Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 39428 del 31/03/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 39428 Anno 2015
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: ROTUNDO VINCENZO

SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di:
1.

Berlusconi Paolo, nato a Milano il 6-12-48,

2.

Berlusconi Silvio, nato a Milano il 29-9-36,

avverso la sentenza in data 31-3-14 della Corte di Appello di Milano, sezione 2°
penale;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita la relazione fatta dal consigliere, dott. Vincenzo Rotundo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, dr. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi gli avv. ti Carlo Federico Grosso (per la parte civile), Federico Cecconi,
Niccolò Ghedini e Piero Longo (per gli imputati).

FATTO
1. Il procedimento in esame ha preso l’avvio dalla pubblicazione, in data 27-122005 e nei giorni successivi, sul quotidiano “Il Giornale” del contenuto di una
conversazione telefonica tra l’on. Piero Fassino e Giovanni Consorte, intercettata
nell’ambito di un procedimento penale pendente presso la Procura della
Repubblica di Milano su ipotesi di reato di manipolazione del mercato in
riferimento alla scalata della Banca Antonveneta da parte della Banca Popolare di

Data Udienza: 31/03/2015

Lodi (si tratta della telefonata identificata in via breve nell’immaginario collettivo
con la frase dell’on. Fassino: “Allora abbiamo una Banca?”).
Si trattava di una conversazione non trascritta, coperta da omissis, in quanto
effettuata da un parlamentare.
Le indagini subito espletate per individuare la fonte della violazione del segreto
istruttorio non conducevano però ad alcun risultato utile.
Solo molto tempo dopo, in data 3-10-2009, era avvenuto che l’on Antonio Di
Pietro si era presentato presso la Procura della Repubblica di Roma e aveva

era stato presentato dalla giornalista de “L”Unità”, Clauda Fusani. Il Favata
aveva, tra l’altro, raccontato prima alla Fusani e poi a Di Pietro che, unitamente
a Roberto Raffaelli, amministratore delegato di R.C.S., società leader del settore
delle intercettazioni telefoniche, aveva incontrato, la sera della vigilia di Natale
del 2005, ad Arcore, Paolo e Silvio Berlusconi, ai quali aveva ceduto una pen
drive contenente la famosa telefonata Fassino-Consorte
A seguito delle dichiarazioni di Di Pietro erano state attivate indagini, che si
erano sostanziate in intercettazioni, servizi di osservazione, interrogatori,
perquisizioni domiciliari ed acquisizioni documentali.
All’esito delle indagini, Paolo Berlusconi era stato chiamato a rispondere del reato
di cui agli artt. 81, comma secondo, 110 e 326, commi primo e terzo, cod. pen.
per avere, nella sua qualità di editore del quotidiano “Il Giornale”, -in concorso
con Roberto Raffaelli (consigliere ed amministratore delegato della RCS spa,
incaricato dì pubblico servizio in quanto ausiliario della polizia giudiziaria
delegato a fornire le attrezzature per operazioni di intercettazione in
procedimento penale), Fabrizio Favata ed Eugenio Petessi [il primo in affari da
tempo con Paolo Berlusconi nella società LP. Time s.r.I.; il secondo legato da
tempo al Raffaelli da rapporti di conoscenza e di attività illegali (false fatture) ed
al Favata da rapporti di amicizia e di affari], agendo il Raffaelli in violazione dei
doveri inerenti a pubblico servizio e con abuso della sua qualità, rivelato notizie
d’ufficio che dovevano rimanere segrete.
Secondo l’ipotesi accusatoria:
• Raffaelli aveva in un primo momento rivelato a Petessi e Favata il
contenuto della conversazione telefonica intercorsa tra Fassino e
Consorte e di altre conversazioni intercettate, quando tali conversazioni
erano ancora sottoposte a segreto, non trascritte né sintetizzate nei
verbali delle operazioni compiute dalla Polizia Giudiziaria, non trasfuse in
atti di indagine, e quindi esistenti al momento dei fatti soltanto in
formato-audio;

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rilasciato dichiarazioni in merito ai colloqui avuti con tale Fabrizio Favata, che gli

successivamente, in concorso tra loro, avevano rivelato lo stesso
contenuto a Paolo Berlusconi;

ancora successivamente, in concorso tra loro e con Paolo Berlusconi, lo
avevano rivelato al fratello di quest’ultimo, Sivio Berlusconi, allora
Presidente del Consiglio;

e quindi si erano avvalsi illegittimamente delle notizie segrete suindicate,
trasferendole a Paolo Berlusconi in formato-audio a mezzo di pen-drive e
da Paolo Berlusconi al quotidiano “Il Giornale”, sul quale erano state

Silvio Berlusconi era stato, a sua volta, imputato del reato di cui agli artt. 110 e
326, comma primo, cod. pen. per avere -in concorso con Roberto Raffaelli,
Fabrizio Favata, Petessi Eugenio e Paolo Berlusconi, nelle qualità e nei ruoli sopra
rispettivamente già specificati- violando Raffaelli i doveri inerenti al pubblico
servizio e comunque abusando della relativa qualità, rivelato notizie d’ufficio che
dovevano rimanere segrete.
Segnatamente Silvio Berlusconi, accettando di ricevere Raffaelli e Favata presso
la propria residenza di Arcore, ricevendoli effettivamente unitamente al fratello
Paolo, ascoltando il contenuto della conversazione telefonica intercorsa il 18-705 tra Fassino e Consorte, intercettata nell’ambito del procedimento suindicato,
esprimendo compiacimento e riconoscenza per la rivelazione illegale appena
effettuata, aveva determinato, con tale comportamento univoco e concludente,
la rivelazione di tali notizie segrete per il tramite di Paolo Berlusconi, che, di
conseguenza, dapprima le aveva acquisite in formato-audio a mezzo di pen-drive
da Raffaelli e Favata e poi le aveva fatte pervenire al quotidiano “Il Giornale”,
dove erano state pubblicate il 31 dicembre 2005 e nei giorni successivi.

2.

Con sentenza in data 7-3-13 il Tribunale di Milano ha dichiarato Paolo

Berlusconi e Silvio Berlusconi colpevoli del reato di cui all’art. 326 cod. pen., così
come rispettivamente loro contestato, condannando Paolo Berlusconi alla pena di
anni due e mesi tre di reclusione e Silvio Berlusconi alla pena di anni uno di
reclusione, con obbligo di risarcimento in solido dei danni cagionati alla costituita
parte civile, Piero Fassino, liquidati in ottantamila euro, e di rifusione delle spese
sostenute dalla medesima parte civile, liquidate come da dispositivo.
Nei confronti dei coimputati di Paolo e Sivio Berlusconi si è proceduto
separatamente e i relativi procedimenti hanno seguito le regole dei riti alternativi
rispettivamente scelti (per Raffaelli e Petessi l’applicazione patteggiata della
pena; per Favata il giudizio abbreviato).
All’esito di un complesso dibattimento (nel corso del quale sono stati escussi
numerosi testimoni, che hanno consentito di ricostruire i rapporti tra Fabrizio

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pubblicate il 31-12-2005 e nei giorni successivi.

Favata e Paolo Berlusconi e il lungo interessamento della società RCS del
Raffaelli rispetto all’espansione nel mercato romeno), il Tribunale di Milano ha
ritenuto che le risultanze acquisite avevano pienamente dimostrato la penale
responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti.
In particolare, il Giudice di primo grado ha ritenuto accertato che erano state
poste in essere cinque diverse condotte di rivelazione ed utilizzazione della
notizia segreta:
1. una prima rivelazione tra Raffaelli e Petessi;

3. una terza rivelazione da Raffaelli e Favata a Paolo Berlusconi nell’ottobre
2005;
4. una quarta rivelazione ad Arcore da Raffaelli, Favata e Paolo Berlusconi a
Silvio Berlusconi in data 24-12-2015;
5. la pubblicazione della telefonata su “Il Giornale” il 31-12-2005 e nei giorni
successivi, previa acquisizione della chiavetta e suo trasferimento alla
redazione del predetto quotidiano.
Il Tribunale ha in primis rilevato che, alla luce delle risultanze acquisite, poteva
ritenersi certo che nei primi tre episodi Silvio Berlusconi era palesemente
estraneo e Paolo Berlusconi (nel terzo) si era limitato ad ascoltare.
Quanto alle condotte successive, il Tribunale si è imposto di verificare:

per Silvio Berlusconi se, rispetto al mero ascolto della telefonata, egli
avesse concorso alla successiva propalazione della stessa, per mezzo
della pubblicazione sul quotidiano “Il Giornale” in data 31-12-2005
mediante atti concreti di agevolazione tipici del concorrente nel reato
proprio;

per Paolo Berlusconi se avesse concorso nella propalazione medesima,
tramite la pubblicazione, sul suo giornale e se avesse utilizzato la
diffusione della notizia segreta per trarne profitti patrimoniali.

A tal fine il Tribunale ha proceduto ad una dettagliata ricostruzione dell’incontro
di Arcore, ha ripercorso la fase della pubblicazione della notizia, ha confrontato
analiticamente le dichiarazioni di Favata e quelle di Raffaelli, concludendo per la
credibilità dei riferimenti del Favata e per la scarsa coerenza di quelli del Raffaelli
(con particolare riferimento a tre aspetti del suo narrato, e cioè il riferito
inconveniente tecnico, la sua delusione dopo l’incontro e il disinteresse di Paolo
Berlusconi).
Il Tribunale, in definitiva, ha ritenuto accertato (in base a quanto riferito dal
Favata, riscontrato dalle dichiarazioni di Petessi e De Ambrosis) che all’incontro
di Arcore la registrazione-audio era stata ascoltata tramite il computer portatile
del Raffaelli, senza alcun “addormentamento” da parte di Sivio Berlusconi, né

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2. una seconda rivelazione da Raffaelli e Petessi a Favata;

decisivo inceppamento del p.c., e che il successivo 27 dicembre il Favata,
ottenuta dal Raffaelli la chiavetta con la registrazione, la aveva consegnata a
Paolo Berlusconi, che a sua volta l’aveva fatta pervenire alla redazione del suo
giornale.

3. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Milano, sezione 2°
penale, in data 31-3-2014, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di
Paolo Berlusconi e di Silvio Berlusconi in ordine ai reati loro rispettivamente

La Corte Distrettuale ha dapprima ritenuto infondati i motivi di gravame
(formulati nell’interesse di Silvio Berlusconi) concernenti l’eccezione di
incompetenza per territorio e quella di nullità del decreto dispositivo del giudizio
per la asserita indeterminatezza della condotta ascritta al predetto imputato.
Successivamente ha constatato che i reati contestati agli imputati erano oramai
estinti per prescrizione.
La presenza di una domanda della Parte Civile ha, però, imposto alla Corte di
Appello di procedere ad una completa disamina del compendio probatorio ai fini
delle statuizioni civili.
La Corte di Milano ha così rianalizzato la posizione di Fabrizio Favata, osservando
che il Tribunale aveva correttamente condotto il vaglio della credibilità del
predetto. Ha poi ribadito la criticità della versione dei fatti fornita dal Raffaelli,
condividendo i tre nodi individuati dal Tribunale che ne rendevano inattendibile il
narrato. Ha infine dato una lettura logica agli avvenimenti, rimarcando che
appariva poco credibile che il trio che la sera della vigilia di Natale si era recato
ad Arcore dall’allora Presidente del Consiglio in carica non avesse avuto un
programma condiviso e consapevole, consistente nel proporre al

premier

l’ascolto (e, naturalmente, poi anche la disponibilità) dell’intercettazione
trafugata: solo un tale programma poteva spiegare la frenesia del Favata e la
presenza del Raffaelli, primo artefice del “regalo” che ci si apprestava a fare al
Presidente e bramoso di sostegno, grazie ad esso, per i suoi progetti di
espansione in Romania. Da ultimo la Corte di merito ha ritenuto che i riferimenti
del Favata anche in riferimento alla successiva consegna della pen drive erano

riscontrati dalle concrete ed affidabili dichiarazioni di Petessi e De Ambrosis.
In chiusura la Corte di Appello di Milano ha sottolineato che a Silvio Berlusconi
era contestato il concorso nel reato di cui all’art. 326, comma primo, cod. pen.,
per il quale non era necessario un interesse di carattere patrimoniale, sicché ben
poteva prefigurarsi un interesse di tipo diverso, commisurato al vantaggio
ottenuto nella lotta politica.

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ascritti perché estinti per prescrizione, confermando le statuizioni civili.

Gli elementi acquisiti apparivano ben lontani dal configurare una evidenza di
prove immediatamente dimostrative della estraneità dei due imputati rispetto
agli addebiti loro mossi e, anzi, erano del tutto idonei a fondare -anche nella
ricorrenza di una causa estintiva del reato- la responsabilità di Paolo Berlusconi
e di Sivio Berlusconi ai fini delle domande civili.

4. Avverso la suindicata sentenza della Corte di Appello di Milano del 31-3-14
hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori, Paolo

4.1. La Difesa di Sivio Berlusconi (avv. ti Niccolò Ghedini e Piero Longo) deduce:
1. Violazione dell’art. 326 cod. pen. e degli artt. 8, 12 e 16 cod. proc. pen.,
rinnovando l’eccezione di incompetenza territoriale già ritualmente
sollevata e respinta dai Giudici di merito. Silvio Berlusconi -si ricorda in
ricorso- è imputato esclusivamente di concorso nel reato di cui all’art.
326, comma primo, cod. pen., commesso pacificamente in Arcore, nella
circoscrizione del Tribunale di Monza. La Corte di Appello, nel respingere
l’eccezione, sarebbe incorsa in errore ritenendo unitaria la fattispecie
prevista da tale disposizione, che, invece, per giurisprudenza e per
dottrina consolidate, prevede quattro ipotesi distinte. Avrebbe altresì
errato la Corte Distrettuale là dove avrebbe affermato che la competenza,
radicata in Milano per le imputazioni a carico di Paolo Berlusconi, attraeva
a sé anche quella riguardante gli altri imputati. Silvio Berlusconi è infatti,
come si è visto, imputato di mero concorso nella commissione del solo
reato di cui all’art. 326, comma primo, cod. pen.: ne risulta che la sua
posizione sarebbe governata unicamente dalla lettera a) dell’art. 12 cod.
proc. pen. e non sarebbero a lui applicabili le ipotesi previste dalle
ulteriori lettere del medesimo art. 12.
2. Violazione dell’art. 429, comma 1 lettera c) e comma 2, cod. proc. pen.
per indeterminatezza del capo di imputazione, in quanto, contrariamente
a quanto affermato dalla Corte di Appello di Milano nel respingere
l’eccezione, i comportamenti attribuiti all’imputato (accettare, ascoltare
ed esprimere compiacimento) sarebbero meramente formali e non
descrittivi del fatto con particolare riferimento all’elemento psicologico del
reato. A parte il fatto che nella seconda parte della imputazione ascritta a
Silvio Berlusconi sarebbe stato descritto il concorso nella diversa
fattispecie di cui al comma terzo dell’art. 326 cod. pen., fattispecie
estranea alla imputazione coatta imposta dal GUP al P.M., sicché
l’imputato non sarebbe stato posto in grado di sapere esattamente da
cosa doveva difendersi.

