Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3935 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3935 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Paniche Antonio, nato a Roma il 15/09/1966

avverso l’ordinanza del 14/06/2013 del Tribunale della Libertà di Roma

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Viviana Minghelli che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 05/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Roma, con ordinanza emessa in data 14
giugno 2013, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip
presso il Tribunale di Tivoli con il quale era stato disposto il sequestro di due
autocarri lveco di proprietà della società commerciale Picchio s.r.l. per il reato di
cui all’art. 256, comma 2, in relazione al comma 1 lett. a) , comma 2 e comma 3

Francesco Maria quale legale rappresentante della società Fratelli Pacifici,
proprietaria dell’area sulla quale insiste una cava, Cirillo Salvatore, quale legale
rappresentante delle società proprietarie dei mezzi d’opera, in violazione dei
divieti di cui all’art. 192 d. Igs. n.152 del 2004 sversavano e depositavano in
modo incontrollato i rifiuti speciali non pericolosi (in particolare miscele
bituminose e miscugli e scorie di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche)
all’interno di un invaso pieno d’acqua sito all’interno della predetta area.
Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale del riesame osservava come il
provvedimento cautelare fosse stato legittimamente emanato sulla base degli
atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria e della documentazione
acquisita.
Gli operanti, intervenuti prontamente, accertavano che i rifiuti scaricati
appartenevano a quelli speciali non pericolosi indicati nella contestazione
cautelare.
Rispondendo alle critiche sollevate con la richiesta di riesame, rilevava
inoltre il Tribunale come, da un lato, la puntuale verifica della sussistenza o
meno dell’elemento psicologico del reato fosse estranea all’adozione del titolo
cautelare ed al controllo devoluto al tribunale del riesame, e come, dall’altro, il
periculum in mora dovesse essere configurato sul rilievo che l’indagato potesse
reiterare la condotta criminosa.

2. Per l’annullamento della impugnata ordinanza ricorre per cassazione, per
mezzo del costituito difensore, Antonio Paniche nella qualità di amministratore
unico della società Commercedil Picchio s.r.I., deducendo, ai sensi dell’art.325
cod .proc. pen. violazione di legge, con particolare riferimento all’art. 606,
comma 1, lettere b) e d), cod. proc. pen. stante la mancata sussistenza delle
condizioni di applicabilità previste dall’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.
Assume il ricorrente come il Tribunale non abbia tenuto conto della
mancanza di un nesso di strumentalità tra il bene sequestrato ed il reato
realizzato, fondando la sua decisione sulla mera sorpresa in flagranza che, in

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del d. Igs. 3 aprile 2006, n. 152 perché in concorso tra loro, Dandini De Sylva

astratto e da sola, non può condurre ad una corretta valutazione del periculum in
mora.
A ben vedere, ed in primo luogo, mancherebbe, secondo il ricorrente, il
nesso strumentale ex se, in quanto la mancata disponibilità degli autocarri
sequestrati non elimina il pericolo all’aggravamento o alla protrazione del reato
ipotizzato, potendo il fatto essere commesso con altri mezzi nella disponibilità
dell’indagato stesso.
In secondo luogo, posto che gli operai del Paniche non versarono i rifiuti

quale insiste la cava di proprietà di altro indagato, il mezzo, con il quale si è
effettivamente proceduto all’esecuzione dello scarico nell’invaso della cava, è una
pala meccanica di proprietà di altro indagato.
Denunciato un difetto di motivazione per travisamento dei fatti, avendo il
Tribunale omesso di valutare la prova documentale relativa all’esistenza del
formulario dei rifiuti, rileva sul punto il ricorrente come i documenti indicassero
espressamente il luogo esatto in cui i conducenti dei veicoli avrebbero dovuto
procedere allo scarico del materiale, osservando come l’omessa considerazione
di tale decisivo punto della causa avrebbe dovuto indurre il Tribunale ad
escludere che il Paniche fosse consapevole dell’attività di sversamento, avendo
egli ordinato ai propri dipendenti, come in altre occasioni, di trasportare il
materiale di risulta presso la cava, ossia a regolare discarica, come appunto
comprovato dai formulari rifiuti presenti all’interno dei rispettivi autocarri
sequestrati, con la conseguenza che il ricorrente non può rispondere delle
violazioni compiute dai propri dipendenti che avevano inottemperato ad ordini
specifici in merito alle modalità e luoghi di scarico del materiale edilizio e con
l’ulteriore conseguenza che il ricorrente sarebbe terzo rispetto alla consumazione
del reato non essendovi elementi per ritenerlo concorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Va chiarito come la cautela sia stata adottata a fini impeditivi.
Ne consegue che tutte le argomentazioni proposte dal ricorrente con
riferimento alla confiscabilità o meno dei beni in sequestro sono eccentriche
rispetto alla ratio decidendi che sostiene l’ordinanza impugnata.
Il tribunale ha spiegato che la polizia giudiziaria ha assistito al fatto di reato,
accertando de visu che nella cava accedevano due autocarri a pieno carico, i
quali procedevano all’interno della cava stessa sino a scaricare i rifiuti

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speciali non pericolosi ma si limitarono a trasportarli all’interno dell’area sulla

trasportati, che venivano spinti, nell’invaso della cava colmo d’acqua, dalla pala
meccanica di proprietà di altro indagato.
Il periculum in mora è stato dunque correttamente configurato sul rilievo
che l’indagato potesse, attraverso la riutilizzazione dei mezzi, reiterare la
condotta criminosa, come era desumibile dalla circostanza che l’attività, all’atto
dell’accertamento da parte dell’autorità di polizia giudiziaria, era in corso, il che
induceva concretamente a presumere che essa, in assenza di vincolo, potesse
essere protratta o aggravata.

esistente tra i beni sequestrati ed il reato ipotizzato e sia della concretezza
dell’esigenza cautelare sottesa al vincolo cautelare imposto.
Si tratta di un apprezzamento (giudizio valutativo dei fatti), cui il Collegio
cautelare è pervenuto, sorretto da adeguata motivazione ed esente da errori
logici e giuridici, che si sottrae perciò al sindacato di legittimità.
Va poi ribadito che, in tema di riesame delle misure cautelari reali, il ricorso
per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. può essere
proposto solo per “violazione di legge”, nella cui nozione rientrano la mancanza
assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in
quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità
manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo
specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso
codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Ferazzi, Rv. 226710) sicché le
argomentazioni del ricorrente tendenti a censurare l’iter logico seguito dal
Tribunale per giungere alla conferma del provvedimento impugnato sono
inammissibili in questa sede.
Quanto infine alla prospettata estraneità del ricorrente al fatto di reato che
sarebbe stato commesso dai suoi dipendenti ed a sua insaputa, il Tribunale
distrettuale, nel verificare i presupposti per l’adozione della misura cautelare
reale, ha valutato, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e
quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le
confutazioni e gli elementi offerti dalla difesa e che potevano avere influenza
sulla configurabilità e sulla sussistenza del “fumus” del reato contestato,
giungendo correttamente alla conclusione che detta verifica non dovesse
tradursi sino al punto di accertare la colpevolezza dell’indagato o la sussistenza
di gravi indizi a suo carico, essendo tali presupposti estranei all’area delle cautele
reali.

3. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

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Il tribunale ha dunque dato conto e ragione sia del nesso di strumentalità

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 05/12/2013

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