Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 39556 del 02/10/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 39556 Anno 2015
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BELLOCCO GIULIO N. IL 13/06/1951
avverso l’ordinanza n. 4330/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 22/11/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;

Data Udienza: 02/10/2014

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con ordinanza resa in data 22 novembre 2013 il Tribunale dì Sorveglianza di
Roma rigettava il reclamo proposto da Bellocco Giulio avverso il decreto
Ministeriale di applicazione del regime differenziato di cui all’art. 41 bis ord.pen.
del 15 ottobre 2012; quanto all’esame delle doglianze relative alla compatibilità
tra le singole prescrizioni adottate e le condizioni di salute del detenuto
trasmetteva gli atti al Tribunale di Sorveglianza di Ancona ai sensi dell’art. 14 ter
ord . pen. .

con ruolo qualificato, nonchè per usura ed estorsione aggravate ai sensi dell’art.
7 legge n.203 del 1991 .
Il Tribunale, premessa una sintetica ricostruzione della tipologìa di intervento
demandato dalla legge all’organo giurisdizionale, evidenzia le principali risultanze
fattuali emerse a carico del Bellocco nei procedimenti in corso e ne trae le
considerazioni in punto di ‘capacità’ di mantenimento dei contatti con
l’organizzazione criminale di provenienza. Si compie riferimento, in particolare,
alle decisioni irrevocabili relative alla esistenza della cosca Bellocco (articolazione
della ‘ndrangheta calabrese) e al ruolo di assoluto rilievo svolto da Bellocco Giulio
nel territorio di San Ferdinando.
L’ applicazione del regime detentivo speciale risulta – dato il livello di inserimento
nel gruppo criminoso, all’esterno ancora attivo – del tutto giustificata, ad avviso
del Tribunale, sulla base degli elementi di fatto posti a base del provvedimento di
proroga, la cui valenza non è posta in dubbio dai contenuti delle critiche
difensive.
Quanto al tema della compatibilità tra le singole prescrizioni e la tutela della
salute del soggetto recluso (Bellocco è affetto da morbo di Parkinson) il Tribunale
declina la competenza in favore dell’organo giurisdizionale territoriale, stante la
formulazione della norma di cui all’art. 41 bis co. 2 sexies ord.pen. (come
interpretata da Corte Cost. n.190 del 2010).

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Bellocco Giuliocon due distinti atti redatti dai difensori di fiducia – articolando distinti motivi.
Nel ricorso a firma dell’avv. Borgese si deducono più violazioni della disciplina
regolatrice, assenza di motivazione e travisamento delle risultanze di fatto.
Si rappresenta l’estraneità – sulla base degli stessi atti oggetto di valutazione del Bellocco Giulio alla cosca Bellocco operante in Rosarno.
I precedenti giudizi sulla esistenza di detta cosca non lo hanno coinvolto, a
dimostrazione di legami esclusivamente caratterizzati dalla parentela.

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Bellocco Giulio risulta in in custodia cautelare per il reato di associazione mafiosa

Il luogo di residenza del Bellocco Giulio non è quello ove opera la cosca, per
ragioni di allontanamento volontario del Bellocco da Rosarno.
Non può ravvisarsi, pertanto, alcuna capacità di mantenere i legami con la cosca,
dato che non sarebbero mai esistiti.
Con il secondo motivfo ci si duole dell’omesso esame del tema rappresentato
dalle condizioni di salute di Bellocco Giulio. Si tratta di patologia di tale rilievo
invalidante da rifluire sulla stessa pretesa ‘capacità’ di mantenimento dei pretesi
contatti.

