Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3957 del 11/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3957 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da

MAZZEO Maria Catena Tindara, nata a Bercellona P.G. il 19/11/1976;

avverso la sentenza del Tribunale di Barcellona P.G. del 20 novembre 2013;
letti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
letta la memoria difensiva depositata dall’avv. Silvestro Rasario Saja, nell’interesse
della ricorrente;
sentita la relazione del Consigliere Paolo Antonio BRUNO.
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Aurelio Galasso, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso;
sentito, altresì, l’avv. Antonio Maria Ludovico Paratore, difensore della parte civile,
che si è associato alla richiesta del Pg. ed ha depositato conclusioni scritte e nota
spese.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Barcellona P.G.
confermava la sentenza del 16 novembre 2012 con la quale il Giudice di pace dì

Data Udienza: 11/05/2015

quella stessa città aveva dichiarato Maria Catena Tindara Mazzeo colpevole dei reati
di diffamazione nei confronti di Giuseppe Costantino nonché di ingiurie e minacce
nei confronti di Carmela Mamone e, per l’effetto, l’aveva condannata alla pena di
giustizia nonché al risarcimento dei danni in favore delle persone offese, costituitesi
parti civili, da liquidarsi in separata sede.

2. Avverso l’anzidetta pronuncia l’imputata ha proposto ricorso per cassazione,
affidato alle ragioni di censura di seguito indicate.

applicazione della legge penale, in riferimento all’art. 192 cod. proc. pen., in ordine
alla valutazione delle risultanze processuali, segnatamente delle dichiarazioni delle
persone offese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Va, preliminarmente, disattesa la richiesta del ricorrente, espressa nei

“motivi nuovi”, indicati in epigrafe, ai fini dell’esclusione della punibilità per
particolare tenuità del fatto ai sensi del nuovo art. 131 bis cod. pen.
Al riguardo, se non è revocabile in dubbio che la nuova disposizione possa
trovare applicazione nei procedimenti pendenti, stante i suoi materiali riflessi sul
piano sostanziale dell’esclusione della punibilità del fatto, ai sensi dell’art. 2 cod.
pen., e dunque anche in cassazione, trattandosi peraltro di questione, che, ratione
temporis, non avrebbe potuto essere dedotta in grado di appello e che, dunque, è
deducibile in cassazione, a mente dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 3,
n. 15449 del 08/04/2015, Mazzarotto, RV 263308, secondo cui la esclusione della
punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen., ha natura
sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore
del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità,
nei quali la Suprema Corte può rilevare di ufficio ex art. 609, comma secondo, cod.
proc. pen. la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto,
fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della
decisione impugnata e, in caso di valutazione positiva, deve annullare la sentenza
con rinvio al giudice di merito).
Nella giurisprudenza di questa Corte si è anche, condivisibilmente, affermato
che la mera prospettazione della questione anzidetta, in questa sede, non implica
necessariamente l’annullamento della sentenza impugnata, posto che la relativa
richiesta può anche essere rigettata ove non ricorrano le condizioni per
l’applicabilità dell’istituto, che possono valutarsi ex actis da questo stesso Giudice di
legittimità (Sez. 3, Sentenza n. 21474 del 22/04/2015, Fantoni, Rv. 263693).

2

Con unico motivo di impugnazione si denuncia inosservanza od erronea

Nel caso di specie, reputa il Collegio che la speciale causa di non punibilità non
possa essere riconosciuta, sia perché la relativa istanza è aspecifica, risultando
priva dei benché minimi elementi di individuazione dell’asserita speciale tenuità del
fatto; sia perché, dalla sentenza impugnata emergono, piuttosto, indici di
particolare gravità, con riferimento alle peculiarità della fattispecie.

2. Venendo, ora, al “merito” del ricorso, se ne rileva, ictu ocull, la manifesta
infondatezza, a parte l’ulteriore profilo d’inammissibilità connesso alla natura di

processuali, notoriamente sottratta al sindacato di legittimità, ove assistita da
congrua e pertinente motivazione.
Tale deve intendersi quella che sostiene la sentenza impugnata, che – sulla
base di logica e plausibile ricostruzione della vicenda fattuale – ha dato ampio conto
del ribadito giudizio di colpevolezza a carico dell’imputata. Nell’esprimere siffatta
valutazione il giudice a quo ha mostrato di aver fatto buon governo delle regole di
giudizio che presiedono al relativo apprezzamento, segnatamente quella secondo la
quale le dichiarazioni di accusa della persona offesa possono anche da sole
sostenere un giudizio di colpevolezza ove adeguatamente valutate nella loro
attendibilità (cfr. Cass. Sez.Un. n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214, secondo cui
le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle
dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da
sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa
verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante
e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere
più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di
qualsiasi testimone. In motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in
cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al
riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi).
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto di dover cercare nelle risultanze
processuali momenti di conferma, ravvisandoli nelle raccolte testimonianze.

3. Il ricorso, pertanto, è inammissibile ed alla relativa declaratoria conseguono
le statuizioni dettate dispositivo, anche in ordine alla condanna del ricorrente alla
rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che si reputa congruo ed equo
liquidare come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di C 1.000,00, in favore della
3

fatto della questione proposta, siccome attinente alla valutazione delle risultanze

Cassa delle ammende nonché al rimborso delle spese sostenute nel grado dalla
parte civile, C 1800, oltre accessori come per legge.

Così deciso 1’11/05/2015

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