Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3956 del 18/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3956 Anno 2014
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
FINELLI DAVIDE nato il 17/02/1980, avverso la sentenza del 23/05/2012 della
Corte di Appello di Milano;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Giuseppe Volpe che ha
concluso per l’inammissibilità;
FATTO
1.

Con sentenza del 23/05/2012, la Corte di Appello di Milano,

pronunciando in sede di rinvio a seguito della sentenza di annullamento
pronunciata da questa Corte di Legittimità in data 18/11/2010 (n° 8343/2011),
confermava la sentenza con la quale, in data 13/03/2008, il giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale della medesima città, aveva ritenuto FINELLI Davide
colpevole dei reati di cui agli artt. 74/1-2-3-4 – 73 dpr 309/1990.

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:
2.1. ILLOGICITÀ E CARENZA DI MOTIVAZIONE: il ricorrente sostiene che la Corte
territoriale, non aveva aggiunto alcunché rispetto alla motivazione della sentenza
annullata perché si era limitata ad evidenziare, rispetto ai dati isolati indicati
nella suddetta sentenza, solo un tabulato telefonico riportante 16 contatti
avvenuti tra il 01/07/1998 e 21/03/2000 ed un servizio di osservazione del

Data Udienza: 18/12/2013

26/05/1999 «che vede Finelli in macchina con due ragazze in compagnia di Luca
Calaiò e viene riportato testualmente un servizio di o.c.p. riguardante presunti
movimenti sospetti di Luca Calaiò e La Ferrara Filippo». Il ricorrente sostiene che
si tratta di dati completamente isolati inidonei a provare la sua partecipazione
all’associazione, proprio perché si tratta di «due episodi sparuti a distanza di
quattro anni l’uno dall’altro a fronte della contestazione di un ruolo fiduciario e
continuativo che non può essere svolto in momento così distanti e isolati». In
sostanza, quindi, osserva il ricorrente la Corte aveva indicato le medesime fonti
«la

presenza dell’imputato a Rimini il 6/7 giugno 1999, l’intercettazione 28/05/1999,
l’intercettazione 05/07/2003, aggiungendo contatti (16) telefonici tra le due
utenze fisse ed un servizio di o.c.p. del 26/05/1999 relativo ad una serata con
due ragazze, Finelli e Luca Calaiò che all’epoca dei fatti aveva 18 anni e da tali
prove deduce il ruolo fiduciario nell’ambito dell’associazione e la continuità dei
rapporti». Il ricorrente, poi, stigmatizza la circostanza che, nella motivazione
della sentenza impugnata, manca una chiara esplicazione delle ragioni per le
quali la Corte aveva ritenuto che esso ricorrente aveva contribuito, in modo
cosciente e volontario, al sodalizio.
2.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 74/4 COD. PEN. per avere la Corte motivato in modo
illogico in quanto, in assenza di alcuna prova sulla stabilità e continuità del
rapporto e degli sporadici contatti con il Calaiò, la suddetta aggravante non era
co nfig u ra bile.
2.3.

VIOLAZIONE DELL’ART.

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COD. PEN.

per avere la Corte ritenuto

l’equivalenza fra le attenuanti generiche e quella dell’associazione armata. Il
ricorrente, ribadisce che, se apporto vi era stato, esso era stato episodico, che la
Corte non aveva considerato la sua giovane età, l’incensuratezza e la sua
personalità (attività lavorativa).
DIRITTO
1. Va preliminarmente osservato che il ricorso ruota sostanzialmente ed
unicamente sulla dedotta carenza motivazionale in ordine al reato associativo
(art. 74 dpr 309/1990), mentre non risulta svolta alcuna doglianza sulla
condanna in ordine al reato di cui all’art. 73 dpr cit.
Sulla responsabilità del ricorrente in ordine a quest’ultimo reato, invero, la
Corte ha puntualmente motivato adducendo a riscontro probatorio il contenuto
inequivoco di un’intercettazione telefonica del 28/05/1999 (cfr pag. 16-21 della
sentenza impugnata) e, avverso la suddetta motivazione, l’imputato non ha
ritenuto di svolgere alcuna doglianza (nonostante abbia lamentato, con il primo

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/i-

di prove riportate nella precedente sentenza che era stata annullata ossia:

motivo la violazione degli artt. 73-74 dpr cit: pag. 1 ricorso): di conseguenza, la
censura, limitatamente al suddetto reato, deve ritenersi inammissibile.

