Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 39792 del 12/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 39792 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: DE BERARDINIS SILVANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI ME0 PASQUALE N. IL 16/02/1948
avverso la sentenza n. 22103/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
26/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SILVANA DE BERARDINIS
Udito il Procuratore Generale in persona s el Dott
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 12/05/2015

FATTO E DIRITTO

Con sentenza in data 26.3.14 la Corte di Appello di Napoli pronunziava la parziale riforma della
sentenza emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 2.7.13,nei confronti di DI
ME0 Pasquale ,e riqualificata l’originaria imputazione sub E) ai sensi dell’art.469 CP.
rideterminava la pena per il Di Meo in anni uno mesi tre di reclusione €200,00 di
multa;confermava nel resto l’appellata sentenza.
Nella specie si era affermata la responsabilità dell’imputato nell’ambito del più vasto

usura,addebitando al predetto i reati di cui ai capi :
-D), (artt.477-482 CP per aver contraffatto carte di identità e certificati di residenza,ed altri
certificati apparentemente rilasciati dal Comune di Santa Maria Capua Vetere,consegnandoli a
Borrozzino Vincenzo-in Napoli fino al 9/4/2009);
– E) ascritto originariamente ai sensi dell’art.468 CP.per avere contraffatto i sigilli dello Stato
relativi alla Agenzia delle Entrate,alla Procura della Repubblica di Napoli,a1Tribunale dì Santa
Maria Capua Vetere,Sezione fallimentare,alla Procura della Repubblica di Monza ed ai
Carabinieri e Polizia di Stato.-fino al 9/4/2009Tale ipotesi accusatoria si riteneva dimostrata da deposizione resa dal teste Borrozzino, e
dall’esito di perquisizione domiciliare eseguita nell’abitazione del Di Meo,ove erano stati
rinvenuti documenti contraffatti che venivano poi utilizzati per richiedere finanziamenti sotto
falso nome.
-In dibattimento aveva reso testimonianza il maresciallo dei CC. che aveva eseguito le
indagini(comprensive di intercettazioni telefoniche )Tra i documenti sequestrati vi erano quelli intestati a vari enti pubblici,ed era stato sottoposto
al sequestro anche il computer nella cui memoria vi erano fac simili di documenti contraffatti.

La Corte territoriale aveva qualificato il reato sub E) ai sensi dell’art.469 CP evidenziando (a
f1.30 della motivazione) che nel caso di specie non risultava dimostrata la predisposizione dì un
“programma informatico” che rendeva possibile la riproduzione dell’impronta della P.A. ,per
una serie indeterminata di reati,bensì si trattava di un semplice documento (file)
informatico,recante l’impronta contraffatta dell’ente pubblico, e pertanto la fattispecie era
riconducibile a quella prevista dall’art.469 CP.
A riguardo richiamava sull’argomento i princìpi sanciti dalla giurisprudenza di questa Corte,

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore,deducendo:
1-l’erronea applicazione della legge penale,in ordine ai capi D-ed EA riguardo rilevava che il giudizio a carico dell’imputato era basato sull’esito di perquisizione
domiciliare,e che il predetto ricorrente -secondo le intercettazioni-aveva avuto contatti solo
con il Borrozzino,al quale aveva fornito delle buste-paga per richiedere dei finanziamenti.

procedimento a carico di esponenti di una organizzazione dedita all’attività di

La difesa ravvisava nella impugnata sentenza l’erronea applicazione della legge in riferimento
al capo D-originariamente ascritto secondo l’ipotesi dell’art.468 CP.,evidenziando che i
documenti erano salvati all’interno di un computer e che non risultava predisposto un
programma informatico .
Deduceva inoltre carenza di motivazione in relazione alle richieste avanzate in via subordinata
dall’appellante.

Il ricorso risulta inammissibile.
Invero è da evidenziare che dal testo della sentenza si desume l’attenta analisi dei fatti e la
adeguata valutazione dei presupposti che integrano le ipotesi di reato,che risultano ascritte
all’imputato in base alle risultanze della perquisizione domiciliare ,nel corso della quale era
stata rinvenuta la documentazione contraffatta,non smentita dalla difesa.
Orbene,la fattispecie di cui all’art.469 CP è stata correttamente applicata nella specie,alla
stregua dei rilievi articolati dalla Corte territoriale che ha reso conto della esistenza degli
elementi idonei a configurare la diversa ipotesi di reato,specificando come-nella specie-sia
stata acquisita la prova limitatamente alla contraffazione di documenti e certificati
amministrativi,senza l’accertamento della utilizzazione di un determinato programma
informatico ,compiendo una verifica esaustiva delle risultanze processuali .Sul punto la
decisione si rivela in sintonia con il principio enunciato da questa Corte con sentenza,Sez.V del
9.11.2009,n.42621-RV212208-(e precedente Sez.V del 25.1.1999,n.6037-secondo cui mentre
l’ipotesi delittuosa prevista dall’art.469 CP presuppone una falsificazione dell’impronta del
sigillo del pubblico ufficio,attuata,di volta in volta,con i più diversi mezzi,i1 reato previsto
dall’art.468 CP presuppone invece che si abbia la disponibilità di uno strumento idoneo non ad
una sola ,ma a tante riproduzioni della stessa impronta,facilmente attuabili mediante la
semplice apposizione del sigillo sul documento falsificatoIn conclusione si rileva l’assoluta genericità e ripetitività delle censure formulate dalla
difesa,che non indicano dati probatori e punti della motivazione dai quali sia desumibile
l’erronea applicazione della legge penale.
La censura inerente ai vizi della motivazione sulle richieste subordinate ,si rivela
manifestamente infondata,dato che dal testo del provvedimento si evince che il giudice di
merito ha reso specifica motivazione sulla mancata concessione delle attenuanti generiche,così
come sulla configurabilità dell’aggravante del nesso teleologico,e la pena risulta rideterminata
conformemente ai criteri enunciati dall’art.133 CP.
Pertanto va dichiarata l’inammissibilità del ricorso,per manifesta infondatezza.
Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di
una somma in favore della Cassa delle Ammende,che si reputa equo determinare in €1.000,00.

Pertanto chiedeva l’annullamento del provvedimento impugnato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.

Il Consigliere relatore

Roma,deciso in data. 12 maggio 2015.

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