Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3924 del 11/12/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 3924 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Marchiano Francesco, nato a Carini (Pa) il 24/8/1989

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Palermo in data
26/6/2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Umberto De Augustinis, che ha chiesto l’annullamento con
rinvio della sentenza per determinazione del trattamento sanzionatorio;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24/8/2012, il Tribunale di Palermo – giudicando con
rito abbreviato – condannava Francesco Marchiano alla pena di un anno, due
mesi di reclusione e 3.000,00 euro di multa in ordine al delitto di cui all’art. 73,
commi 1 e 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per aver illecitamente coltivato sette
piantine di cannabis.

Data Udienza: 11/12/2014

2. Con sentenza del 26/6/2013, la Corte di appello di Palermo, in parziale
riforma della precedente, riteneva la continuazione tra questa condotta e quella
già giudicata con sentenza G.u.p. Tribunale di Palermo del 2/2/2012, irrevocabile
il 18/2/2012, ed applicava – per le condotte in contestazione – un aumento di
pena pari a quattro mesi di reclusione e 400,00 euro di multa, per una pena
finale, quindi, pari ad un anno e quattro mesi di reclusione e 2.800,00 euro di
multa.
3. Ricorre per cassazione il Marchiano, a mezzo del proprio difensore,

– erronea applicazione di legge penale con riferimento all’art. 73, comma
5, d.P.R. n. 309 del 1990. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna
pur in assenza di qualsivoglia prova circa la concreta offensività della condotta,
attesa la mancata perizia tossicologica sulle piante in sequestro; sì da
sconoscere addirittura se le stesse fossero maschi o femmine, quel che invece
rileva, alla luce del fatto che il principio attivo si trova esclusivamente nelle
infiorescenze femminili;
– mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza. La
Corte – pur in difetto della necessaria verifica scientifica – avrebbe riconosciuto
alle piante capacità drogante in ragione delle dimensioni raggiunte e del fatto
che una fosse già giunta a maturazione; questa conclusione sarebbe però
illogica, alla luce della già citata mancata conoscenza del sesso degli stessi
vegetali. Ancora, la sentenza avrebbe comunque ritenuto «certo che potesse
essere estratta una quantità di THC puro superiore al livello minimo», senza però
indicare da quali elementi avrebbe tratto questa conclusione;
– erronea applicazione della legge penale con riferimento al citato art. 73,
comma 5, ed art. 49 cod. pen.. La Corte di merito avrebbe violato il principio di
offensività, sostenendo che il numero delle piante sarebbe tale da far ritenere
che le stesse, raggiunto il pieno sviluppo, avrebbero potuto produrre un elevato
effetto drogante; questa conclusione sarebbe errata perché non riguarderebbe il
principio attivo individuabile al momento del sequestro, ma soltanto quello ipotetico – ravvisabile in seguito. Ancora, tale ragionamento anticiperebbe in
modo eccessivo la soglia di punibilità della condotta, trasformando il reato di
pericolo in un reato di pericolo di un pericolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è fondato.
Occorre innanzitutto ribadire il principio, più volte sostenuto in questa sede
di legittimità, secondo cui, ai fini della punibilità della coltivazione non

2

articolando tre motivi:

autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al
giudice verificare in concreto l’offensività della condotta ovvero l’idoneità della
sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile (Sez. U, n. 288695
del 24/4/2008, Di Salvia, Rv. 239921; Sez. 6, n. 22110 del 2/5/2013, Capuano,
Rv. 255733); con la conseguenza che la punibilità medesima va esclusa allorché
il giudice ne accerti l’inoffensività in concreto, nel senso che la condotta deve
essere così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di
disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione

La verifica di tale requisito di offensività può esser condotta con molteplici
parametri, avendo cioè riguardo non soltanto al quantitativo di principio attivo
ricavabile dalle singole piante, in relazione al loro grado di maturazione, ma
anche ad ulteriori circostanze, quali l’estensione e la struttura organizzata della
piantagione, dalle quali possa derivare una produzione di sostanze
potenzialmente idonea ad incrementare il mercato (al riguardo, ad esempio, Sez.
3, n. 23082 del 9/5/2013, De Vita, Rv. 256174, con la quale la Corte ha ritenuto
configurabile il reato relativamente alla coltivai:: ne n.43 piantine di “cannabis” che all’atto dell’accertamento avevano un contenuto di sostanza ricavabile
inferiore sia al valore di una dose singola che alla dose soglia – per la presenza di
semi e di impianti di innaffiamento e riscaldamento dei locali, finalizzati a
favorire la crescita e lo sviluppo della coluvazìone).
Ne deriva che l’analisi tossicologica invocata dal ricorrente non costituisce,
invero, un passaggio istruttorio necessario al fine di verificare la citata offensività
in concreto, atteso che questa – come appena espresso – ben può essere
ricavata anche da ulteriori elementi di fatto; dei quali, però, il provvedimento
giudiziario deve dar conto con idonea e congrua motivazione, tanto più
convincente allorquando il compendio probatorio non sia sostenuto dai risultati di
qualsivoglia accertamento scientifico.
Orbene, ciò premesso in generale, osserva la Corte che il Giudice di appello
non si è conformato a questi principi di diritto, riconoscendo l’offensività della
condotta sulla base di elementi non adeguati, per come riportati nella
motivazione; la quale, infatti, sostiene che – pur mancando qualsivoglia
accertamento in ordine al principio attivo contenuto nelle piante – «le dimensioni
significative delle stesse e il fatto che una fosse già giunta a maturazione
comprovano che le stesse avessero una sia pure contenuta capacità drogante,
idonea a soddisfare il requisito della concreta offensività della condotta richiesto
dalla Corte di legittimità». Per poi di seguito affermare – invero in modo del tutto
apodittico – che «è certo che dalle piante in sequestro potesse essere estratta
una quantità di THC puro superiore al livello minimo».

3

di essa (Sez. 6, n. 33835 dell’8/04/2014, Piredda, Rv. 260170).

Una motivazione carente ed illogica, quindi, che impone l’annullamento della
sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello
di Palermo.

Il C

liere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, 1’11 dicembre 2014

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA