte espressi da questa corte,
secondo cui in tema di reati fallimentari l’amministratore di fatto risponde
delle condotte da lui poste in essere e che integrano i delitti di bancarotta
(Sez. V, 20/06/2012, n. 39535); l’attività di gestione dallo stesso compiuta
rende automaticamente applicabile nei suoi confronti il principio secondo il
quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità
dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata
giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della
dolosa sottrazione (arg. ex Cassazione penale, sez. V, 23/01/2012, n. 11649).
2. Infondato, ai limiti dell’inammissibilità, si presenta il secondo motivo di
ricorso con il quale, a dispetto dei vizi formalmente denunciati, nel contestare
l’identificazione dell’autore dei delitti nel ricorrente in realtà si sollecita il
giudice di legittimità a formulare valutazioni di merito sostitutive di quelle
effettuate dal giudice d’appello e sostenute dal medesimo con motivazione
coerente al compendio probatorio disponibile. Ed invero, la sentenza
impugnata dà atto che i testi Merri Alessia (addetta alla cassa) ed il Barocelli i quali avevano indicato nello “zio”, o signor Saro, come colui che in concreto
gestiva l’attività commerciale, riscuotendo i soldi dalla cassa e
sovrintendendo il negozio- entrambi riconoscevano nella foto n. 5 dell’album
4

all’amministratore di diritto della società, sícchè il mancato successivo

fotografico, corrispondente appunto a Rigoli Signorino, il soggetto in
questione; tale identificazione in uno alla sentenza del Tribunale di Acqui
Terme del 1.2.2006, divenuta irrevocabile, con la quale veniva accertata
l’identità del sig. Saro, in Rigoli Signorino, ha indotto correttamente i giudici di
merito a ritenere senza dubbio da identificarsi in quest’ultimo quale autore
degli illeciti in contestazione.
Il ricorrente non si confronta con tale coerente ricostruzione ed effettua
valutazioni di merito disancorati da essa, che come detto non possono
3. Inammissibile, poi, siccome manifestamente infondato si presenta l’ultimo
motivo di ricorso, con il quale il Rigoli censura il giudizio di equivalenza delle
circostanze generiche attenuanti con la contestata aggravante.
In proposito, sia il giudice di prime cure, che quello di appello hanno
ritenuto che la specificità del precedente per bancarotta a carico dell’imputato
impedisse di approdare alla più favorevole prevalenza delle attenuanti e tale
valutazione non è censurabile in questa sede, atteso che in tema di concorso
di circostanze, questa Corte ha più volte affermato il principio, secondo cui le
statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed
attenuanti sono denunciabili in sede di legittimità soltanto nell’ipotesi in cui
siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico, e non anche
qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell’equivalenza, allorchè
il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’art. 69 cod. pen.,
l’abbia ritenuta la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena in concreto
irrogata (Sez. 6, n. 6866 del 25/11/2009), come è avvenuto nella fattispecie
in esame.
4. Il ricorso va, dunque, rigettato ed il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese processuali.
p.q.m.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali
Così deciso il 22.4.2014

costituire oggetto di analisi in questa sede di legittimità.

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