Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3959 del 18/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3959 Anno 2014
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
1. COTUGNO GIOVANNI nato il 14/04/1938;
2. MANZARO FRANCO nato il 01/12/1965;
avverso la sentenza del 20/01/2012 della Corte di Appello di Bari;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Giuseppe Volpe che ha
concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione del reato di cui
all’art. 33 cod. pen. così diversamente qualificato il fatto;
FATTO
1. Con sentenza del 20/01/2012, la Corte di Appello di Bari
confermava la sentenza con la quale, in data 08/10/2002, il Tribunale di
Lucera aveva ritenuto COTUGNO Giovanni e MANZARO Franco colpevoli
del reato di estorsione consumata per avere costretto Pesola Amedeo a
consegnare loro la somma di £. 500.000 a fronte di una iniziale richiesta
di £. 300.000.000.

Data Udienza: 18/12/2013

2. Avverso la suddetta sentenza, entrambi gli imputati, hanno
proposto ricorso per cassazione.

3. COTUGNO Giovanni, a mezzo del proprio difensore, ha dedotto i
seguenti motivi:
MANIFESTA ILLOGICITÀ

della motivazione in ordine alla

sussistenza dell’elemento oggettivo: sostiene il ricorrente che il reato di
estorsione consumata non sarebbe configurabile perché, come aveva
dichiarato la stessa parte offesa, la somma di E. 500.000 costei l’aveva
spontaneamente offerta ai due imputati a mero titolo di rimborso delle
spese di viaggio che avevano sostenuto per essersi recati ripetutamente
ad Ischitella. D’altra parte, non era sostenibile che, a fronte di una
iniziale richiesta di £. 300.000.000, gli imputati si fossero accontentati
di sole E. 500.000. Infatti, il Cotugno – la cui ditta individuale CODEL
era stata dichiarata fallita nel 1993 – era creditore, a titolo personale del
Pesola per delle ingenti somme (£. 300.000.000) che aveva prestato al
Pesola e delle quali, quindi, essendo rimasto creditore, aveva tentato il
recupero. La circostanza che l’imputato fosse stato dichiarato fallito, non
incideva sul fatto che il medesimo avesse la possibilità di recuperare
personalmente – e, quindi, al di fuori della procedura fallimentare – la
suddetta somma proprio perché si trattava di una somma derivante da
un rapporto personale che non aveva nulla a che vedere con l’attività
della ditta individuale.
Il ricorrente, poi, sempre sotto il profilo oggettivo del reato
(motivo sub 2, pag. 6 del ricorso), sostiene che «separato l’episodio
della consegna delle 500.000 lire a Manzaro e Bosco dall’originaria
richiesta di 300 milioni e successivamente ulteriormente diminuita, va
rilevato come il Cotugno sia rimasto in ogni caso estraneo a tutti gli
episodi in cui si concreta la condotta incriminata, episodi tutti riferiti
esclusivamente agli altri due coimputati, Bosco e Manzaro [….]», come
riconosciuto dalla stessa sentenza di primo grado. Sul punto, quindi, il
ricorrente conclude osservando che

«non può essere ritenuto

responsabile né di un fatto cui non ha fornito alcun contributo fattuale,
la tentata estorsione, né può ritenersi il mandante dell’azione conclusasi

2

3.1.

con la consegna delle 500.000 lire, che è fatto sostanzialmente diverso
dall’altra richiesta e che comunque riguarda unicamente gli altri due
imputati».
3.2.

MANIFESTA ILLOGICITÀ

della motivazione in ordine alla

sussistenza dell’elemento soggettivo: il ricorrente, dopo avere ribadito

vantava nei confronti del Pesola, conclude rilevando che, al più, la sua
condotta avrebbe dovuto essere qualificata come esercizio arbitrario
delle proprie ragioni.

4. MANZARO Franco, in proprio, ha dedotto i seguenti motivi:
4.1. VIOLAZIONE DELL’ART. 192 COD. PROC. PEN. per avere la Corte
territoriale dato credito alle dichiarazioni della parte offesa pur avendo il
Pesola rilasciato dichiarazioni contraddittorie;
4.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 393 COD. PEN. per non avere la Corte
derubricato il reato contestato in quello di cui all’art. 393 cod. pen.
essendo emerso che il Cotugno (quindi dal Bosco al quale si univa il
Manzaro) vantava legittimamente un credito nei confronti della persona
offesa.
4.3. VIOLAZIONE DELL’ART. 191 COD. PROC. PEN. per avere la Corte
ritenuto l’utilizzabilità delle registrazioni effettuate da uno degli
interlocutori all’insaputa degli altri ed in violazione dell’art. 8 CEDU.
4.4. VIOLAZIONE DELL’ART. 442 COD. PROC. PEN. per non avere la Corte
applicato la diminuente di un terzo, avendo l’imputato richiesto il
giudizio abbreviato, istanza, però, rigettata dal giudice dell’udienza
preliminare secondo la normativa previgente del 1995, ma
successivamente modificata con la L. 479/1999.
4.5. VIOLAZIONE DELL’ART. 62

