Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3930 del 11/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3930 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia
nel procedimento nei confronti di
Mensi Giuseppe, nato a Collio (Bs) il 23/12/1945

avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Brescia in data 12/3/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Umberto De Augustinis, che ha chiesto l’annullamento con
rinvio della sentenza;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12/3/2014, il Tribunale di Brescia applicava a
Giuseppe Mensi – ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. – la pena di un mese e
venti giorni di arresto in ordine ai reati di cui all’art. 30, comma 1, lett. b) e h), I.
11 febbraio 1992, n. 157, in essi assorbite le contestazioni di cui agli artt. 544-

Data Udienza: 11/12/2014

o

ter cod. pen. e 624, 625, nn. 2 e 7 cod. pen.; allo stesso, in particolare, era
contestato di aver esercitato la caccia con mezzi non consentiti – in particolare,
con archetti in legno e metallo a scatto – su specie protette, quali due pettirossi,
così uccisi.
2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte
di appello di Brescia, deducendo – con unico motivo – l’erronea applicazione
delle norme contestate, in uno con l’art. 21, comma 1, lett. u), I. n. 152 del
1997, con conseguente applicazione di sanzione non conforme a legge. Il

fattispecie di cui alla I. n. 152 del 1997, mentre avrebbe dovuto procedere in
senso contrario, atteso che l’imputato era privo di licenza di caccia e, pertanto,
non destinatario della legge in oggetto; ancora, l’illecita apprensione degli uccelli
sarebbe avvenuta con modalità tali da provocare loro maltrattamenti ex art.
544-ter cod. pen., reato anch’esso erroneamente ritenuto assorbito nella
contravvenzione

sub a).

Il Giudice, quindi, avallando la proposta di

patteggiamento, avrebbe applicato una pena non conforme a legge; avrebbe,
cioè, assorbito le fattispecie più gravi di cui ai capi b) e c) in quella
contravvenzionale, anziché ritenere più grave il furto aggravato e, in esso, se del
caso, assorbire il duplice reato ex capo a).

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare (Sez. 4, n. 34352 del
24/5/2004, Peano, Rv. 229083) che la I. n. 157 del 1992 non esclude in via
assoluta l’applicabilità del cosiddetto “furto venatorio”, prevedendo, al contrario,
tale esclusione soltanto in relazione ai casi specificamente previsti dagli artt. 30
e 31, che però non esauriscono tutte le ipotesi di apprensione della fauna vietate
da altri precetti contenuti nella legge stessa. Ed invero, la norma che proibisce
l’applicazione del “furto venatorio” è l’art. 30, comma 1, n. 3, il quale recita: “Nei
casi di cui al comma 1 (dell’art. 30, n.d.r.) non si applicano gli art. 624, 625 e
626 c.p.”; analoga previsione è poi contenuta nell’art. 31, con riguardo alle
sanzioni amministrative. Se ne deduce, quindi, che il reato di furto è stato
espressamente escluso soltanto nei casi circoscritti dalla prima parte dell’art. 30
e da tutto l’art. 31 in questione, e cioè quelli riguardanti il cacciatore munito di
licenza che viola la stessa e caccia di frodo; per contro, il bracconiere senza
licenza – come risulterebbe il Mensi, giusta capo c) – non rientra nelle citate
previsioni, né in altre specifiche, si ché il furto venatorio appare ancora
applicabile a suo carico, atteso che la fauna resta pur sempre patrimonio

2

Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto il “furto venatorio” assorbito nella

indisponibile dello Stato (art. 1 I. cit.) e permangono intatti, dunque, i
presupposti giuridici del “furto venatorio”.
Questa conclusione, peraltro, risulta avvalorata anche da ulteriori previsioni
contenute nella stessa legge n. 152 del 1997. L’art. 12, in primo luogo, afferma
(comma 1) che “l’attività venatoria si svolge per una concessione che lo Stato
rilascia ai cittadini che la richiedano e che posseggano i requisiti previsti dalla
presente legge”; di tal ché (comma 6), “la fauna selvatica abbattuta durante
l’esercizio venatorio nel rispetto delle disposizioni della presente legge appartiene

alla sentenza di condanna definitiva (o decreto penale di condanna esecutivo)
per una delle violazioni di cui all’art. 30, comma 1, prevede – tra le altre – la
sospensione, la revoca o la esclusione definitiva dalla concessione della licenza di
porto di fucile per uso di caccia.
Ne consegue, quindi, che il reato di furto aggravato di fauna ai danni del
patrimonio indisponibile dello Stato è ancora oggi configurabile, pur nel regime
della legge n. 157 del 1992, con riferimento al caso in cui l’apprensione o il
semplice abbattimento della stessa siano opera di persona non munita della
licenza medesima.
Ciò premesso, il Tribunale di Brescia ha erroneamente ritenuto il delitto di
furto aggravato (e la fattispecie di cui all’art. 544-ter cod. pen.) assorbite nelle
contravvenzioni di cui al capo a), così disattendendo il principio di diritto appena
menzionato.
Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza, con
restituzione degli atti allo stesso Tribunale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Brescia.
Così deciso in Roma, 1’11/12/2014

liere estensore

Il

sidente

a colui che l’ha cacciata”. Ancora, l’art. 32, nello stabilire le sanzioni accessorie

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