Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3975 del 16/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3975 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FERRARI ROBERTO N. IL 23/04/1959
avverso la sentenza n. 1346/2010 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 19/12/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA
PELLEGRINO;

Data Udienza: 16/12/2014

osserva
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Catanzaro, seconda
sezione penale, confermava la pronuncia di primo grado che aveva condannato
Ferrari Roberto alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro
400,00 di multa per il reato di ricettazione di assegno bancario.

3. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
Il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili
in questa sede, si è per lo più limitato a riprodurre le stesse questioni già
devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese, con
motivazione del tutto coerente e adeguata che non è stata in alcun modo
sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione. È ormai pacifica
acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere
ritenuto inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che
riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice
del
gravame,
dovendosi
gli
stessi
considerare
non
specifici.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo
per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la
mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata
e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima
non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio
di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 cod. proc. pen., comma 1,
lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso, Sez. 2, sent. n.
29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, sent. n.
28011 del 15/02/2013, Sammarco, rv. 255568; Sez. 4, sent. n. 18826 de
09/02/2012, Pezzo, rv. 253849; Sez. 2, sent. n. 19951 del 15/05/2008, Lo
Piccolo, rv. 240109; Sez. 4, sent. n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, rv.
236945; Sez. 1, sent. n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, rv. 230634; Sez. 4,
sent. n. 15497 del 22/02/2002, Palma, rv. 221693).
Invero, i giudici d’appello, con motivazione congrua e priva di vizi logicogiuridici capace di superare gli odierni reiterati rilievi difensivi, hanno
riconosciuto che “… quanto all’omessa notificazione dell’avviso di cui all’art.
415 bis cod. proc. pen, anche a voler accedere alla tesi difensiva … va rilevato
che si tratta di nullità a regime intermedio che non può più essere eccepita
dopo la deliberazione della sentenza di primo grado. Non può essere condivisa
l’eccezione di nullità per omessa notificazione del decreto di citazione a seguito
di rinnovazione disposta alla prima udienza dibattimentale, risultando
l’avvenuta notificazione eseguita a mani del difensore attesa l’irreperibilità
dell’imputato. Ancora non è causa di nullità l’asserita irrituale dichiarazione di
irreperibilità dell’imputato dopo la deliberazione della sentenza di primo grado,
dovendosi ritenere esaustive le ricerche dell’imputato disposte dal primo
giudice con esito negativo in vista della notifica dell’estratto contumaciale
avvenuto anche in questo caso a mani del difensore. Nel merito le doglianze
1

2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, tramite difensore, lamentando
carenza di motivazione e reiterando le censure sollevate in atto di appello

4. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della
Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro
1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma il 16 dicembre 2014
Il Consigliere estensore

Il Presidente

difensive appaiono prive di fondamento. Non v’è ragione di dubitare della
genuinità ed attendibilità delle dichiarazioni rese dal Chimento che, a riprova
della propria buona fede, ebbe a firmare per girata il titolo, cosa che anzi non
fece il Ferrari. Condivisibili sono le motivazioni della sentenza impugnata
laddove trae la ricorrenza dell’elemento soggettivo del delitto contestato
dall’assenza di qualsiasi giustificazione offerta dall’imputato nel corso delle
indagini e del processo circa la provenienza altrimenti legittima del titolo.
L’appello non merita accoglimento del pari in relazione alla possibilità di
riconoscere la lieve entità del fatto avendo la sentenza specificamente motivato
sul punto escludendo, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità, la
possibilità di tale derubricazione a causa della pericolosità della condotta e
della potenzialità del danno derivante dalla circolazione di un titolo di credito.
Non può essere riconosciuta, atteso l’importo della somma in definitiva truffata
ai prenditori in buona fede dell’assegno, la circostanza di cui all’art. 62 n. 4
cod. pen.. Va confermato infine anche il trattamento sanzionatorio che appare
equo e conseguito mediante il riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche … “.

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