3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei
motivi addotti. Come è noto, avverso il provvedimento emesso dal Tribunale di
Sorveglianza in sede di reclamo circa l’applicazione o la proroga del regime
differenziato di cui all’art. 41 bis ord.pen. è ammesso ricorso per cassazione in
rapporto alla sola violazione di legge (art. 41 bis co. 2 sexies ord.pen.) .
Ciò determina la possibilità, per questa Corte di rilevare solo l’assoluta
carenza di motivazione, intesa come mancanza grafica della stessa o come
redazione di un testo del tutto sfornito dei requisiti minimi di logicità e aderenza
ai dati cognitivi acquisiti, tale da rendere incomprensibile il percorso giustificativo
della decisione.
Nel caso in esame ciò non risulta affatto, posto che il Tribunale ha
analiticamente spiegato le ragioni – traendo le sue argomentazioni dal contenuto
del decreto di sottoposizione e dal titolo cautelare in atto – per cui si è ritenuto
sussistente il «pericolo» di mantenimento di contatti tra il detenuto ed il contesto
criminale di tipo associativo nel cui ambito sono maturati i fatti oggetto del
giudizio.
Tale pericolo è stato rapportato correttamente alla particolare rilevanza del
ruolo svolto dall’attuale ricorrente all’interno della organizzazione mafiosa (per
quanto risulta dal recente provvedimento di merito), struttura che risulta
all’esterno ancora operativa.
Da qui la legittimità delle valutazioni operate, specie in rapporto alla natura
preventiva dello strumento in applicazione, che non richiede la prova dei contatti
già in atto ma che mira, data la pericolosità manifestata dal soggetto, a inibire la
loro possibilità di realizzarsi .
La condizione del soggetto detenuto, dunque, viene di certo sottoposta ad un
«àggravamento» del grado di afflizione già di per sè correlato alla limitazione di
libertà, ma ciò avviene non in forza di «nuova e diversa» affermazione di
colpevolezza quanto in virtù della constatazione del livello di pericolosità
soggettiva (desumibile dalla natura del reato commesso e dagli altri indicatori
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Nel ricorso a firma dell’avv. Managò si svolgono considerazioni analoghe.

previsti dalla legge) che legittima l’adozione di misure idonee a prevenire il
fenomeno del mantenimento delle capacità di incidenza del soggetto recluso
sugli accadimenti esterni.
A fronte di ciò le critiche esposte, pur formulate sotto il profilo della assenza
del percorso motivazionale in realtà ne contestano la persuasività, in rapporto a
circostanze di fatto non apprezzabili nella presente sede di legittimità.
Vi è infatti una sostanziale richiesta di rivalutazione della capacità
dimostrativa degli atti contenuti nel titolo cautelare, operazione che esorbita dal

sulla conguenza logica della motivazione, come nel caso in esame.
Quanto al tema della incidenza sul regime differenziato delle condizioni di
salute, corretta risulta la decisione di sottoporre tale aspetto del giudizio al
Magistrato di Sorveglianza competente per territorio.
La verifica riguarda infatti l’adeguatezza delle concrete limitazioni disposte e
non già la capacità di mantenimento dei contatti, di per sè non preclusa dal tipo
di patologia in atto.
Vi è pertanto necessità di verifica della compatibilità tra le condizioni di
salute e gli specifici contenuti del decreto ministeriale, da operarsi ai sensi di
quanto previsto dall’art. 14 ter ord.pen. .
La lettura delle nuove disposizioni – introdotte nel 2009 – in senso «abrogativo»
del controllo sulle singole prescrizioni conformanti il regime detentivo speciale che si era inizialmente appoggiata al nuovo testo del comma 2 sexies dell’art.
41 bis (nella parte in cui limita il sindacato giurisdizionale sul provvedimento
applicativo alla sola sussistenza dei presupposti)

è stata, infatti, disattesa dalla

Corte Costituzionale nella nota decisione n.190 del 2010, ove si è con estrema
chiarezza affermato che «..non vi è dubbio che il sindacato giurisdizionale sulle
determinazioni dell’amministrazione, per esplicare pienamente la sua funzione a
tutela dei diritti dei detenuti, debba estendersi non solo alla sussistenza dei
presupposti per l’adozione del provvedimento, ma anche al rispetto dei limiti
posti dalla legge e dalla Costituzione in ordine al contenuto di questo».
Come già affermato in precedente pronunzia (sent. 351 del 1996): «eventuali
misure illegittime, lesive dei diritti del detenuto, dovranno perciò essere a questi
fini disattese, secondo la regola generale per cui il giudice dei diritti applica i
regolamenti e gli atti dell’amministrazione solo in quanto legittimi » . Il
legislatore ha recepito il principio di tutela stabilito da questa Corte ed ha inserito
nella disposizione posta ad oggetto delle odierne censure – con l’art. 4 della
legge 7 gennaio 1998, n. 11 (Disciplina della partecipazione al procedimento
penale a distanza e dell’esame in dibattimento dei collaboratori di giustizia,
nonché modifica della competenza sui reclami in tema di articolo
4