BIS COD. PEN.

riconosciuto le attenuanti generiche.
DIRITTO
1. COTUGNO

3

per non avere la Corte

che sua intenzione era solo quella di recuperare l’ingente credito che

1.1. Il ricorrente è stato ritenuto colpevole del reato di estorsione
della somma di £. 500.000 ai danni di Pesola Amedeo.
Il ricorrente, relativamente al suddetto episodio [capo sub a)
dell’imputazione], era stato tratto a giudizio sia per il reato di tentata
estorsione della somma di £. 300.000.000 ai danni del suddetto Pesola,

sia per il reato di estorsione consumata della somma di £. 500.000.
All’esito del dibattimento di primo grado, il tribunale giudicò
entrambi i ricorrenti colpevoli del solo reato di estorsione consumata
della somma di £. 500.000, ritenendo in esso assorbito anche il
tentativo «allo scopo di evitare la irrogazione di una duplice sanzione
per la stessa condotta». Il tribunale, infatti, ritenne che la consegna, da
parte del Pesola, della somma di £. 500.000 «rappresenta il momento
conclusivo del/’iter criminis iniziato con la richiesta maggiore».
La suddetta conclusione è stata condivisa anche dalla Corte
territoriale che ha confermato la sentenza di primo grado.
1.2. Il ricorrente, in questa sede, ha sostenuto l’insussistenza del
reato sotto i seguenti profili:
a) perché la somma di E. 500.000 fu corrisposta spontaneamente
dal Pesola;
b) perché egli era rimasto completamente «estraneo a tutti gli
episodi in cui si concreta la condotta incriminata, episodi tutti riferiti
esclusivamente agli altri due coimputati, Bosco e Manzaro [….]»;
c)

perché, a tutto concedere, la vicenda si inseriva in una

complesso rapporto debito – credito, nell’ambito del quale egli aveva
voluto recuperare solo quello che gli spettava: da qui, la richiesta di
derubricazione del reato in quello di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni.
1.3. Le censure di cui ai punti sub a) e b), nei termini in cui sono
state dedotte, sono manifestamente infondate in quanto si limitano ad
offrire una ricostruzione alternativa dei fatti e a prospettare una tesi
difensiva che, però, è stata ampiamente disattesa alla stregua di precisi
riscontri probatori e logici.

4

/

Sul punto, è sufficiente, in prima battuta, leggere la sentenza di
primo grado (pag. 3 ss), in cui, con dovizia di particolari, il Tribunale
spiega, sulla base di precisi riscontri probatori, le ragioni per le quali il
ricorrente Cotugno doveva ritenersi responsabile del reato contestatogli:
non a caso, fu tratto in arresto in flagranza di reato insieme, fra gli altri,

La Corte territoriale, investita di un appello con il quale si
lamentava, in sostanza, solo l’errata qualificazione giuridica del fatto
(art. 393 cod. pen. e non art. 629 cod. pen.), ha confermato la suddetta
decisione soffermandosi, in particolare, proprio sulla pretesa errata
qualificazione giuridica.
Di conseguenza, le censure dedotte ora in questa sede di
legittimità, vanno ritenute manifestamente infondate non solo perché
ampiamente smentite dalla motivazione della sentenza di primo grado sul punto confermate anche dalla sentenza di appello – ma anche
perché, a ben vedere, non furono neppure oggetto di gravame in sede
di appello.
1.4. Manifestamente infondata è anche la censura sub c), ossia
quella relativa alla chiesta derubricazione del reato di estorsione in
quello di cui all’art. 393 cod. pen.
Sul punto, infatti, va osservato innanzitutto che, entrambi i giudici
di merito, hanno escluso, con amplissima motivazione (si legga, in
particolare, pag. 12 ss della sentenza di primo grado), che l’imputato
avesse provato di avere un ingente credito nei confronti del Pesola
fondato su titoli di credito.
Il ricorrente, in questa sede, ha tentato di confutare la suddetta
affermazione, ma gli argomenti addotti sono vaghi e di puro merito,
sicchè non possono essere presi in alcuna considerazione, a fronte di
una doppia conforme che, sul punto, ha sempre smentito e disatteso la
tesi difensiva con ampia motivazione.
Il ricorso, quindi, anche sotto il suddetto profilo, va ritenuto
manifestamente infondato, sicchè del tutto irrilevante appare

