Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3915 del 04/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3915 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ciresa Marco, nato a Como il 14/7/1964

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Milano in data
27/1/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Francesco Salzano, che ha chiesto dichiararsi inammissibile
il ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23/12/2009, il Tribunale di Como dichiarava Marco
Ciresa colpevole di plurime violazioni degli artt. 2 e 8, d. Igs. 10 marzo 2000, n.
74, e lo condannava alla pena di due anni e dieci mesi di reclusione, oltre pene
accessorie. Al soggetto era contestato – nella qualità di amministratore unico di
Ciresa s.p.a., di Ecoeuropa s.r.l. e di Waste Consulting s.p.a. – di aver emesso

Data Udienza: 04/12/2014

plurime fatture per operazioni inesistenti a favore ora dell’una, ora dell’altra
società, nonché di averle di volta in volta utilizzate, sempre al fine di evadere le
imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
2. Con sentenza del 27/1/2014, la Corte di appello di Milano, in parziale
riforma della precedente, dichiarava non doversi procedere nei confronti del
Ciresa in ordine a tutti i reati ascrittigli, perché estinti per prescrizione, ad
eccezione della violazione sub capo D/5 (art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000), e
rideterminava la pena nella misura di un anno e sei mesi di reclusione.

3. Propone ricorso per cassazione il Ciresa, a mezzo del proprio difensore,
articolando due motivi:
– erronea applicazione di legge penale. La Corte avrebbe considerato la
fattispecie di cui all’art. 2, comma 3, d. Igs. n. 74 del 2000, come ipotesi
circostanziata attenuata rispetto alla previsione di cui al comma 1, non già come
autonomo reato; ne deriva che, fermo il giudizio di comparazione tra le
circostanze attenuanti generiche e la contestata recidiva, la sentenza deve esser
annullata;

erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla pena

accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. L’art. 12, comma 2, d. Igs. n. 74
del 2000, prevede detta pena “salvo che ricorrano le circostanze previste dagli
articoli 2, comma 3, ed 8, comma 3”; la prima delle quali è proprio quella
riconosciuta nell’impugnata sentenza, dal che l’erroneità della statuizione sul
punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è parzialmente fondato.
Con riguardo al primo motivo, lo stesso non può essere accolto.
Ed invero, rappresenta indirizzo maggioritario in questa Corte quello per cui
la previsione contenuta nell’art. 2, comma 3, d. Igs. n. 74 del 2000 — peraltro
abrogata dall’art. 2, comma 36 vicies seme, lett. a), d.l. 13 agosto 2011, n. 138,
convertito, con modificazioni, dalla I. 14 settembre 2011, n. 148, riferibile però
soltanto ai fatti successivi alla data di entrata in vigore di quest’ultima —
costituisce una circostanza attenuante rispetto alla condotta di cui al primo
comma del medesimo articolo, non già una fattispecie autonoma (Sez. 3, n.
20529 del 20/4/2011, Romiti, Rv. 250339; Sez. 3, n. 25204 dell’8/5/2008,
Lunetto, Rv. 240247); ciò in quanto la stessa non contiene una specifica e
diversa condotta, ma prevede soltanto una pena più lieve per il caso in cui
l’unica violazione rivesta minore entità economica.

2

Confermava nel resto.

4

Ne consegue che la Corte di appello non è incorsa in alcuna violazione di
legge.
5. Fondato, per contro, è il secondo motivo.
Ed invero, l’art. 12, comma 2, d. Igs. n. 74 del 2000, prevede che “la
condanna per taluno dei delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 8 importa altresì
l’interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore a un anno e non
superiore a tre anni, salvo che ricorrano le circostanze previste dagli articoli 2,
comma 3, e 8, comma 3”; ne deriva che la Corte di appello, che pur ha

dovuto confermare la sentenza del primo giudice quanto alla pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici per il periodo di due anni.
La sentenza, pertanto, dovrebbe essere annullata con rinvio sul punto.
Ciononostante, rileva la Corte che, nelle more, anche questa residua
imputazione si è estinta per prescrizione: in particolare, atteso il

tempus

commissi dell’ai (30/10/2006), il termine di cui agli artt. 157-161 cod. pen.
(sette anni e sei mesi), nonché le sospensioni dello stesso termine per rinvii
dibattimentali richiesti dall’imputato o dal difensore (dall’11/7/2012 al
10/7/2013; dal 10/12/2013 al 27/1/2014), la prescrizione è maturata il
15/11/2014.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il residuo reato
estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 4/12/2014

Il

liere estensore

Il Presidente

condannato il Ciresa per la sola ipotesi di cui all’art. 2, comma 3, non avrebbe

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