2. Resta, quindi, da valutare solo la censura in ordine al reato associativo.
Il ricorrente risulta imputato di avere fatto parte – dal 1998 al 2003 (cfr
pag. 31 sentenza impugnata) – di un’associazione per delinquere ex art. 74 dpr
cit, di cui facevano parte numerose persone giudicate separatamente, ed
esattamente per avere svolto «un compito strumentale, in qualità di uomo di
fiducia già di Nazzareno Calaiò e poi di Luca Calaiò, di addetto alle vendite, al

l’ulteriore compito di fornire supporto logistico indispensabile per lo svolgimento
del traffico, prestandosi in particolare ad offrire la sua abitazione quale luogo di
custodia del denaro del gruppo, denaro destinato al pagamento dei fornitori e
prestandosi ad accompagnare i Calaiò, da Milano alla riviera romagnola, luogo di
smercio dello stupefacente. Conservando con Luca Calaiò un rapporto stretto,
funzionale anche a far pervenire a Luca Calaiò notizie in ordine ad eventuali
controlli in corso».
In punto di diritto, va rammentato che la partecipazione ad un’associazione
per delinquere presuppone l’esistenza di un vincolo associativo tendenzialmente
permanente fra tre o più persone o comunque stabile destinato a durare anche
oltre la realizzazione dei delitti previsti dalla normativa sugli stupefacenti
concretamente programmati: Cass. 14.6.1995, Montani, riv 203642 – Cass.
22.9.1994, Platania, riv 199581 – Cass. 8.6.1984, Vessichelli, riv 166189 Cass. 26.3.1984, Zappia, riv 164913 – Cass. 20.3.1984, Caruso, riv 164814;
Cass. Pen, Sez. VI, 7 marzo 1997, Ferraro e altri; Cass. Pen. Sez. I. 12 marzo
1998, n. 3133). Va, peraltro, rilevato che la giurisprudenza di questa Corte, alla
quale si ritiene di dovere dare continuità, quanto al criterio della stabilità, ha
precisato, che «non è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di
assoluta stabilità, essendo sufficiente che esso non sia

a priori

e

programmaticamente circoscritto alla consumazione di uno o più delitti
predeterminati, atteso che l’elemento temporale insito nella nozione stessa di
stabilità del vincolo associativo non va inteso come necessario protrarsi del
legame criminale, essendo, per contro, sufficiente ad integrare l’elemento
oggettivo del reato una partecipazione all’associazione anche limitata ad un
breve periodo»: Cass. 28/6/2000, Buscicchio, riv 217459). In particolare, questa
Corte, quanto alla prova della partecipazione ad un’associazione criminale, ha
ritenuto che:
– la prova dell’elemento soggettivo si desume da comportamenti
concludenti quali i continui contatti tra gli spacciatori, la pluralità di
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ritiro dei proventi del traffico, secondo le istruzioni fornitegli dai Calaiò e con

consegne di stupefacente agli acquirenti, specie se ripetute, o la esistenza
di ruoli predeterminati tra i vari componenti. Sul punto si è chiarito, che
«la partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso può essere desunta
anche dalla commissione di singoli episodi criminosi, purché siffatte
condotte, per le loro connotazioni, siano in grado di attestare, al di là di
ogni ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, un
ruolo specifico della persona, funzionale all’associazione e alle sue
dinamiche operative e di crescita criminale, e le stesse siano espressione
non occasionale della adesione al sodalizio criminoso e alle sue sorti, con