5

all’attuale coimputato e ricorrente Franco Manzaro.

soffermarsi sulla ulteriore motivazione addotta da entrambi i giudici di
merito in ordine alla non tutelabilità del preteso credito.
In altri termini, entrambi i giudici di merito hanno motivato
adducendo una doppia motivazione: una in fatto; l’altra in diritto.
Di quella in fatto si è già detto.

volendo accedere alla tesi difensiva secondo la quale il Cotugno era
creditore del Pesola, fosse configurabile il diverso reato di cui all’art. 393
cod. pen., perché, hanno rilevato che, essendo stato il Cotugno
dichiarato fallito, l’eventuale legittimazione a richiedere il credito
vantato spettava solo al curatore.
Ora, pur dovendosi condividere la conclusione alla quale entrambi i
giudici di merito sono pervenuti (sul punto cfr Cass. civ. 7142/2000 Rv.
537029; Cass. civ. 16668/2008 Rv. 604000; Cass. civ. 20804/2009 Rv.
609892; Cass. civ. 7931/2012 riv 622497) in questa sede, deve
osservarsi che, una volta ritenuta non provata, in punto di fatto, la
pretesa creditoria, ogni ulteriore discussione sulla sua azionabilità
davanti all’autorità giudiziaria, diventa del tutto ultronea.
In conclusione,

il ricorso del Cotugno, deve ritenersi

manifestamente infondato e, quindi, inammissibile, sotto tutti i profili
dedotti.

2. MANZARO
2.1.

VIOLAZIONE DELL’ART.

192

COD. PROC. PEN.: la

censura, nei termini

in cui è stata dedotta, è manifestamente infondata, in considerazione sia
della sua genericità (il ricorrente non ha fatto altro che riportare il
motivo di appello), sia del fatto che entrambi i giudici di merito (cfr pag.
3 ss sentenza di primo grado; pag. 6 ss sentenza di appello), hanno con
amplissima motivazione, ritenuto le dichiarazioni rese dal Pesola
attendibili sia intrinsecamente che estrinsecamente.

2.2.

VIOLAZIONE DELL’ART.

393

COD. PEN.:

vale, mutatis mutandis,

quanto già detto supra in relazione allo stesso motivo dedotto dal
Cotugno.

6

Entrambi i giudici di merito, tuttavia, hanno escluso che, pur

2.3. VIOLAZIONE DELL’ART. 191 COD. PROC. PEN.: la questione dedotta
dal ricorrente, nel caso di specie, è irrilevante perché la prova della
colpevolezza – e cioè della richiesta e della dazione della somma di £.
500.000 – risulta ampiamente provata anche aliunde e non solo dalla

rileva che le circostanze riferite dalla persona offesa furono confermate
«dalle dichiarazioni di altri testimoni ascoltati nel corso del dibattimento:
in particolare dai carabinieri che ricevettero la denuncia e concordarono
con il Pesola la registrazione delle conversazioni intercorse con gli
imputati, e dal Alfredo Colio».

2.4. VIOLAZIONE DELL’ART. 442 COD. PROC. PEN.: si tratta della stessa
doglianza dedotta con il quarto motivo di appello ma disatteso dalla
Corte territoriale con l’ineccepibile argomento secondo il quale la
situazione giuridica invocata dal ricorrente «non ricorre nel caso in
esame, atteso che l’istruttoria dibattimentale si è resa necessaria per la
evidenziata esigenza di acquisire riscontri alle dichiarazioni della parte
civile».
Avverso la suddetta motivazione, il ricorrente nulla ha opposto
essendosi limitato a reiterare tralaticiamente il motivo di appello, sicchè
la censura va dichiarata inammissibile.

2.5. VIOLAZIONE DELL’ART. 62 BIS COD. PEN.: la suddetta censura va
ritenuta manifestamente infondata in quanto la motivazione addotta
dalla Corte territoriale [precedenti penali, numerosi e di consistente
gravità, indice di una personalità negativa avendo il Manzaro reiterato
anche a distanza di tempo gravi condotte criminose] deve ritenersi
ampia, congrua e logica e, quindi, non censurabile in questa sede di
legittimità, essendo stato correttamente esercitato il potere
discrezionale spettante al giudice di merito in ordine al trattamento
sanzionatorio ed al diniego delle attenuanti generiche.

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conversazione intercettata: cfr pag. 8 sentenza di primo grado in cui si

3. In conclusione, entrambe le impugnazioni devono ritenersi
inammissibili a norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza:
alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,

equitativamente in € 1.000,00 ciascuno.
P.Q.M.
DICHIARA
inammissibili i ricorsi e
CONDANNA
i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma
di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 18/12/2013

IL CONSIGL RE ST.
(Dott. G.

ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina

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