Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3927 del 11/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3927 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Rossini Egidio, nato a Sassoferrato (An) il 1/5/1936

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Roma in data
19/3/2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Umberto De Augustinis, che ha chiesto l’annullamento
senza rinvio della sentenza per prescrizione;
sentite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. Rosaria Grasso, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19/3/2013, la Corte di appello di Roma confermava la
pronuncia emessa il 12/3/2012 dal Tribunale di Velletri, sezione distaccata di
Frascati, con la quale Egidio Rossini era stato condannato alla pena di sei mesi di

Data Udienza: 11/12/2014

arresto e 26.000,00 euro di ammenda in ordine ai reati di cui agli artt. 44, lett.
c), 71, 72, 95, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, d. Igs. 22 gennaio 2004, n.
42; allo stesso era ascritto di aver abusivamente realizzato un piano
seminterrato all’interno di un preesistente capannone, in area sottoposta a
vincolo paesaggistico, con uso di cemento armato, senza preventiva denuncia
allo sportello unico per l’edilizia e senza osservare la normativa antisismica.
2. Propone ricorso per cassazione il Rossini, a mezzo del proprio
difensore, argomentando due motivi:

immotivatamente rigettato l’istanza di rinnovazione parziale del dibattimento,
avanzata per escutere il teste Faccini, in forza alla Polizia municipale, che
avrebbe invece consentito di appurare molte circostanze rimaste senza chiara
risposta in esito alla deposizione del collega Pompili (con riguardo, ad esempio,
al carattere abusivo del capannone ed all’effettiva natura cementizia dei
materiali impiegati);
– violazione o erronea applicazione di legge penale con riguardo ai citati
artt. 44, lett. c), d. Igs. n. 380 del 2001 e 181, d. Igs. n. 42 del 2004. La Corte
avrebbe erroneamente qualificato come abusivo il capannone all’interno del
quale insiste l’intervento in esame, senza rilevare che lo stesso è stato oggetto di
una domanda di condono poi divenuta materia di un ricorso attualmente
pendente innanzi al Tribunale amministrativo. Ancora, la sentenza non avrebbe
valutato che il manufatto in questione costituisce opera interna, che non
comporta alcun aumento di volume, inteso quale superficie calpestabile; quella
stessa natura che, inoltre, impedirebbe il configurarsi anche della lesione al bene
paesaggistico di cui al capo 2).

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, osserva preliminarmente il Collegio che, per
consolidato indirizzo, la completezza e la piena affidabilità logica dei risultati del
ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale giustificano la decisione
contraria alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sul rilievo che, nel
giudizio di appello, essa costituisce un istituto eccezionale fondato sulla
presunzione che l’indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del
dibattimento di primo grado, sicché il potere del giudice di disporre la
rinnovazione è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la
predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (per
tutte, Sez. U, n. 2780 del 24 gennaio 1996, Panigoni, Rv. 203974). Orbene,

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– mancata assunzione di prova decisiva. La Corte di merito avrebbe

atteso che l’esercizio di un simile potere è affidato al prudente apprezzamento
del giudice di appello, restando incensurabile nel giudizio di legittimità se
adeguatamente motivato (Sez. 6, n. 32336 del 18/6/2003, Apruzzese, Rv.
226309; Sez. 4, n. 4981 del 5/12/2013, Ligresti, Rv. 229666), deve sottolinearsi
che la motivazione della sentenza impugnata dà conto, in modo inequivoco, delle
ragioni per le quali non è stata accolta la richiesta di rinnovazione parziale,
ritenendo che gli elementi probatori disponibili risultassero completi e
concludenti per la formazione del convincimento; la pronuncia, pertanto, ha fatto

istruttoria in appello può essere motivato anche implicitamente, in presenza di
un quadro probatorio definito, certo e non bisognevole di approfondimenti
indispensabili.
Non solo.
Costituisce ulteriore, consolidato principio di questa Corte quello per cui la
mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, in sede di giudizio d’appello,
può costituire violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), solo nel caso di
prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (art. 603 c.p.p.,
comma 2) (Sez. 1, n. 3972 del 28/11/2013, Inguì, Rv. 259136; Sez. 5, n. 34643
dell’8 maggio 2008, n. 34643, De Carlo, Rv. 240995), mentre

l’error in

procedendo è configurabile e rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d),
soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le
motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè
tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa (Sez. 4,
n. 6783 del 23/1/2014, Di Meglio, Rv. 259323; Sez. 3, n. 27851 del 15/6/2010,
M., Rv. 248105; Sez. 6, n. 14916 del 25/3/2010, Brustenghi, Rv. 246667); in
particolare, la valutazione circa la decisività della prova deve essere compiuta
accertando se i fatti indicati nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare
le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito (ex
plurimis, Sez. 4, n. 23505 del 14 marzo 2008, Di Dio, Rv. 240839).
Orbene, con riguardo a questo profilo di gravame, si osserva che il ricorso
contesta la mancata escussione in appello del teste Faccini, ma non specifica
affatto quale carattere di decisività – nei termini appena riportati – detta
deposizione avrebbe dovuto ricoprire. In particolare, il Rossini si limita a
richiamare presunte carenze della deposizione del Pompili, aggiungendo che
l’altro operante avrebbe potuto riferire «ad esempio, circa l’abusivismo o meno
del capannone, la preesistenza o meno di pareti interne»; oppure, «se i proposti
“blocchetti di cemento precompresso” non fossero invece “tramezzature di
blocchetti cementizi, di forati”, oppure ancora se la copertura fosse veramente
“solaio latero cementizio” e non invece costituita da “travetti in ferro di sezione

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buon governo del principio per cui il rigetto della richiesta di rinnovazione

così limitata che non consentirebbero l’estradosso di un solaio”». In altri termini,
mere ipotesi, mere congetture, mere eventuali ricostruzioni alternative, non
certo prove decisive perché idonee – con ragionevole certezza – a scardinare il
percorso logico della prima sentenza.
4. Anche il secondo motivo di ricorso è del tutto infondato.
Con lo stesso, infatti, il Rossini – pur deducendo una formale violazione di
legge – sollecita a questo Collegio una nuova valutazione delle stesse risultanze
processuali già analizzate dai giudici di merito, compreso l’iter amministrativo-

conclusa, con conseguente abusività del capannone de quo), invocandone una
lettura a sé più favorevole. Quel che, però, non è consentito in questa sede,
atteso che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene
alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il
profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110
del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247)
Ancora, il ricorso contesta la configurabilità delle violazioni ex capi 1) e 2)
della rubrica, senza però in alcun modo valutare le argomentazioni – diffuse e
congrue – svolte dalla Corte di merito in ordine ai medesimi punti; dal che, il
principio – da ribadire anche in questa sede – per cui la palese mancanza di
correlazione tra la motivazione della decisione impugnata e le deduzioni sulle
quali si fonda l’impugnazione evidenzia la mancanza di specificità dei motivi che
giustifica la declaratoria di inammissibilità (Sez. 3, n. 27479 del 30/5/2014,
Giva, Rv. 259198).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.000,00.

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giudiziario di una pratica di condono edilizio (ad oggi, peraltro, pacificamente non

f

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, 1’11/12/2014

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