al suo illecito sviluppo»: ex plurimis Cass. 44102/2008 Rv. 242397;
la prova del vincolo associativo, può essere desunta per

facta

condudentia, quali la continuità, la frequenza e la intensità dei rapporti
tra i soggetti, l’interdipendenza delle loro condotte, al fine di trafficare in
sostanze stupefacenti. E’ stato, infatti, ritenuto che «ai fini della
configurabilità del reato di associazione per delinquere finalizzata al
traffico di stupefacenti, il patto associativo non deve necessariamente
consistere in un preventivo accordo formale, ma può essere anche non
espresso e costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attività
proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme
contribuiscono all’attuazione dello scopo comune; e, ferma restando
l’autonomia rispetto ai reati (eventualmente) posti in essere in attuazione
del programma, la prova in ordine al delitto associativo può desumersi
anche dalle modalità esecutive dei reati-scopo, dalla loro ripetizione, dai
contatti fra gli autori, dall’uniformità delle condotte, specie se protratte
per un tempo apprezzabile»: ex plurimis Cass. 3133/1997 Rv. 210186.
La suddetta giurisprudenza, quindi, in modo costante, individua come
elemento fondamentale ed imprescindibile per la partecipazione ad
un’associazione per delinquere, il fattore temporale ossia la prova di una
partecipazione stabile e continuativa protrattasi per un tempo apprezzabile.

3. Questa Corte, con sentenza n° 8343/2011, aveva annullato la
precedente sentenza della Corte territoriale, con la seguente testuale
motivazione:

«In questo caso la motivazione è assolutamente criptica,

limitandosi a fornire una serie di elementi che dovrebbero costituire fonti di
prova, ma che nel complesso discorso argomentativo restano dati isolati, che
non consentono di comprendere il ruolo avuto dall’imputato nell’associazione e le
condotte poste in essere in relazione all’episodio di cessione contestato al capo
n. 16. La sentenza afferma in modo del tutto apodittico che Finelli avrebbe svolto
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l’immanente coscienza e volontà dell’autore di farne parte e di contribuire

un “ruolo assolutamente fiduciario” nell’ambito dell’associazione, ma omette di
fornire qualsiasi indicazione circa le fonti probatorie da cui desume una tale
conclusione. È vero che quando le sentenze di primo e secondo grado concordino
nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle
rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello può
saldarsi con quella precedente per formare un unico complesso corpo
argomentativo, sicché risulta possibile, sulla base della motivazione della
sentenza di primo grado, colmare eventuali lacune della sentenza di appello.
Tuttavia, nel caso di specie la struttura motivazionale è totalmente priva di

appello, che non consente neppure tale operazione di integrazione. Nè può
parlarsi di motivazione per relationem, in quanto la sentenza ha del tutto eluso
l’obbligo di motivare, previsto a pena di nullità dall’art. 125 c.p.p., comma 3 e
direttamente imposto dall’art. 111 Cost., comma 6, che fonda l’essenza della
giurisdizione e della sua legittimazione sull’obbligo di “rendere ragione” della
decisione, ossia sulla natura cognitiva e non potestativa del giudizio».
4. La Corte territoriale, con la sentenza impugnata, ha ritenuto di colmare
la suddetta carenza motivazionale, attraverso il seguente iter motivazionale:
ha evidenziato, innanzitutto, 26 contatti telefonici avvenuti nel periodo
compreso fra il 01/07/1998 ed il 21/03/2000 attraverso l’utenza fissa di
casa intestata alla sorella del ricorrente e Luca Calaiò, oltre a due contatti
(il 04/03/1999; 31/01/2000) effettuati su strada;
un servizio di appostamento effettuato a Rimini il 26-27/05/1999, dal
quale risulta che il Finelli era in compagnia del Calaiò;
un servizio di appostamento ed il contenuto di un’intercettazione
telefonica avvenuta il 28/05/1999, sulla base della quale la Corte ha
motivato la responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art.
73 dpr cit. (pag. 16-21);
altri servizi di appostamento avvenuti fra la fine del maggio 1999 ed il
06/06/1999 conclusisi con l’arresto di Nazzareno Calaiò (pag. 21-24
sentenza) ed un’intercettazione del 07/06/1999 dalla quale la Corte trae il
convincimento che «Luca Calaiò aveva affidato il proprio denaro a Finelli
affinchè lo custodisse a casa sua: circostanza che non sembra costituire
un fatto isolato, bensì una cautela abituale [… «1»;
due intercettazioni del 12 13/08/1999 sulla base delle quali la Corte rileva