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Berlusconi e Silvio Berlusconi, chiedendone l’annullamento.

3. Erronea applicazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., in quanto
nel caso in esame la chiamata in correità di Fabrizio Favata non sarebbe
stata in realtà vagliata dalla Corte di merito in base ai criteri elaborati
dalla giurisprudenza di legittimità, ma in base ad altri diversi principi. In
particolare la credibilità-attendibilità-affidabilità del dichiarato dal Favata
sarebbe stata erroneamente soppesata alla luce della affidabilità o meno
di altro soggetto (Raffaelli) con conseguente evidente vizio logico
insuperabile.

all’art. 326 cod. pen., in quanto la condotta tenuta da Sivio Berlusconi
avrebbe dovuto essere qualificata come penalmente irrilevante. Anche a
ritenere provato l’ascolto da parte di Sivio Berlusconi della conversazione
intercettata, egli sarebbe stato “mero percettore di notizia coperta da
segreto di ufficio a sua insaputa rivelatagli da soggetti terzi”.
Mancherebbe la prova del contributo causale fornito da Sivio Berlusconi
alla commissione del reato e la ricostruzione dei Giudici di merito sul
punto sarebbe una pura illazione. Inoltre nel caso di specie Vintraneus si
era già deciso a rivelare il segreto e nessun contributo concorsuale
potrebbe essere ravvisato nell’averlo ospitato presso la propria
abitazione, ancorché ciò fosse avvenuto con la consapevolezza
dell’intenzione propalatoria di quello. In realtà si sarebbe dilatato il
perimetro della responsabilità concorsuale fino ad includervi anche la
semplice connivenza. Ospitare e presenziare all’incontro sarebbe bastato
ad integrare una condotta di avvallo e consenso alla produzione
dell’evento illecito poi verificatosi con la divulgazione della notizia coperta
da segreto. Si tratterebbe di conclusioni tanto più errate se si considera
che a Silvio Berlusconi è contestato unicamente il concorso nel reato di
cui al comma primo dell’art. 326 cod. pen. In realtà le risultanze acquisite
avrebbero al più dimostrato un semplice e generico interessamento da
parte dell’imputato alla realizzazione dell’evento criminoso.
5. Violazione di legge per erronea applicazione della fattispecie di reato di
cui all’art. 326, comma 1, cod. pen. Delle cinque ipotizzate condotte di
rivelazione di segreto di ufficio una soltanto vedrebbe coinvolto in prima
persona Silvio Berlusconi, e cioè la quarta, quella avvenuta la vigilia di
Natale del 2005 in Arcore, ove nella sua residenza Raffaelli, Favata ed il
fratello Paolo Berlusconi gli rivelarono l’atto coperto da segreto di ufficio.
Ne discenderebbe che l’unica condotta ipotizzabile a carico dell’imputato
sarebbe quella di uso di atto coperto da segreto di ufficio, prevista e

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4. Violazione di legge in riferimento al concorso di persone nel reato di cui

punita dal comma terzo dell’art. 326 cod. pen., condotta tutt’affatto
diversa da quella contestata.
6. Vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità per
concorso in rivelazione di segreto di ufficio, in quanto, per i motivi sopra
esposti, la Corte di merito avrebbe in realtà motivato unicamente in
riferimento alla fattispecie di uso di atto coperto da segreto di ufficio, mai
contestata a Silvio Berlusconi.
7. Violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., in quanto, qualora si

