Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3970 del 28/11/2013
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3970 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CARTA SALVATORE N. IL 08/09/1975
avverso la sentenza n. 44/2012 CORTE MILITARE APPELLO di
ROMA, del 04/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2013 la relazione fatta dal
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Consigliere Dott. PIERA MARIA SEVERINA CAPRIOGLIO
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ) 1 :,,„,..<4,„,ki; Udito, per la ife civile, l'Avv ■ Uditi difensor Avv. t" U:„.c".A.4.--2, .CP/A-a kl1/4-4°
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A4..vt-3 tAtia&_. st , aikra cLu.t. Data Udienza: 28/11/2013 ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 4.7.2012, la corte militare d'appello di Roma confermava la sentenza pronunciata dal Tribunale militare di Verona, in data
8.11.2011 con cui CARTA Salvatore, caporal maggiore dell'esercito, in servizio presso
il decimo reggimento genio guastatori in Cremona, era stato ritenuto responsabile dei
reati di furto militare aggravato e di truffa militare aggravata in continuazione e
condannato alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione militare, con rimozione dal danno.
Era risultato che l'imputato, in epoca prossima al 29.2.2008, si era
impossessato di quattro assegni in bianco, tratti sul c/c acceso presso il Monte dei
Paschi di Siena, intestato al primo caporal maggiore, Stefano Salerno, che li deteneva
all'interno dell'armadietto della camerata in cui era ospitato lo stesso imputato, la cui
serratura era stata forzata. Gli assegni erano stati compilati con l'apposizione della
firma falsa del titolare del conto, con l'indicazione di cifre consistenti, quali quelle di
euro 2.860, 1345, 7330 e 7750 e poi girati a tale Roberto Paba, che li aveva
depositati sul suo conto a risparmio l presso l'ufficio postale di Sassari.
Il compendio probatorio muoveva appunto dalle dichiarazioni di quest'ultimo,
che aveva riconosciuto nell'imputato colui che gli aveva consegnato i quattro assegni,
compilandoli e firmandoli davanti a lui, nonché dal dato storico dell'allontanamento
del titolare degli assegni per ragioni di servizio dalla comune (con il Carta) sede di
lavoro e dell'intervenuta falsificazione della firma del Salerno, ad opera di soggetto
che conosceva bene il di lui modo di sottoscriversi. Non solo, ma le indagini puntarono
sul Carta, in primis perché era l'unico compagno presente nella camerata al momento
della partenza del Salerno e poi perché era risultato versare in una grave situazione
debitoria. Il teste Paba veniva ritenuto credibile, quando riferì di non essersi allarmato
nel vedere sottoscrivere il Carta con il nome del Salerno, poiché non conosceva le
generalità del Carta; lo stesso aveva aggiunto che il ricorrente gli promise in
contropartita dell'operazione di cambio assegni una moto Ape cross ed un lavoro come
giardiniere e che egli si determinò a versare gli assegni perché rassicurato
dall'intermediazione di persone del suo paese ( quali tale Piga). 2. Avverso tale pronuncia, ha interposto ricorso per cassazione il Carta, pel
tramite del suo difensore, per dedurre:
2.1 violazione degli artt. 192 cod.proc.pen.,in relazione all'art. 533 cod.proc.pen.; i giudici del merito non avrebbero raggiunto la prova certa, al di là di
ogni ragionevole dubbio, della colpevolezza del Carta; sarebbero le contraddizioni in
cui incorse il teste Paba, indicato come persona ingenua e semplice, a segnare
2 grado e con sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento del l'inadeguatezza del quadro. Non sarebbe neppure stata raggiunta la prova che gli
assegni in bianco siano stati sottratti nell'armadietto della camerata, non avendo
neppure manifestato detta certezza il Salerno.
2.2 violazione dell'art. 603 cod.proc.pen., per mancata assunzione di prova decisiva richiesta dalla parte in dibattimento, con conseguente compromissione del
diritto di difesa, ovverosia di perizia grafologica sulla firma apocrifa apposta sugli
assegni, nonché di testimonianza dei fratelli Piga, sulla circostanza se il Carta fosse 2.3 Vizio di motivazione della sentenza per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: il teste Paba ebbe infatti ad affermare che colui
che gli diede gli assegni (identificato nel Carta) si faceva chiamare Fausto o Franco,
ragion per cui al di là della conoscenza personale con tale soggetto, non potè non
insospettirsi vedendo la firma di Salerno Stefano. Né la valutazione sull'affidabilità del
testimone poteva essere collegata alle difficoltà ed alla fatica incontrate dal testimone
nel presentarsi all'udienza a testimoniare. 3. Con memoria depositata il giorno 8.11.2013, la parte civile SALERNO Stefano, pel tramite del suo difensore, ha fatto rilevare come sia incontestabile che il
Carta, approfittando di una missione in Libano del Salerno, abbia sottratto gli assegni
di pertinenza di questi per poi monetizzarli durante il periodo di assenza dall'Italia di
costui; ha rilevato come tutti e tre i motivi di ricorso siano del tutto infondati. Motivi della decisione. Il ricorso non raggiunge la soglia dell'ammissibilità, essendo i motivi
manifestamente infondati e mirati a sollecitare un'operazione di rivisitazione dei dati
di fatto che è preclusa in detta sede.