che «Finelli era rimasto intimorito da arresti e perquisizioni»: pag. 26;
un’intercettazione del 07/04/1999 avvenuta fra tale Roberto Miozzi e Luca
Calaiò, dalla quale la Corte trae il convincimento del ruolo fiduciario che il

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qualsiasi apporto critico, soprattutto in relazione ai motivi oggetto degli atti di

Finelli rivestiva nell’ambito dell’associazione «in particolare per quanto
concerne questioni di denaro»;
– un’intercettazione del 05/07/2003 nel corso della quale il Finelli avverte
Calaiò della presenza delle forze dell’ordine: la Corte sostiene che il
suddetto colloquio «appare inequivocabilmente sintomatico della piena
consapevolezza di Fine/li della natura illecita degli affari trattati nonché
del tipo di legale esistente tra lui e Luca Calaiò nonché gli altri sodali».
Alla stregua del suddetto compendio probatorio, la Corte ha ritenuto provata
«al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità dell’imputato in ordine al

il contributo consapevole, attivo, stabile e protratto nel tempo fornito da Fine/li
alle illecite attività del sodalizio» lungo tutto l’arco temporale dal 1998 al 2003.

5. Ritiene questa Corte che la sentenza impugnata non abbia colmato la
lacuna motivazionale stigmatizzata nella sentenza di annullamento.
Il primo punto critico che occorre rilevare è che la Corte ha ritenuto che
l’imputato abbia fatto parte di un’associazione per delinquere dal 1998 al 2003
nonostante le prove addotte risalgono tutte sostanzialmente a due mesi
(maggio-luglio) dell’anno 1999: vi è, poi, un vuoto probatorio di oltre tre anni,
prima che sia intercettato un colloquio telefonico: non è chiaro, quindi, sulla base
di quali elementi la Corte abbia potuto affermare che il Finelli partecipò in modo
ininterrotto dal 1998 al 2003 all’associazione per delinquere e ciò nonostante il
ricorrente, nell’atto di appello, avesse dedotto, in modo specifico, la suddetta
doglianza: cfr pag. 11 della sentenza impugnata.
Il secondo punto critico è costituito dal compendio probatorio che la Corte
interpreta tutto in chiave accusatoria ma senza ben spiegarne il motivo.
E così, l’enfatizzazione dei 26 contatti telefonici avvenuti nell’arco di oltre un
anno e mezzo, appare davvero poco significativo.
I servizi di appostamento non hanno approdato a nulla che abbia alcuna
valenza, stando ad indicare solo che il Finelli frequentava con assiduità il Calaiò.
Le intercettazioni del 12-13/08/1999, nulla aggiungono e nulla tolgono al
compendio probatorio perché indicano solo che il «Fine/li era rimasto intimorito
da arresti e perquisizioni»: il che è perfettamente interpretabile non solo in
chiave accusatoria ma anche in chiave difensiva potendo essere indice di giusta
ed comprensibile preoccupazione da parte di chi, sapendo di essere innocente,
tema di essere coinvolto in un’operazione di Polizia.
Alla fin fine, gli unici indizi che appaiono corrobare la tesi accusatoria sono:
a) le intercettazioni del 07/04/1999 e 07/06/1999 dalle quali si evince che Calaiò
e Miozzi avevano affidato il proprio denaro al Finelli; b) il servizio di
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contestato reato associativo, poiché [dal suddetto compendio probatorio] emerge

