Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 39577 del 02/10/2014
Penale Ord. Sez. 7 Num. 39577 Anno 2015
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: MAGI RAFFAELLO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PRIVITERA GIOVANNI MARIA N. IL 07/08/1993
avverso la sentenza n. 3029/2013 TRIBUNALE di CATANIA, del
07/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
Data Udienza: 02/10/2014
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con sentenza emessa in data 7 ottobre 2013 il Tribunale di Catania
applicava ai sensi degli artt. 444 e ss. cod. proc.pen. la pena di anni tre di
reclusione ed euro 2.700,00 di multa nei confronti di Privitera Giovanni Maria, in
relazione al reato di concorso in detenzione e porto illegale di arma clandestina
(nonchè di ricettazione della medesima arma), per fatto avvenuto il 6 dicembre
2012.
Giovanni Maria – a mezzo del difensore di fiducia – deducendo erronea
applicazione della legge penale ed in particolare dell’art. 114 cod.pen. . Osserva
il ricorrente che il ruolo del Privitera nella consumazione del delitto era del tutto
marginale e pertanto avrebbe dovuto trovare applicazione la circostanza
attenuante di cui all’art. 114 cod.pen.
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il Collegio premette che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un
meccanismo processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si
accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla
concorrenza di circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della
pena. Da parte sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei
menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla,
dopo aver accertato che non emerga in modo immediatamente percepibile (e
diversamente da quanto prospettato dalle parti) una delle cause di non punibilità
previste dall’art. 129 c.p.p.
Ne consegue che – una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena
ex art. 444 c.p.p. – l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o
soggettivi della fattispecie, perché essi sono coperti dal patteggiamento, non
essendo stato manifestato – in sede di merito- dubbio alcuno sulla valenza degli
elementi ricostruttivi, nè essendo stata proposta una lettura alternativa delle
risultanze di fatto .
Tanto premesso, il Collegio osserva che i motivi di ricorso appaiono
manifestamente infondati, atteso che il giudice, nell’applicare la pena
concordata, si è, da un lato, adeguato a quanto contenuto nell’ accordo
intervenuto fra le parti e, dall’altro, ha escluso la sussistenza dei presupposti di
cui all’art.129 c.p.p., con motivazione sintetica ma aderente alla natura
dell’istituto .
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Privitera
La motivazione espressa ha confermato la qualificazione giuridica del fatto
contestato e il trattamento sanzionatorio, così recependo la proposta di accordo
proveniente dalle parti e l’imputato non può – in tale contesto – dolersi della
omessa verifica della ricorrenza di una circostanza estranea all’accordo
medesimo.
La motivazione, nel far riferimento all’intervenuto accordo e alla valenza
dimostrativa degli atti acquisiti ha espresso, in modo sintetico ma conforme alla
legge, il risultato della valutazione operata.
sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare pienamente
adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante
giurisprudenza di legittimità (si vedano tra le altre, Cass. SS.UU. 27 marzo 1992,
Di Benedetto; SS.UU. 27 settembre 1995, Serafino; SS.UU. 25 novembre 1998,
Messina).
Anche i passaggi determinativi della pena risultano espressi correttamente
ed in modo conforme alla proposta delle parti.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della
Cassa delle ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in
euro millecinquecento, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di euro 1.500,00 a favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 2 ottobre 2014
Il Consigliere estensore
Il Presidente
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in