Nel percorso logico argomentativo seguito dai giudici a quibus non sono
apprezzabili le censure elevate, avendosi riguardo a valutazione fattuale che risulta
ancorata ad espliciti passaggi argomentativi, non viziati da palese illogicità, esaustivi
nell'interpretazione delle risultanze processuali e sostanzialmente coerenti con i
principi affermati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte. I giudici del merito
hanno valorizzato dati di indiscussa concludenza in termini accusatori, -quali i provati
collegamenti del Carta con il luogo in cui furono sottratti gli assegni e la persona
derubata, nonchè con il luogo sede dell'ufficio postale in cui vennero depositati gli
assegni, oltre che la testimonianza del Paba, che fu incaricato dell'operazione di
deposito degli assegni dietro compenso, che riconobbe nel Carta il suo interlocutore
non solo in fotografia , ma di persona in sede di giudizio di secondo grado- e pertanto
sono addivenuti all'affermazione di colpevolezza senza forzatura alcuna.
3 o meno stato presente, quando i titoli vennero consegnati al Paba. Quanto alla lamentata mancata rinnovazione dell'istruttoria in sede di appello,
la doglianza non coglie nel segno, poiché come è stato adeguatamente argomentato,
la perizia calligrafica richiesta non avrebbe aggiunto nulla al compendio istruttorio,
essendosi trattato di firma apposta pacificamente non dal titolare dei conto, quindi di
firma apocrifa, come tale non confrontabile con dati di riferimento certi, così come del
tutto ininfluente sarebbe stata la testimonianza del Piga o dei suoi fratelli, sul fatto che
fosse stato il Carta ad aver consegnato gli assegni al Paba, attesa la testimonianza in l'accertamento istruttorio ai fini del decidere. L'indicazione del teste Paba è stata
correttamente riconosciuta di indiscusso valore accusatorio, anche se questi disse che
il Carta si presentò con nome di fantasia (Fausto o Franco), circostanza che veniva
ritenuta assolutamente credibile, perché è comprensibile che l'autore di azione illecita
allontani da sé gli elementi che possano a lui ricondurre, celandosi sotto nomi di
fantasia. Parimenti plausibile è il fatto che il Paba, ovviamente prescelto per la sua
modestia intellettuale, non abbia collegato sul momento, che il nome indicato (Fausto
o Franco) non fosse quello che il suo interlocutore scriveva nel vergare gli assegni con
"Salerno Stefano", poiché come da lui affermato, non avendo conosciuto le
generalità del Carta, potè pensare che al di là del nome con cui questi si fosse
presentato, avesse le generalità riportate in sede di sottoscrizione; il tutto
comprensibilmente mediato, -come evidenziato dai giudici di merito- dal fatto che il
Paba non si pose molte domande, non avanzò sospetti, poiché si sentì rassicurato dal
fatto che a stabilire il contatto tra lui ed il Carta fu il Piga , suo compaesano, del quale
aveva piena fiducia.
Le denunciate incongruenze, sia sul fronte valutativo che sul fronte della
applicazione dei parametri normativi di riferimento, non trovano alcun serio
ancoraggio.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che
pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell' art. 616 c.p.p. Segue altresì la
condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che , tenuto conto del
numero e dell'importanza delle questioni trattate, della tipologia ed entità delle
prestazioni difensive , avuto riguardo alle tariffe forense ( Sez. Un. 14.7.2011, n.
40288) , di liquidano in complessivi euro duemila, oltre accessori di legge. p.q.m.
4 tale senso del diretto interessato, che rendeva assolutamente non indispensabile p.q.m. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di euro mille alla cassa delle
ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla
parte civile che liquidano in complessivi euro 2.000,00 ( due mila) , oltre accessori Così deciso in Roma, addì 28 Novembre 2013. di legge.