Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 39147 del 17/09/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 39147 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Calarese Giuseppe, nato a Messina il 20/9/1961
avverso la sentenza 24/2/2014 della Corte d’appello di Messina, sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Edoardo Scardaccione, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 24/2/2014, la Corte di appello di Messina, in

parziale riforma della sentenza del Tribunale di Messina, in data 26/2/2010,
assolto l’imputato dal reato di detenzione per la vendita di prodotti con
marchi contraffatti, rideterminava in anni tre e mesi sei di reclusione ed C.
2.000,00 di multa la pena inflitta a Calarese Giuseppe per i reati di falso e
ricettazione di cui alle lettere A), B), C), D) ed F) del capo di imputazione.

1

Data Udienza: 17/09/2015

2.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando tre motivi di gravame con i quali deduce:
2.1

Mancanza della motivazione in ordine al ritenuto reato di cui al capo

F), eccependo che, una volta che la Corte aveva escluso che l’imputato
detenesse i sette orologi falsi per la vendita (capo E), non poteva essere
ritenuta sussistente la ricettazione;
2.2

Omessa motivazione in relazione all’applicazione della recidiva ex art.

2.3

Violazione di legge in relazione agli artt. 62 n. 6, 62 bis e 133 cod.

pen. dolendosi della mancata concessione delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti

nel giudizio di legittimità.
2.

Sono manifestamente infondate le censure sollevate con il primo

motivo di ricorso. In punto di diritto è sufficiente rilevare che la sussistenza
dell’elemento soggettivo nel reato di ricettazione (vale a dire la conoscenza
della provenienza delittuosa della cosa) può desumersi da qualsiasi elemento,
anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato e dalla
mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta,
la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente
spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. Sez. 2^, 27.2/13.3.1997, n. 2436,
Rv.207313; conf. Sez. 2, Sentenza n. 25756 del 11106/2008 Ud. (dep. 25/06/2008
) Rv. 241458).
Del resto, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite: “l’elemento
psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale,
che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente
della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della
relativa accettazione del rischio ” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12433 del
26/11/2009 Ud. (dep. 30/03/2010 ) Rv. 246324).
Dall’esame degli atti emerge che l’imputato non ha fornito alcuna
attendibile indicazione della provenienza dei sette orologi contraffatti trovati
in suo possesso. Per questo esattamente la Corte d’appello ha confermato
la condanna per il delitto di ricettazione.
2

99, IV comma cod. pen.;

3.

Per quanto riguarda il secondo motivo in punto di applicazione delle

recidiva ex art. 99, IV comma, la censura è inammissibile in quanto la
questione è stata sollevata con l’appello in modo assolutamente generico (il
Decidente ben avrebbe potuto applicare una pena più mite in
considerazione del fatto che l’art. 99 c.4 andava applicato in maniera
facoltativa). L’appellante non ha tenuto conto che il giudice di primo grado

il certificato penale “attesta una sensazionale attitudine del prevenuto al
crimine, specie alla commissione di reati contro il patrimonio”.
4.

E’ inammissibile, infine, anche il terzo motivo in punto di generiche

in quanto la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è
giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è
insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv.
242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo
cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della
concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli
elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma
è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione
(Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del
16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
5.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.
186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 17 settembre 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

ha espressamente motivato sull’applicabilità della recidiva, osservando che

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