Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3928 del 11/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3928 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cottone Pietro Paolo, nato a Bagheria (Pa) il 12/2/1948

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Palermo in data
12/2/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
lette sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Umberto De Augustinis, che ha chiesto l’annullamento
senza rinvio della sentenza per prescrizione

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12/2/2014, la Corte di appello di Palermo confermava la
pronuncia emessa il 7/12/2012 dal locale Tribunale, con la quale Pietro Paolo
Cottone era stato condannato alla pena di tre mesi di arresto e 25 mila euro di
ammenda in ordine alla violazione degli artt. 44, lett. c), 65, 72, 83, 93, 95, 94 e
95, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, d. Igs. 22 gennaio 2004, n. 42; allo
stesso era ascritto, nella qualità di direttore dei lavori, di aver abusivamente

Data Udienza: 11/12/2014

realizzato – in area sottoposta a vincolo paesaggistico – la sopraelevazíone dei
muri perimetrali di un’abitazione, tale da ricavare una unità immobiliare,
omettendo la denuncia all’Ufficio del Genio civile e così non ottenendo la relativa
autorizzazione, nonché senza rispettare la normativa antisismica.
2. Ricorre per cassazione il Cottone, a mezzo dei propri difensori,
deducendo tre motivi, qui riportati nei termini strettamente necessari per la
decisione, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:
– mancanza di motivazione. La Corte di appello avrebbe confermato la

poteva integrare una unità abitativa, attesa l’altezza di soli due metri; come
peraltro desumibile dal Piano regolatore generale del Comune di Bagheria, per il
quale le mansarde ed i sottotetti non praticabili e quelli non abitabili non sono
inclusi nel volume del fabbricato quando l’altezza media non supera i 2,00 metri.
Non vi sarebbe stato bisogno, pertanto, di alcun permesso di costruire,
trattandosi di un mero locale tecnico. Né, peraltro, la rilevata presenza di finestre
o di divisioni interne impedirebbe una simile conclusione;
– violazione di legge penale in rapporto all’art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380
del 2001. La Corte di appello non avrebbe considerato che la perimetrazione del
centro storico del Comune, dalla quale sola originerebbe la necessità del
permesso di costruire, è stata annullata dalla Corte di giustizia amministrativa
per la Regione siciliana con sentenza n. 960 del 2010, poi seguita dalla n. 648
del 2011 con la quale la stessa Corte ha dichiarato inammissibile la domanda di
revocazione della precedente pronuncia. Ne deriva che, essendo l’art. 44, lett. c)
citato, norma penale in bianco, che rinvia ad altre fonti extrapenali per
l’individuazione dei profili tecnici, il venir meno di queste ultime (la menzionata
perimetrazione) avrebbe dovuto esser considerato dalla Corte di appello
nell’ottica dell’art. 2 cod. pen., sì da pervenire ad una declaratoria di
assoluzione;
– mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata
sostituzione della pena detentiva in pecuniaria. La Corte avrebbe rigettato la
richiesta con motivazione errata, fondando la decisione su un ipotetico raggiro
compiuto nei confronti delle proprietarie dell’immobile, invero mai verificatosi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Con riguardo ai primi due motivi, da esaminare congiuntamente, attesane
l’identità di contento, osserva la Corte che il Collegio di merito ha redatto una
motivazione adeguata, congrua e priva di vizi logici per giustificare – con solido

2

condanna pur disattendendo la circostanza per cui il manufatto in esame non

percorso argomentativo – il giudizio di responsabilità a carico del ricorrente. La
sentenza, invero, ha escluso che la sopraelevazione in oggetto potesse costituire
un volume tecnico, tale intendendosi solo quello – non utilizzabile né adattabile
ad uso abitativo – strettamente necessario a contenere ed a consentire l’eccesso
di quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di
funzionalità degli stessi, trovare allocazione all’interno della parte abitativa
dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche; in particolare,
la Corte è giunta a questa conclusione in ragione della presenza di tre finestre e

censurabile in questa sede – che lo stesso fosse destinato ad uso abitativo.
Risulta adeguatamente motivata, quindi, la conferma della condanna in
ordine alla contravvenzione di cui all’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001; ipotesi,
peraltro, da inquadrare sub lett. c) della medesima norma, atteso che – come
riporta la sentenza medesima – il parere di compatibilità paesaggistica era stato
negato ancora al 14/2/2011 (alla luce del comprovato aumento di volume), sì da
evidenziare ulteriormente la presenza del vincolo e la necessità della previa
autorizzazione in materia.
Orbene, a fronte di tale motivazione, rileva il Collegio che il ricorso, dietro
l’apparente violazione sul punto dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,
di fatto sollecita a questa Corte una nuova e diversa valutazione – più favorevole
al Cottone – delle medesime risultanze istruttorie già esaminate dal primo e dal
secondo Giudice, con particolare riferimento all’altezza del manufatto, alla sua
utilizzabilità quale vano tecnico e non abitativo, nonché alla citata presenza di
finestre e locali interni; trattasi, però, di una valutazione non consentita in sede
di legittimità, laddove il controllo del giudice sui vizi della motivazione attiene
soltanto alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva
tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez.
3, n. 12110 del 19.3.2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla
ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato
alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono
insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo
hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o
di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e
altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv,
251760).

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della suddivisione del locale in tre vani, sì da trarne il logico convincimento – non

Fermo restando, peraltro, che il ricorso neppure indica quale sarebbe stata
la diversa destinazione del locale in oggetto, ovvero in quali termini lo stesso
sarebbe stato utilizzato quale vano tecnico.
4. Anche il terzo motivo è infondato.
L’art. 58, I. 24 novembre 1981, n. 689, stabilisce che “il giudice, nei limiti
fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell’articolo 133 del codice
penale, può sostituire la pena detentiva e tra quelle sostitutive sceglie quella più
idonea al reinserimento sociale del condannato”; orbene, la Corte di merito ha

raggiro» posta in essere nei confronti delle proprietarie dell’immobile, ma
soprattutto il fatto che «il Cottone risulta pregiudicato per analoghi reati in
materia edilizia, nonché per più delitti di truffa e falso». Tanto da respingere la
richiesta, proprio ai sensi dell’art. 133 cod. pen..
In tal modo, quindi, il Giudice di appello ha fatto buon governo del principio,
più volte affermato in sede di legittimità, secondo cui, i fini della sostituzione
della pena detentiva con pena pecuniaria il giudice ricorre ai criteri previsti
dall’art. 133 cod. pen.; tuttavia, ciò non implica che egli debba prendere in
esame tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sua
discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in
proposito (per tutte, Sez. 5, n. 10941 del 26/1/2011, Orabona, Rv. 249717),
quali i precedenti penali a carico.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 1’11/12/2014

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negato detta sostituzione valorizzando non solo la «condizione di sostanziale

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