41 bis

perimetro legale del giudizio di legittimità, specie lì dove sia inibito il controllo

dell’ordinamento penitenziario) – un comma

2 – bis,

in cui si stabiliva la

competenza del tribunale di sorveglianza sui reclami avverso i provvedimenti del
Ministro della giustizia di sospensione, in tutto o in parte, per gravi motivi di
ordine e di sicurezza pubblica, delle regole ordinarie di trattamento dei detenuti.
Con il successivo comma 2 – sexíes – inserito dall’art. 2 della legge 23 dicembre
2002, n. 279 (Modifica degli articoli 4 – bis e 41 – bis della legge 26 luglio 1975, n.
354, in materia di ordinamento penitenziario) – si è attribuita al tribunale di
sorveglianza la competenza a decidere, in seguito a reclamo, «sulla sussistenza

dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2». Occorre mettere in rilievo
che la stessa legge n. 279 del 2002 aveva inserito nell’art. 41 – bis anche un
comma 2 – quater, contenente un elenco di misure conseguenti alla sospensione
delle regole di trattamento, attribuendo al Ministro della giustizia, con l’uso del
sintagma verbale «può comportare», un ambito di discrezionalità nella scelta
delle misure ritenute necessarie e sufficienti per soddisfare le esigenze di
sicurezza poste a fondamento del potere di sospensione. Al tribunale di
sorveglianza spettava pertanto un doppio controllo, sui presupposti e sui
contenuti, questi ultimi quanto alla loro «congruità» rispetto alle esigenze di
sicurezza. È evidente che tale controllo sulla congruità era strettamente correlato
al potere discrezionale del Ministro, da ritenersi limitato, come ogni potere
discrezionale, ai mezzi necessari a perseguire le finalità previste dalla legge. La
legge n. 94 del 2009 ha apportato plurime modifiche all’art. 41 – bis ord. pen., tra
cui, rilevanti ai fini del presente giudizio, quella riguardante il primo capoverso
del comma 2 – quater e quella concernente il comma 2 – sexíes. Con la prima
modifica, relativa all’elenco delle restrizioni concernenti vari aspetti della vita
carceraria, all’espressione «può comportare» è stata sostituita l’altra «prevede»;
con la seconda novella è stato soppresso, nella disciplina del reclamo contro il
decreto applicativo del regime speciale, il riferimento al controllo sulla congruità
di contenuto del provvedimento rispetto alle esigenze di sicurezza. .. Il giudice
rimettente ritiene che la suddetta soppressione testuale abbia fatto venir meno il
controllo di legalità, da parte del tribunale di sorveglianza, sui contenuti del
provvedimento di sospensione, con conseguente violazione degli artt. 13,
secondo comma, 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma, Cost. .
Dall’esposizione che precede si desume che tale prospettazione è frutto della
mancata ricostruzione sistematica del quadro normativo. Per effetto di tale
omissione, il giudice a quo non ha preso in considerazione un’interpretazione
costituzionalmente orientata della disposizione censurata, basata sulla
constatazione della perdurante esistenza e utilizzabilità del rimedio previsto
dall’art. 14-ter ord. pen. per tutti i regimi di sorveglianza particolare, ed anzi, più
5

dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto

in generale, quale strumento di garanzia giurisdizionale per i diritti dei detenuti ..
. La forte riduzione della discrezionalità ministeriale nella individuazione delle
misure conseguenti alla sospensione del trattamento ordinario del detenuto, con
l’introduzione di un elenco di restrizioni tassativamente indicate dalla legge, ha
determinato la scomparsa del riferimento testuale al controllo sulla congruità dei
mezzi rispetto ai fini, ma non ha certamente eliminato il controllo di legittimità
sul contenuto dell’atto, in ordine all’eventuale violazione di diritti soggettivi del
detenuto. Si è ritenuto, in altre parole, che non vi fosse più necessità di una

dall’ordinamento penitenziario, mai abrogato e ritenuto dalla giurisprudenza di
questa Corte applicabile, come prima si è ricordato, anche al regime di cui
all’art. 41 bis. ..» (in tali termini Corte Cost., sent. n.190 del 2010).
Le doglianze qui proposte non sono pertanto – sul tema – valutabili, una volta
esclusa la ricaduta della patologìa riscontrata sulla stessa legittimità del decreto
e ferme restando le necessarie valutazioni sui contenuti del decreto da parte del
Magistrato e del Tribunale di Sorveglianza territoriale.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’
art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 a favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 2 ottobre 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

norma specifica. Resta impregiudicato, peraltro, il rimedio generale previsto

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