Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3916 del 04/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3916 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Frabotta Andrea, nato a Roma 18/2/1989

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Roma in data
6/5/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Francesco Salzano, che ha chiesto annullarsi la sentenza
con rinvio per il trattamento sanzionatorio;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27/9/2013, il Tribunale di Roma dichiarava Andrea
Frabotta e Marinella Assetta colpevoli del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73,
comma 1-bis, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 390, nonché il solo Frabotta anche di
un’ulteriore imputazione ai sensi della norma medesima; ad entrambi era

Data Udienza: 04/12/2014

contestato di aver detenuto a fine di vendita sostanza stupefacente di tipo
hashish e cocaina.
2. Con sentenza del 6/5/2014, la Corte di appello di Roma confermava la
precedente nei confronti del solo Frabotta, atteso che la posizione della Assetta
era stralciata.
3. Propone ricorso per cassazione il Frabotta, a mezzo del proprio difensore,
articolando due motivi:
– violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione

La Corte di appello avrebbe negato – con motivazione meramente apparente – la
configurabilità della fattispecie lieve di cui al quinto comma citato, della quale,
invece, ricorrerebbero tutti i presupposti;
– violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione
all’art. 62-bis cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato.
Con riguardo al primo motivo, occorre ribadire il consolidato orientamento di
questa Corte formatosi sulla lettera dell’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del
1990, nella versione

ante

d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con

modificazioni, dalla I. 16 maggio 2014, n. 79, ovvero allorquando l’ipotesi di lieve
entità costituiva una circostanza attenuante della condotta di cui al comma 1,
non già una fattispecie autonoma di reato; orbene, si affermava – ed è lecito
sostenere anche oggi – che detta figura attenuata può essere riconosciuta
soltanto in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal
dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla
disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che,
ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni
altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del
24/6/2010, Rico, Rv. 247911; Sez. 3, n. 27064 del 19/3/2014, Fontana, Rv.
259664; Sez. 6, n. 39977 del 19/9/2013, Tayb, Rv. 256610).
Ciò premesso, la Corte di appello – con motivazione succinta ma adeguata ha fatto buon governo di questo principio, escludendo la fattispecie di lieve entità
a fronte di due parametri oggettivi, quali il dato quantitativo e l’eterogeneità
delle sostanze detenute (circa 310 grammi di hashish e 55 grammi di cocaina);
ne deriva che non può essere accolta la doglianza del ricorrente, in forza della
quale la sentenza non avrebbe indicato alcuna argomentazione a sostegno del
proprio assunto.

all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, nonché violazione di quest’ultimo.

5. Anche il secondo motivo è infondato.
La Corte di merito ha speso adeguati argomenti al fine di negare il
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (al pari del primo Giudice),
ed in particolare ha sottolineato il carattere “professionale” dell’attività illecita
svolta dal Frabotta, evidenziata anche dal quantitativo di danaro rinvenuto in
dosso allo stesso ricorrente.
Orbene, costituisce sul punto costante indirizzo di questa Corte – al quale il
Collegio di appello si è quindi conformato – quello per cui, nel motivare il diniego

prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle
parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli
ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati
da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6,
n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 4/12/2014

Il C.

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estensore
Meng2)

Il Presidente
Aldo Fiale
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della concessione delle attenuanti medesime, non è necessario che il giudice

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