Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3967 del 16/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3967 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DEL PRETE TIZIANA N. IL 09/12/1973
avverso la sentenza n. 1800/2013 CORTE APPELLO di LECCE, del
17/01/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA
PELLEGRINO;

Data Udienza: 16/12/2014

osserva

2. Propone ricorso per cassazione l’imputata lamentando:
– nullità della sentenza per mancata assunzione di una prova decisiva e per
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (primo
motivo);
– nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione della legge
penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione
della legge penale e per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione (secondo motivo).
In relazione al primo motivo, si evidenzia come con l’atto di appello la difesa
avesse avanzato istanza di rinnovazione parziale del dibattimento ai sensi
dell’art. 603 cod. proc. pen.- richiesta inopinatamente disattesa — con la quale
si era richiesta, tra l’altro, l’acquisizione dei filmati effettuati all’interno del bar
e visionati dai carabinieri intervenuti in uno con le parti offese nonché una
perizia tecnica diretta ad accertare la corrispondenza della corporatura della
ricorrente con quella del soggetto ripreso dalle telecamere del sistema di
videosorveglianza attraverso un riconoscimento biometrico con raffronto.
In relazione al secondo motivo, si censura la sentenza impugnata nella parte in
cui la Corte territoriale aveva valutato le dichiarazioni delle persone offese in
modo assolutamente parziale.
3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e per proposizione di
censure in fatto, non consentite in sede di legittimità.
In merito al primo motivo, la motivazione della Corte territoriale appare
ampiamente giustificata e priva di qualsivoglia vizio logico-giuridico avendo
riconosciuto ed affermato la totale ininfluenza delle richieste difensive alla luce
delle evidenze probatorie raccolte.
In merito al secondo motivo, va innanzitutto premesso come, nella fattispecie,
lo sviluppo argomentativo della motivazione della sentenza impugnata, da
integrarsi con quella di primo grado, risulta fondato su una coerente analisi
critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione in un organico quadro
interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica
e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della sufficienza, rispetto
al tema di indagine concernente la responsabilità della ricorrente in ordine al
reato a lei contestato. La motivazione della sentenza impugnata supera quindi
il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, alla quale non è tuttora
consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari
finalizzata, nella prospettiva della ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi
in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito.

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Lecce, prima sezione
penale, confermava la pronuncia di primo grado che aveva condannato Del
Prete Tiziana alla pena di anni tre di reclusione ed euro 600,00 di multa e
all’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque per il delitto di
rapina aggravata.

Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della
somma di euro 1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria.
4.

/r

2

In particolare, la Corte territoriale, venendo alle doglianze difensive osserva:
“… la circostanza che il m.11o Pennice – contrariamente a quanto da lui stesso
dichiarato – non conoscesse l’appellante e, conseguentemente, non potesse
riconoscerla nelle immagini estrapolate dal filmato delle videocamere riposa
sulla mera affermazione della Del Prete che, in quanto imputata, ha diritto al
mendacio. Piuttosto è da osservare come l’affermazione secondo la quale il
militare la conoscesse per ragioni d’ufficio trova conferma nella stato di
persona pregiudicata della appellante; nessuna perplessità desta la circostanza
… che nell’immediatezza dei fatti costoro (ndr., persona offesa e Balestra)
abbiano indicato la rapinatrice come una persona avente una corporatura
magra ed altezza di circa m. 1,65. Ciò in quanto in primo luogo l’imprecisa
indicazione della corporatura può essere agevolmente spiegata con l’effetto
visivo ingannevole generato dal tipo di indumenti indossati dalla rapinatrice ed,
in particolare, dai pantaloni con grandi tasche che probabilmente non hanno
consentito di constatare con precisione la maggiore o minore magrezza del
soggetto; allo stesso modo di scarso rilievo appare anche l’indicazione,
certamente approssimativa, dell’altezza della rapinatrice, come impone di
ritenere l’uso della parola circa. In secondo luogo si tratta di trascurabili
imprecisioni che non incidono sul riconoscimento che le due donne hanno
effettuato e che – lo si ricorda – ha avuto ad oggetto non già all’identificazione
dell’appellante, bensì gli indumenti dalla stessa indossati. Indumenti che furono
descritti con puntualità e precisione sin dai primi momenti immediatamente
successivi alla rapina e che sono stati riconosciuti in dibattimento come quelli
trovati presso l’abitazione dell’imputata. Tanto premesso, altrettanto priva di
qualsiasi rilevanza, l’omessa indicazione nel verbale di ricognizione di cose
eseguita dagli investigatori delle scarpe pur trovate presso l’abitazione della
Del Prete. Premesso che la Corte non dispone di tale verbale e premesso altresì
che, trattandosi di attività di polizia giudiziaria, le disposizioni del codice di rito
richiamate nel gravame non si appalesano del tutto pertinenti … in ogni caso,
tale omissione … è logicamente spiegabile con la circostanza che nel verbale
vengono inserite, per l’appunto, le cose che costituiscono il corpo del reato
ovvero le cose a questo pertinenti, e non anche quelle che non v’è prova
alcuna che siano in qualche modo collegate al reato; correttamente giudicate
dal primo giudice inattendibili le dichiarazioni delle sorelle e dell’amica
dell’appellante, siccome emananti da persone prive del necessario requisito
della terzietà, poiché legate da vincoli parentali ovvero amicali, in quanto
riferenti circostanze non riscontrabili dal punto di vista obiettivo, di più, in
contrasto con quanto emerge in modo del tutto evidente dai filmati acquisiti.
Ma v’è di più. L’attenta lettura delle dichiarazioni dell’imputata e dei testi a
discarico consente di ritenere che queste ultime non abbiano affatto
confermato, in termini di assoluta certezza, l’alibi fornito dall’appellante …”.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle
Ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma il 16 dicembre 2014

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