Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3936 del 16/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3936 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Sali Magatte, nato in Khaly (Senegal) il 17.9.1959;
avverso la sentenza emessa il 30 settembre 2013 dalla corte d’appello di
Ancona;
udita nella pubblica udienza del 16 dicembre 2014 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Aldo Policastro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento del processo
Con sentenza del 5 luglio 2010, il tribunale di Pesaro dichiarò Sali Magatte colpevole dei reati di cui: procedimento n. 541/09 RG: A) all’art. 474 cod.
pen. per avere detenuto per la vendita merce munita di marchi contraffatti; B)
all’art. 48 cod. pen. per avere ricevuto la detta merce con fine di profitto conoscendone la provenienza delittuosa (in Pesaro il 2 febbraio 2008); procedimento
n. 966/09 RG.: A) all’art. 474 cod. pen. per avere detenuto per la vendita merce
munita di marchi contraffatti, sequestrati a seguito di una perquisizione nel suo
domicilio in Rimini (in Pesaro il 27 giugno e in Rimini il 3 luglio 2008); B)
all’art. 171 ter, comma 2, lett. a), della legge 22 aprile 1941, n. 633, per avere
detenuto per la vendita più di 50 copie di opere abusivamente duplicate e prive
del contrassegno Siae (in Rinini il 3 luglio 2008); C) all’art. 648 cod. pen. per
avere ricevuto la detta merce con fine di profitto conoscendone la provenienza
delittuosa (in Pesaro il 27 giugno e in Rimini il 3 luglio 2008); e lo aveva condannato alla pena di anni tre di reclusione ed € 900,00 di multa.
La corte d’appello di Ancona, con la sentenza in epigrafe, confermò la sentenza di primo grado, rettificando unicamente la pena accessoria della pubblicazione.

Data Udienza: 16/12/2014

-2 L’imputato, a mezzo dell’avv. Ninfa Renzini, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) nullità per violazione di norme processuali e in particolare dell’art. 9
cod. proc. pen. Lamenta che i giudici del merito hanno rigettato erroneamente la
tempestiva eccezione di incompetenza territoriale, che verteva sul luogo dove è
avvenuta la ricettazione dei beni contraffatti e non su quello dello loro immissione in commercio. Tali beni sono stati per la gran parte recuperati presso
l’abitazione dell’imputato in Rimini, dove i fatti sono stati accertati. Non è stato
poi considerato che in caso di dubbio sul luogo di commissione del reato si applicano i criteri suppletivi del domicilio e della residenza ex art. 9 cod. proc.
pen.
2) violazione dell’art. 15 cod. pen. in tema di principio di specialità. Deduce che il reato di ricettazione resta assorbito in quello di introduzione nello Stato e di commercio di prodotti con segni falsi contestato.
3) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 49 cod. pen., perché la
condotta posta in essere era del tutto inidonea a generare il convincimento del
potenziale acquirente circa la genuinità dei prodotti (posti in vendita da uno
straniero, su un telo a terra).
4) erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen. o mancanza, contraddittorietà della motivazione sulla determinazione della pena, che si discosta notevolmente dal minimo edittale
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato.
Per quanto concerne l’eccezione di incompetenza territoriale deve osservarsi quanto segue. La sentenza impugnata, riportando testualmente sul punto
lo stesso atto di appello, rileva che nel procedimento penale n. 966/09
l’imputato venne citato a giudizio per l’udienza del 9.6.2009, poi rinviata al
24.11.2009, dove avvenne la riunione con il procedimento n. 541/09. Nel procedimento penale n. 541/09 l’imputato venne citato a giudizio per l’udienza del
15.10.2009. In questa udienza la difesa sollevò «eccezione di incompetenza territoriale con riferimento ai reati contestati ai capi A), B) e C) di imputazione nel
procedimento penale n. 966/09 R.G. tribunale di Pesaro», eccezione poi rigettata dal giudice.
Da quanto riferisce lo stesso imputato (anche nel ricorso), dunque, emerge,
innanzitutto, che l’eccezione di incompetenza territoriale venne proposta esclusivamente con riferimento ai reati di cui al più recente procedimento penale n.
966/09 e non anche con riferimento ai reati di cui al più antico procedimento
penale n. 541/09. Per i reati di cui a questo procedimento rimaneva quindi fissata la competenza del tribunale di Pesaro. In secondo luogo, emerge che
l’imputato non si è opposto alla riunione dei due procedimenti. Anche la riunione, pertanto, è rimasta fissata. Ciò posto, stante la riunione tra i due procedimenti e la continuazione tra tutti i reati contestati, la competenza territoriale
andava individuata in relazione al reato più grave fra quelli contestati in continuazione nei procedimenti riuniti. Ed il reato più grave è stato individuato dal
giudice di primo grado (senza che nemmeno su questo punto vi sia stata contestazione o impugnazione) in quello di cui al capo B) del procedimento n.

-3 541/09, ossia in un reato per il quale era ormai rimasta fissata (per mancanza di
contestazione) la competenza del tribunale di Pesaro.
Il secondo motivo è infondato, in quanto la risalente giurisprudenza citata
nel ricorso è stata da tempo superata dalla giurisprudenza successiva, anche a
Sezioni Unite, la quale ha fissato il principio che «Il delitto di ricettazione (art.
648 cod. pen.) e quello di commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 cod.
pen.) possono concorrere, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono
condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può
configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore» (Sez. Un., 9.5.2001, n. 23427,
Ndiaye, Rv. 218771; conf. Sez. II, 4.3.2008, n. 12452, Altobello, Rv. 239745).
E’ infondato anche il terzo motivo, perché secondo la più recente giurisprudenza sul punto, alla quale il Collegio ritiene di aderire, «Integra il delitto
di cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti
marchio contraffatto senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 cod. pen. tutela, in via principale e
diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica,
intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato
di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno
non ricorrendo quindi l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità
della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno» (Sez. V, 11.12.2013, n. 5260
del 2014, Faje, Rv. 258722; conf. Sez. II, 4.5.2012, n. 20944, Diasse, Rv.
252836; Sez. V, 14.2.2008, n. 11240, Ady, Rv. 239478; Sez. V, 21.9.2006, n.
33543, Cignetti, Rv. 235225; Sez. V, 20.9.2004, n. 40835, Chianella, Rv.
230913).
E’ infine infondato anche il quarto motivo in quanto il giudice del merito
ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sull’esercizio del proprio
potere discrezionale in ordine alla determinazione della pena, in considerazione
della gravità della condotta e dei numerosi precedenti penali, anche specifici,
dell’imputato, che lo facevano ritenere inserito stabilmente in un processo criminale di distribuzione di prodotti di abbigliamento ed audiovisivi contraffatti.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 16
dicembre 2014.

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