Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3971 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3971 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: LOCATELLI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE CHIARA CARMINE N. IL 04/07/1959
avverso la sentenza n. 64/2012 CORTE MILITARE APPELLO di
ROMA, del 17/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2013 la relazione fatta dal

Consigli= Dott. GIUSEPPE LOCATELLI
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Udito il Procuratore Generale in personadel Dott.
che ha concluso per 2 1 cvt,
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit gclifensor62-Q. nk ‘cava:V.

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Data Udienza: 28/11/2013

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21.2.2012 il Tribunale militare di Roma dichiarava De
Chiara Carmine colpevole del reato di insubordinazione con ingiuria
pluriaggravata perché, quale militare rivestito del grado di Maresciallo dei
Carabinieri in missione all’estero, rivolgeva le seguenti espressioni ingiuriose al
Ten.Colonnello Tornabuoni, mediante messaggi di posta elettronica allo stesso
diretti e fatti pervenire a più Comandi collegati, “non credo che lei abbia le
competenze tecnico professionali, la invito ad evitare di muovermi i suoi

inevitabilmente e sterilmente la concentrazione sulla mia attività che ha priorità
assoluta” Accertato in Libano il 3.12.2010. Per l’effetto lo condannava alla pena
di mesi 4 di reclusione con i doppi benefici.
Con sentenza del 17.10.2012 la Corte militare di appello confermava la
condanna limitatamente alle espressioni ingiuriose “detta scomposta azione di
comando disturba inevitabilmente e sterilmente la concentrazione sulla mia
attività che ha priorità assoluta”, ed esclusa l’aggravante del pubblico scandalo
prevista dall’art.47 n.4 cod.pen.mil .pace , riduceva la pena inflitta a mesi due di
reclusione militare, ritenendo che le restanti espressioni fossero sussumibili nel
diritto di critica.
Avverso la sentenza il difensore ricorre per i seguenti motivi:1) violazione di
legge e mancanza e\o manifesta illogicità della decisione nella parte in cui la
Corte di appello ha attribuito valenza ingiuriosa all’uso dell’aggettivo
“scomposta” riferita all’azione di comando svolta dal superiore gerarchico,
mentre si tratta di espressione che non sembra esprimere alcun contenuto
intrinsecamente lesivo del prestigio ed in genere delle qualità personali del
superiore; la condotta specificamente ascritta all’imputato doveva essere
parametrata all’interno della sfera del diritto di critica; 2) erronea applicazione
della legge penale, mancanza o manifesta illogicità della motivazione con
riguardo alla ritenuta sussistenza della aggravante prevista dall’art.47 n.4
cod.pen.mil .pace di aver commesso il fatto in territorio estero: secondo il
ricorrente l’aggravante richiede l’estrinsecazione in territorio estero di una
relazione fisica diretta tra offeso e offensore; insufficiente motivazione in ordine
alla affermazione che le caserme italiane all’estero non godono della
extraterritorialità; 3) erronea applicazione della legge penale e vizio della
motivazione nella parte in cui la Corte ha concesso circostanze attenuanti
generiche con giudizio di equivalenza, anziché di prevalenza, rispetto alla
aggravante ritenuta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1

commenti denigratori dubitativi.. detta scomposta azione di comando disturba

1.La Corte di appello militare

ha ritenuto che l’epiteto “scomposta”,

affibbiato all’azione di comando posta in essere dal superiore, ne offende
certamente il prestigio e la reputazione mettendo in dubbio le competenze
professionali, con particolare riguardo alla espressione secondo cui l’azione di
comando del superiore “disturba sterilmente” l’attività di istituto dell’imputato;
ha ritenuto che le parole utilizzate dal ricorrente esulano completamente dal
diritto di critica, risolvendosi in un generale e generalizzato giudizio negativo
sulle attitudini al comando del superiore.

corrette, dovendosi considerare la peculiare oggettività giuridica della fattispecie
di insubordinazione prevista dall’art.189 comma 2 cod.pen.mil .pace, la quale
tutela non solo la dignità e l’onore del “superiore”, ma l’integrità e l’effettività del
rapporto gerarchico, che è funzionale al mantenimento della compattezza delle
forze armate. Inoltre il particolare rigore cui sono improntati i rapporti nella
disciplina militare, conduce a considerare offesa all’onore ed al prestigio ogni
atto o parola di disprezzo verso il superiore ed anche il tono arrogante, perché
contrari alle esigenze della disciplina militare per la quale il superiore deve
essere tutelato non solo nell’espressione della sua personalità umana, bensì
anche nell’ascendente morale che deve accompagnare l’esercizio dell’autorità del
grado e la funzione di comando. ( conformi Sez. 1, n. 7957 del 20/12/2006 dep. 26/02/2007, Frantuma, Rv. 236355; Sez. 1, n. 1172 del 12/07/1989 dep. 30/01/1990, Pesola, Rv. 183159).
2.La Corte militare di appello ha confermato la sussistenza dell’aggravante
di aver commesso il fatto in territorio estero sul rilievo che le caserme militari
all’estero utilizzate durante le missioni internazionali non godono del regime di
extraterritorialità. Il motivo di ricorso proposto è inammissibile per genericità,
poiché non porta alcuna argomentazione a sostegno della ipotizzata
extraterritorialità delle caserme italiane all’estero impiegate nel corso di missioni
internazionali di pace, ma deduce un inesistente difetto di motivazione sul punto
della sentenza impugnata.
3.La censura in ordine al giudizio di comparazione delle attenuanti
generiche, espresso in termini di equivalenza anziché di prevalenza come
richiesto dal ricorrente, si risolve nella sollecitazione di un diverso
apprezzamento di fatto non consentito nel giudizio di legittimità.
A norma dell’art.616 cod.proc.pen. il ricorrente deve essere condannato al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

s&st,
2

Le argomentazioni svolte, incensurabili nel merito, sono giuridicamente

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente

al pagamento delle spese

processuali.

Così deciso in Roma il 28.11.2013.

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