appostamento ed il contenuto di un’intercettazione telefonica avvenuta il
28/05/1999 dalla quale è emerso un episodio di cessione di stupefacenti; c)
l’intercettazione del 05/07/2003 dalla quale risulta che il Finelli avvisò il Calaiò
della presenza delle Forze dell’Ordine.
Il suddetto compendio probatorio, se, indubbiamente indica in modo certo
che il Finelli frequentava in modo costante il Calaiò (soprattutto per alcuni mesi
del 1999), non può, invece, costituire prova della sua partecipazione al sodalizio
criminoso facente capo al suddetto Calaiò proprio perché manca la prova sia di
un inserimento stabile ed organico nel sodalizio, sia di quale fosse il suo ruolo:

partecipazione, così come essersi prestato a detenere (per non più di due volte)
del denaro appartenente a soggetti facenti parte del sodalizio criminoso, non
costituisce prova del fatto che fosse il cassiere dell’associazione.
Nessuna rilevanza probatoria, infine, può rivestire la circostanza che, nel
2003 e, quindi, a distanza di oltre tre anni – senza che in questo periodo nulla
sia stato evidenziato a carico del ricorrente – il Finelli avvisò il Calaiò della
presenza delle forze dell’ordine.
In altri conclusivi termini, il compendio probatorio evidenziato dalla Corte,
pure valutato nel suo insieme e non in modo frazionato, è carente sotto un
profilo essenziale e cioè quello della prova della partecipazione nel tempo, in
modo continuato e stabile, del Finelli al sodalizio criminale con le mansioni
descritte nel capo d’imputazione e cioè come l’uomo che svolgeva il

«supporto

logistico indispensabile per lo svolgimento del traffico, prestandosi in particolare
ad offrire la sua abitazione quale luogo di custodia del denaro del gruppo»: una
cosa è la frequentazione assidua di un partecipe all’associazione (Calaiò), altra e
ben diversa cosa è far parte dell’associazione. Il salto logico in cui la Corte è
incorsa è stato, in altri termini, quello di volere desumere dalla circostanza che il
Finelli frequentava il Calaiò, da una parte, la conseguenza che partecipasse
anche all’associazione di cui questi faceva parte e, dall’altra, da un
comportamento magari connivente dovuto ad una presumibile amicizia con il
suddetto Calaiò (detenzione di denaro), un ruolo stabile nell’associazione.
Invero, la suddetta circostanza, avrebbe potuto essere un indizio che avrebbe
potuto fare da collante ove il quadro probatorio fosse stato univoco e cioè ove
fosse stato provato che il Finelli svolgeva il ruolo di cassiere dell’associazione
criminale e forniva ai suoi sodali supporto logistico: ma così non è perché, due
isolati episodi, desunti da intercettazioni telefoniche, in mancanza di altri
riscontri, non possono essere ritenuti idonei – potendo di essi essere fornita una
diversa e del tutto legittima interpretazione alternativa – a far ritenere la
colpevolezza del ricorrente.
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/

una sola cessione di stupefacente non basta a far ritenere che sia indice della

6. In conclusione, la sentenza, quanto al reato associativo, dev’essere
annullata senza rinvio, per non avere l’imputato commesso il fatto: di
conseguenza, non essendo questa Corte nelle condizioni di rideterminare la pena
relativamente al residuo reato di cui all’art. 73 dpr 309/1990, gli atti vanno
trasmessi ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, per la sola
rideterminazione della pena in ordine al suddetto delitto.

P.Q. M.
ANNULLA

limitatamente al reato associativo, con rinvio ad altra sezione della Corte di
Appello di Milano per la rideterminazione della pena.

senza rinvio la sentenza impugnata per non aver commesso il fatto

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