all’art. 326, terzo comma, cod. proc. pen., sarebbe stato violato il
principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza.
8. Nullità del capo della sentenza afferente la condanna al ristoro dei danni
subiti dalla parte civile per vizio di motivazione. In primo luogo lo schema
argomentativo della sentenza impugnata sarebbe del tutto incongruo e, in
secondo luogo non sarebbe stata data risposta alcuna alla considerazione
difensiva in base alla quale il danno provocato dalla commissione del
reato di cui all’art. 326, comma primo, cod. pen. era necessariamente
diverso ed assai minore rispetto al danno provocato dalla pubblicazione
della notizia segreta, sicché risultava errata la condanna in solido con
l’altro imputato, condannato per il reato di pubblicazione della notizia.
4.2. La Difesa di Paolo Berlusconi (avv. ti Piero Longo e Federico Cecconi)
denuncia:
1. Violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. per avere la Corte di
Appello individuato quale riscontro esterno alle dichiarazioni rese da
Fabrizio Favata il mancato riscontro delle dichiarazioni rese da Roberto
Raffaelli. Si tratta di censura identica a quella riassunta al numero 1 del
precedente punto 4.1.
2. Violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte di
Appello correttamente valutato, in riferimento al giudizio di attendibilità
delle dichiarazioni di Fabrizio Favata, i precedenti penali, le condizioni
socio-economiche, i motivi di odio e di inimicizia nei confronti di Paolo
Berlusconi e i cd. riscontri estrinseci.

DIRITTO
1. Questa Corte, esaminando una questione del tutto analoga a quella sollevata
nel primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di Silvio Berlusconi
(incompetenza per territorio e estinzione del reato per prescrizione), ha già
chiarito che nel giudizio di cassazione, qualora il reato sia già prescritto, non è
rilevabile la nullità, anche di ordine generale, in quanto l’inevitabile rinvio al

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ritenesse che l’imputato sia stato ritenuto responsabile del reato di cui

giudice di merito risulta incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità
della causa estintiva, salvo che la sentenza di merito ipoteticamente affetta da
nullità abbia deciso non solo in ordine al reato per cui è intervenuta la
prescrizione, ma anche in ordine al risarcimento dei danni da esso cagionati o
alle restituzioni, giacché in tal caso la nullità, ove sussistente, deve essere
comunque rilevata e dichiarata riflettendosi sulla validità delle statuizioni civili
(Sez. 2, Sentenza n. 3221 del 07/01/2014, Rv. 258817, Macchia).
Ne discende che, poiché la sentenza impugnata ha deciso anche in

impone il vaglio del primo motivo di ricorso formulato nell’interesse di Silvio
Berlusconi, con il quale, come si è visto (v. punto 4.1 che precede) si rinnova
l’eccezione di incompetenza territoriale già ritualmente sollevata e respinta dai
Giudici di merito.
Si sottolinea in ricorso che Silvio Berlusconi é imputato esclusivamente di
concorso nel reato di cui all’art. 326, comma primo, cod. pen., commesso
pacificamente in Arcore, nella circoscrizione del Tribunale di Monza. Avrebbe in
proposito errato la Corte di Appello nel ritenere, per respingere l’eccezione,
unitaria la fattispecie prevista da tale disposizione. Ulteriore errore avrebbe
commesso la Corte Distrettuale nell’affermare che la competenza radicata in
Milano per le imputazioni a carico di Paolo Berlusconi aveva attratto a sé anche
quella riguardante gli altri imputati: Silvio Berlusconi era infatti imputato di mero
concorso nella commissione del solo reato di cui all’art. 326, comma primo, cod.
pen., sicché la sua posizione doveva essere governata unicamente dalla lettera
a) dell’art. 12 cod. proc. pen. e non erano a lui applicabili le ipotesi previste dalle
ulteriori lettere del medesimo art. 12.
La censura è infondata.
In realtà, non è vero che, come si afferma in ricorso, delle cinque condotte
di rivelazione di segreto di ufficio rubricate una soltanto riguarda in prima
persona Silvio Berlusconi, e cioè la quarta, quella avvenuta la vigilia di Natale del
2005 in Arcore, ove, nella sua residenza, Raffaelli, Favata ed il fratello Paolo gli
avevano rivelato l’atto coperto da segreto di ufficio.
A Sivio Berlusconi risulta, infatti, contestata anche la quinta condotta
descritta nel capo di imputazione, e cioè la pubblicazione (in concorso) della
telefonata su “Il Giornale” il 31-12-20 e nei giorni successivi, previa acquisizione
della chiavetta e suo trasferimento alla redazione del predetto quotidiano. E
anche di questa condotta i Giudici di merito hanno ritenuto Sivio Berlusconi
responsabile, avendo concluso che in base alle risultanze processuali doveva
ritenersi accertato il suo concorso alla successiva propalazione della notizia per

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riferimento al risarcimento dei danni causati dal reato, nel caso in esame si

mezzo della pubblicazione sul quotidiano “Il Giornale”, in quanto era stato il suo
placet, intervenuto nell’incontro di Arcore, a dare il via alla pubblicazione stessa.
Ne discende che il reato ascritto a Sivio Berlusconi si è dipanato nelle due
condotte di rivelazione descritte come quarta e quinta nel capo di imputazione e
attuate la prima in Arcore e la seconda, almeno a quanto consta dagli atti, in
Milano.
D’altra parte nel caso in cui il giudice d’appello, in riforma della sentenza di
condanna di primo grado, abbia dichiarato l’estinzione del reato, la contestuale

impone nel giudizio di cassazione l’annullamento di questa se risulta che il
giudice di merito non potrebbe comunque ritenere sussistenti le condizioni per
pronunciare, attraverso una operazione di mera constatazione, un
proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129, comma secondo, cod. proc.
pen. (Sez. 5, Sentenza n. 51135 del 19/11/2014, Rv. 261919, Donde’).
In definitiva in presenza di una causa estintiva del reato non vi è, in ogni
caso, più spazio per accertamenti o approfondimenti istruttori in riferimento al
luogo di pubblicazione della notizia.

