Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3946 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3946 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GAZZARA SANTI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE ANGELIS SIMONE N. IL 28/03/1977
avverso l’ordinanza n. 370/2013 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
16/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SANTI GAZZARA;
I
/sentite le conclusioni del PG 1)00.
“A. e-41-r;:.•
44.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 08/01/2014

RITENUTO IN FATTO
Il Gip presso il Tribunale di Roma, con decreto del 2/4/13, disponeva il
sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente della
somma di euro 782.452,00, a carico di Simone De Angelis, indagato dei
rappresentante della Master s.r.I., aveva omesso di versare nel termine
prescritto l’i.v.a. per l’anno 2008 nonché le ritenute alla fonte, operate sui
compensi erogati ai lavoratori dipendenti per gli anni 2008 e 2009.

Il Tribunale di Roma, chiamato a pronunciarsi sulla istanza di riesame,
avanzata nell’interesse del prevenuto, con ordinanza del 16/5/2013, ha
confermato l’impugnato decreto.
Propone ricorso per cassazione la difesa del De Angelis, con i seguenti
motivi:
-violazione degli artt. 321 cod.proc.pen., 240, co. 2, cod.pen., e 1, co. 143,
L. 244/07, in quanto nel decreto di sequestro del 2/4/2013 non appare
evidente il collegamento tra la presunta azione criminosa e il profitto
relativo all’utilizzazione del risparmio di imposta, asserita mente realizzato
dall’indagato, che, peraltro, a causa dello stato di difficoltà economica in
cui versava la Master s.r.I., di cui lo stesso era stato legale rappresentante
fino al 30/7/2009, si era trovato nella materiale impossibilità di
asseverare gli obblighi fiscali contestati;
-illegittimità del sequestro delle quote sociali della D.E.A. Servizi s.r.I.,
intestate al De Angelis, in quanto facenti parte del patrimonio di detta
società e non sottoponibili a confisca per equivalente.

reati di cui agli artt. 10 bis e 10 ter, d.Lvo 74/2000, perché quale legale

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
La argomentazione motivazionale, adottata dal Tribunale, si palesa logica

Il giudice di merito evidenzia che con informativa del 31/1/2012 la
Agenzia delle Entrate, ufficio territoriale di Roma 4, segnalava che ad un
controllo telematico sui presenti nel sistema informativo della Anagrafe
Tributaria, la Master Service s.r.l. risultava avere omesso nel termine
prescritto il versamento dell’i.v.a. dovuta per l’anno 2007 per un
ammontare di euro 224.395,00. Successivi accertamenti consentivano di
appurare che la stessa società non aveva effettuato anche il versamento
dell’i.v.a. per l’anno 2008, nonché delle ritenute alla fonte, operate sui
compensi erogati negli anni 2008 e 2009.
Di poi, il decidente, compiutamente, rileva che il reato di omesso
versamento, da parte del sostituto di imposta, delle ritenute operate sulle
retribuzioni dei lavoratori dipendenti si consuma alla scadenza del
termine per la presentazione della dichiarazione annuale, in quanto è solo
col maturare di tale termine che si verifica l’evento dannoso per l’Erario,
previsto dalla fattispecie penale.

e corretta.

Analogamente il reato ex art. 10 ter, d.Lvo 74/2000 viene a concretizzarsi
nel momento in cui scade il termine ex lege previsto per il versamento
‘ dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.
Dagli atti risulta che i reati ipotizzati si sono perfezionati secondo la
cronologia indicata nel decreto di sequestro, per cui nessun dubbio sulla
sussistenza del fumus, peraltro non negata dal De Angelis.

3

,,,

Ciò posto, ai sensi degli artt. 322 ter cod.pen. e 1, co. 143, L. 244/2007, in
caso di sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta
delle parti, è prevista anche per le violazioni agli artt. 10 bis 10 ter, d.Lvo
74/2000, la confisca dei beni che costituiscono il profitto del reato e, nel
valore corrispondente.
Di tal chè, ex art. 321 cod.proc.pen., è possibile disporre il sequestro
preventivo dei beni appartenenti all’indagato, prodromico alla successiva
confisca, sino alla concorrenza dell’importo equivalente al profitto del
reato che, in materia tributaria, coincide con l’ammontare della imposta
evasa: tale profitto per il De Angelis è stato così correttamente calcolato
in euro 782.387,00.
Quanto osservato rende del tutto inconferente la censura mossa col
primo motivo di annullamento.
Del pari manifestamente infondata è l’ulteriore doglianza formulata in
atto di impugnazione, in quanto il sequestro non ha interessato il
patrimonio sociale della D.E.A. Servizi s.r.l. ma le quote di partecipazione
possedute dal prevenuto nella predetta società, beni sui quali, di certo,
poteva applicarsi il vincolo de quo, perché rientranti nel patrimonio
personale dell’indagato.
Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte
Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il
De Angelis abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art.
616 cod.proc.pen., deve, altresì, essere condannato al versamento di una
somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in
ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.

caso in cui ciò non sia possibile, dei beni nella disponibilità del reo per un

P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro

Così deciso in Roma l’8/1/2014.

1.000,00.

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