Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 39562 del 02/10/2014
Penale Ord. Sez. 7 Num. 39562 Anno 2015
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: MAGI RAFFAELLO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MONTELLA PIETRO N. IL 14/10/1964
avverso la sentenza n. 247/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
10/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
Data Udienza: 02/10/2014
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con sentenza resa in data 10 aprile 2013 la Corte di Appello di Napoli ha
confermato, nei confronti di Montella Pietro, i contenuti della decisione di primo
grado emessa dal GUP del Tribunale di Napoli il 3 dicembre 2012.
Con tali conformi decisioni di merito è stata affermata la penale responsabilità
del Montella per la illecita detenzione di una pistola calibro 9 con matricola
abrasa e di una seconda pistola calibro 7.65 oggetto di furto, con relativa
ricettazione delle due armi. L’imputato è stato condannato alla pena di anni
La Corte di secondo grado evidenzia in motivazione la impossibilità di accogliere
la richiesta difensiva di applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 5
della legge n. 895 del 1967 o comunque di riduzione della entità della pena, in
rapporto alla gravità dei fatti contestati ed accertati.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione – con personale
sottoscrizione – Montella Pietro, deducendo vizio di motivazione.
Le argomentazioni esposte in sentenza (ritenuta gravità della condotta per il
numero delle armi e per il luogo di loro detenzione) vengono definite illogijkhe
dal ricorrente, non essendo provato alcun collegamento tra la persona del
Montella e i gruppi criminali operanti in zona, collegamento ipotizzato in
sentenza in modo del tutto congetturale.
3.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la manifesta
infondatezza dei motivi, tesi – peraltro – ad ottenere una rivalutazione di aspetti
attinenti al fatto, operazione non consentita nella presente sede di legittimità.
Ed invero, gli argomenti esposti dal ricorrente si sostanziano in censure di mero
fatto, la cui valutazione è preclusa in questa sede data la completezza e logicità
della motivazione espressa nel provvedimento impugnato . E’ costante, infatti, l’
insegnamento di questa Corte per cui il sindacato sulla motivazione del
provvedimento impugnato va compiuto
attraverso l’analisi dello sviluppo
motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logico-giuridica,
non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di
significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò
anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente
esplicativa ( si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv
252178). Così come va ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio
denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
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quattro di reclusione ed euro 400,00 di multa.
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché
siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento ( Sez. U.,
n. 24 del 24.11.1999 iv 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
Nel caso in esame l’entità del trattamento sanzionatorio risulta rapportata a dati
obiettivi, rappresentati dal rinvenimento di due armi comuni da sparo pronte
all’uso, il che esclude di poter ritenere sussistente l’ipotesi attenuata di cui
La considerazione circa il possibile collegamento con gruppi criminali è fondata
sull’esame obiettivo delle modalità del rinvenimento ed è peraltro funzionale al
mantenimento delle statuizioni operate, con più ampie argomentazioni, nel primo
grado di giudizio.
Trattandosi di considerazioni di merito che trovano fondamento in dati obiettivi le
stesse non sono sindacabili – per quanto sinora detto – nel presente giudizio di
legittimità.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’
art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 a favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 2 ottobre 2014
Il Consigliere estensore
Il Presidente
all’art. 5 legge n.895 del 1967 così come esposto dai giudici del merito.