2. Anche il secondo motivo di ricorso è privo di fondamento.
Si deduce la violazione dell’art. 429, comma 1 lettera c) e comma 2, cod.
proc. pen. per indeterminatezza del capo di imputazione, in quanto i
comportamenti attribuiti all’imputato (accettare, ascoltare ed esprimere
compiacimento) sarebbero meramente formali e non descrittivi del fatto, con
particolare riferimento all’elemento psicologico del reato. Inoltre nella seconda
parte della imputazione ascritta a Silvio Berlusconi sarebbe stato descritto il
concorso nella diversa fattispecie di cui al comma terzo dell’art. 326 cod. pen.,
fattispecie estranea alla imputazione coatta imposta dal GUP al P.M., sicché
l’imputato non sarebbe stato posto in grado di sapere esattamente da cosa
doveva difendersi.
In base al costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, non
vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con
adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da
consentire all’imputato di difendersi. (v. da ultimo Sez. 5, Sentenza n. 6335 del
18/10/2013, Rv. 258948, Morante).
Nel caso di specie, a Silvio Berlusconi è stato espressamente contestato: di
avere accettato di ricevere Raffaelli e Favata, unitamente a suo fratello Paolo,
presso la propria residenza di Arcore; di avere ascoltato il contenuto della
conversazione telefonica intercorsa il 18-7-05 tra Fassino e Consorte,
intercettata nell’ambito di un procedimento penale; di avere, nell’occasione,

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ricorrenza di una causa estintiva e della nullità processuale della sentenza non

espresso compiacimento e riconoscenza per la rivelazione illegale appena
effettuata; di avere così determinato la rivelazione di tali notizie segrete per il
tramite di Paolo Berlusconi, il quale, dopo averle acquisite in formato-audio a
mezzo di pen drive da Raffaelli e Favata, le aveva poi fatte pervenire al

quotidiano “Il Giornale”, dove erano state pubblicate il 31 dicembre 2005 e nei
giorni successivi.
E’ di tutta evidenza, già dalla semplice enunciazione del capo di
imputazione, che nessuna indeterminatezza o genericità è riscontrabile nelle

adeguatamente difendersi.

3. Con il terzo motivo di ricorso la Difesa di Silvio Berlusconi deduce, come
si è visto, la violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., in quanto nel
caso in esame la chiamata in correità di Fabrizio Favata non sarebbe stata in
realtà vagliata dalla Corte di merito in base ai criteri elaborati dalla
giurisprudenza di legittimità, ma in base ad altri diversi principi. In particolare la
credibilità-attendibilità.affidabilità del dichiarato dal Favata sarebbe stata
erroneamente soppesata alla luce della affidabilità o meno di altro soggetto
(Raffaelli), con conseguente evidente vizio logico insuperabile. Si tratta di
censura replicata in termini del tutto analoghi dalla Difesa di Paolo Berlusconi nel
suo primo motivo di ricorso.
Le censure non colgono nel segno.
In realtà i Giudici di merito hanno correttamente condotto il vaglio della
credibilità del Favata, chiarendo che tutti i profili di criticità delle sue
dichiarazioni erano intervenuti in un momento (posteriore a quello dei fatti
salienti e del suo riferirne “in presa diretta” a soggetti quali Petessi e De
Ambrosis), in cui egli stava attraversando gravi difficoltà economiche ed era
deluso dalla constatata mancanza di riconoscenza da parte della famiglia
Berlusconi, che egli era convinto di avere favorito in modo sostanziale. Le ragioni
che lo avevano indotto alle accuse nei confronti degli imputati andavano
ricercate proprio in tale sua evoluzione di sentimenti e andavano considerate non
staticamente ma nella dinamica della sua vicenda. D’altra parte la attendibilità
delle dichiarazioni del Favata era riscontrata dai riferimenti di Petessi e De
Ambrosis.
Solo a questo punto la Corte di Appello è passata a vagliare la complessiva
credibilità della versione alternativa dei fatti fornita dal Raffaelli, concludendo per
la criticità di tale versione alla luce dei parametri di ragionevolezza e congruenza
e condividendo i tre nodi individuati dal Tribunale che ne rendevano inattendibile
il narrato. La Corte Distrettuale ha, infine, dato una lettura logica agli

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contestazioni di reato mosse all’imputato, che è stato senz’altro posto in grado di

avvenimenti, rimarcando che appariva poco credibile che il trio che la sera della
vigilia di Natale si era recato ad Arcore dall’allora Presidente del Consiglio in
carica non avesse avuto un programma condiviso e consapevole, consistente nel
proporre al premier l’ascolto (e, naturalmente, poi anche la disponibilità)
dell’intercettazione trafugata: solo un tale programma poteva spiegare la
frenesia del Favata e la presenza del Raffaelli, primo artefice del “regalo” che ci
si apprestava a fare al Presidente e bramoso di sostegno per i suoi progetti di

4. Con le residue censure la Difesa di Silvio Berlusconi denuncia violazione
di legge, sostenendo in primo luogo che la condotta tenuta dall’imputato avrebbe
dovuto essere qualificata come penalmente irrilevante, essendo egli stato “mero
percettore di notizia coperta da segreto di ufficio a sua insaputa rivelatagli da
soggetti terzi”; mancherebbe la prova del contributo causale fornito da Sivio
Berlusconi alla commissione del reato e la ricostruzione dei Giudici di merito sul
punto sarebbe una pura illazione. A parte il fatto che, nel caso di specie,
Vintraneus si era già deciso a rivelare il segreto e nessun contributo concorsuale
potrebbe essere ravvisato nell’averlo ospitato presso la propria abitazione e
nell’avere presenziato all’incontro.
In secondo luogo, si sostiene che delle cinque ipotizzate condotte di
rivelazione di segreto di ufficio una soltanto vedrebbe coinvolto in prima persona
Silvio Berlusconi, e cioè la quarta (quella avvenuta la vigilia di Natale del 2005 in
Arcore, ove, nella sua residenza, Raffaelli, Favata ed il fratello Paolo gli avevano
rivelato l’atto coperto da segreto di ufficio). Ne discenderebbe che l’unica
condotta ipotizzabile a carico dell’imputato sarebbe quella di uso di atto coperto
da segreto di ufficio, prevista e punita dal comma terzo dell’art. 326 cod. pen.,
condotta tutt’affatto diversa da quella contestata.
Anche queste censure sono infondate.
Già nel 1981 le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che il delitto di
rivelazione dei segreti di ufficio si risolve in una fattispecie plurisoggettiva
anomala, essendo la condotta incriminata legata a chi riceve la notizia e alla
previsione della punizione nei confronti del solo autore della rivelazione, nel
senso, cioè, che il mero recettore della notizia non può essere assoggettato a
pena in conformità del principio di legalità. Tuttavia, in base all’ordinaria
disciplina del concorso di persone nel reato, non può escludersi la partecipazione
morale del destinatario della rivelazione; partecipazione, questa, che, oltre alle
tradizionali forme della determinazione e della istigazione, comprende anche
l’accordo criminoso e, comunque, può estrinsecarsi nei modi più vari ed
indifferenziati, ribellandosi a qualsiasi catalogazione o tipicizzazione, a cui invece

12

espansione in Romania.

deve uniformarsi la condotta dell’autore dell’illecito e, quindi, del concorrente che
esegue l’Azione vietata dalla norma e non già quella del partecipe. (Sez. U,
Sentenza n. 420 del 28/11/1981, Rv. 151619, Emiliani).
Si tratta di principi costantemente riaffermati dalla giurisprudenza di
legittimità, sicché può considerarsi ius receptum che in tema di rivelazione di
segreti d’ufficio, ai fini della sussistenza del concorso nel reato dell'”extraneus”, è
necessario che questi, lungi dal limitarsi a ricevere la notizia, abbia istigato o
indotto il pubblico ufficiale a porre in essere la rivelazione (v. per tutte: Sez. 1,

Sempre in tema di rivelazione di segreti di ufficio si è anche precisato che il
soggetto “estraneo”, risponde del reato a titolo di concorso con l’autore
principale qualora abbia rivelato ad altri una notizia segreta riferitagli come tale,
giacché realizza una condotta ulteriore rispetto a quella dell’originario
propalatore (Sez. 6, Sentenza n. 15489 del 26/02/2004, Rv. 229344, Iervolino;
Sez. 6, Sentenza n. 42109 del 14/10/2009, Rv. 245021, Pezzato).
In applicazione di questi principi, correttamente i Giudici di merito hanno
ritenuto Silvio Berlusconi colpevole del reato di cui agli artt. 110 e 326, comma
primo, cod. pen. a lui ascritto.
Con motivazione ineccepibile sul piano del diritto, immune da vizi logici ed
aderente alle risultanze processuali il Tribunale di Milano prima e la Corte di
Appello poi hanno ritenuto accertato che Silvio Berlusconi nell’incontro di Arcore
abbia ascoltato la registrazione-audio ed abbia, anche con il suo atteggiamento
compiaciuto e riconoscente, dato il suo placet alla successiva pubblicazione del
colloquio intercettato. In buona sostanza Silvio Berlusconi, chiamato a decidere
sul punto dopo avere ascoltato la registrazione coperta da segreto, ha
sostanzialmente dato il via, con il suo assenso e con il suo beneplacito, alla
pubblicazione della notizia, rendendosi responsabile di concorso nel delitto di
rivelazione di segreto di ufficio, trattandosi con tutta evidenza di una notizia
tuttora coperta dal segreto, in quanto non appresa legittimamente da alcuno e
dunque non caduta in pubblico dominio ed essendone rimasta confinata la
conoscenza all’interno della ristretta cerchia degli imputati (v. Sez. 5, sentenza
n. 30070 del 20-3-2009, Rv 244480, P.G. in proc. C. e altri). Infatti la
partecipazione psichica a mezzo istigazione richiede che sia provato, da parte del
giudice di merito, che il comportamento tenuto dal presunto concorrente morale
abbia effettivamente fatto sorgere il proposito criminoso ovvero lo abbia anche
soltanto rafforzato (Sez. 6, Sentenza n. 39030 del 05/07/2013, Rv. 256608,
Pagano) e nel caso in esame è indubbio che il placet del Presidente del Consiglio
in carica abbia avuto efficacia determinante ai fini della successiva pubblicazione
della notizia.

13

Sentenza n. 5842 del 17/01/2011, Rv. 249357, Barranca).

Le predette conclusioni escludono, d’altra parte, qualsiasi violazione del
principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza, posto che la
rivelazione, da parte del pubblico ufficiale, di notizie di ufficio destinate a
rimanere segrete, anche se avvenga verso corrispettivo in danaro o altra utilità
(circostanza che può, se del caso, comportare il concorso con il reato di
corruzione), integra l’ipotesi delittuosa prevista dal comma primo dell’art. 326, e
non quella prevista dal successivo comma terzo, per la cui configurabilità occorre
che l’utilizzazione illegittima della notizia si concreti in una condotta di suo

ufficiale o incaricato di pubblico servizio (Sez. 1, Sentenza n. 39514 del
03/10/2007, Rv. 237747, Ferrari; Sez. 6, Sentenza n. 37559 del 27/09/2007,
Rv. 237447, Spinelli).

5. L’ultimo motivo di ricorso formulato nell’interesse di Sivio Berlusconi
concerne il capo della sentenza afferente la condanna al ristoro dei danni subiti
dalla parte civile. Si denuncia

in primis

la incongruità dello schema

argomentativo della sentenza impugnata e, in secondo luogo, la mancata
motivazione in riferimento alla eccepita minore entità del danno provocato dalla
commissione del reato di cui all’art. 326, comma primo, cod. pen. rispetto a
quello causato dalla pubblicazione della notizia segreta, con conseguente
erroneità della condanna in solido con il coimputato.
La prima articolazione del motivo di ricorso è inammissibile per difetto di
specificità, atteso che la censura é formulata in modo astratto e stereotipato,
senza alcuna illustrazione concreta della incongruità argomentativa denunciata.
La seconda articolazione è, invece, manifestamente infondata. La condotta
di avvallo e consenso alla pubblicazione della intercettazione, oltre a costituire un
concreto contributo causale alla produzione del danno, è risultata determinante,
in quanto, in base alla dinamica dei fatti ricostruita nelle sentenze di merito,
senza il placet di Sivio Berlusconi la notizia presumibilmente non sarebbe stata
pubblicata. Ne discende la correttezza della condanna di entrambi gli imputati in
solido al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

6.

Resta, infine, da esaminare l’ultima censura formulata nel ricorso

proposto nell’interesse di Paolo Berlusconi (violazione di legge e vizio di
motivazione per non avere la Corte di Appello correttamente valutato, in
riferimento al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni di Fabrizio Favata, i
precedenti penali, le condizioni socio-economiche, i motivi di odio e di inimicizia
nei confronti dell’imputato e i cd. riscontri estrinseci).

14

autonomo e diretto sfruttamento o impiego da parte dell'”intraneus”, pubblico

I
I.

Si tratta di un motivo di ricorso basato su doglianze non consentite in sede
di giudizio di legittimità. Le censure del ricorrente attengono invero alla
valutazione della prova, che rientra nella facoltà esclusiva del giudice di merito e
non può essere posta in questione in sede di giudizio di legittimità quando
fondata su motivazione congrua e non manifestamente illogica. Nel caso di
specie, i giudici di appello hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e
sono pervenuti alla decisione impugnata attraverso un esame completo ed
approfondito delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il

7. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado
dalla parte civile costituita, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q. M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
nonché a rifondere le spese sostenute dalla parte civile, che liquida in euro
quattromila, oltre iva e cpa.
Roma, 31-3-2015.

profilo della congruità e della correttezza logica

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