Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3914 del 04/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3914 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Vaccaro Giuseppe, nato a Francavilla di Sicilia 1’8/3/1940
Zuccarà Giannina, nata a Francavilla di Sicilia il 3/9/1948

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Messina in data
14/2/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Francesco Salzano, che ha chiesto dichiararsi inammissibile
il ricorso;
sentite, per i ricorrenti, le conclusioni dell’Avv. Antonio Scarcella, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14/2/2014, la Corte di appello di Messina confermava la
pronuncia emessa il 31/3/2013 dal locale Tribunale, sezione distaccata di

Data Udienza: 04/12/2014

Taormina, con la quale Giuseppe Vaccaro e Giannina Zuccarà erano stati ritenuti
colpevoli dei reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, lett. c), 93, 94 e 95, d.P.R.
6 giugno 2001, n. 380, e 110 cod. pen., 181, d. Igs. 22 gennaio 20014, n. 42, e
condannati alla pena – condizionalmente sospesa – di tre mesi di arresto e 40
mila euro di ammenda ciascuno. Agli stessi era ascritto di aver realizzato – in
difetto di permesso di costruire, in area sottoposta a vincolo paesaggistico e
senza preavviso all’Ufficio Genio civile, e conseguente autorizzazione – lavori dì
ampliamento del piano attico del loro immobile, realizzando un ulteriore vano di

2. Propongono ricorso per cassazione entrambi gli imputati, a mezzo del loro
difensore, deducendo cinque motivi:
– inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 192, 530 cod. proc. pen.,
44, d.P.R. n. 380/2001; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna con
motivazione frettolosa e superficiale, senza peraltro valutare che l’opera in
oggetto consisterebbe in una mera perimetrazione con mattoni forati, di esigue
dimensioni e volta soltanto a proteggere il lastrico da fenomeni di infiltrazione
d’acqua; si tratterebbe, peraltro, soltanto di una pertinenza, che, come tale, non
richiederebbe il permesso di costruire;
– inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 192, 530 cod. proc. pen.,
93, 94 e 95, d.P.R. n. 380/2001; inosservanza e/o erronea applicazione dell’art.
181, d. Igs. n. 42 del 2004; inosservanza e/o erronea applicazione degli artt.
192, 530 cod. proc. pen., 44, d.P.R. n. 380/2001; mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione. La Corte non avrebbe valutato che
l’intervento è di entità estremamente modesta, tale da non richiedere il rispetto
degli adempimenti antisismici, né incidere in alcun modo sul bene paesaggio
tutelato;
– inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 192, 530 cod. proc. pen.,
44, 93, 94 e 95 d.P.R. n. 380/2001, 181, d. Igs. n. 42/2004; mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La Corte avrebbe
dovuto assolvere gli imputati, quantomeno ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod.
proc. pen.; l’istruttoria, infatti, non avrebbe fatto emergere alcuna certezza in
ordine alla loro responsabilità;
– inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 192, 530 cod. proc. pen.,
157 cod. pen.; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione. La Corte non avrebbe verificato che i reati erano estinti per
prescrizione già da tempo, atteso che la consumazione del reato dovrebbe esser
riferita al maggio-giungo 2006;

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3,80×3,80 metri.

- inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 535, 538 cod. proc. pen..
La Corte, confermando la condanna, avrebbe erroneamente applicato ai
ricorrenti il pagamento delle spese processuali.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo
del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza

argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009,
Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo
di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a
norma dell’art. 606, comma 1, lett e), cod. proc. pen., è soltanto quella
evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocuii; ciò in quanto
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi,
per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico
apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della
motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003,
Petrella, Rv. 226074).
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla
ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato
alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono
insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo
hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o
di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e
altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv,
251760).
Questa conclusione, peraltro, non muta a fronte del vigente testo dell’art.
606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., come modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46,
che invero non ha trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane
giudice della motivazione; la stessa, pertanto, non può procedere ad una
rinnovata valutazione dei fatti, ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle
prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice
del merito. Del pari, il ricorrente non può limitarsi a fornire una versione
alternativa del fatto, ma deve indicare specificamente quale sia il punto della

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strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-

motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto,
da cosa tale illogicità vada desunta. Al riguardo, avere introdotto la possibilità di
valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo”
costituisce il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di
legittimità il cosiddetto “travisamento della prova”, che è quel vizio in forza del
quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una (inammissibile)
rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli
elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato

altri termini, vi è “travisamento della prova” quando il giudice di merito abbia
fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di
prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato
che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse
dell’imputato); del pari, può essere valutato se vi erano altri elementi di prova
inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. In sintesi, detto
travisamento è configurabile quando si introduce nella motivazione una
informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la
valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 47035 del
3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 5, n. 18542 del 21/1/2011, Carone, Rv.
250168). Fermo però restando – occorre ancora ribadirlo – che non spetta
comunque a questa Corte Suprema “rivalutare” il modo con cui quello specifico
mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito (in questi termini, tra le
molte, Sez. 3, n. 5478 del 05/12/2013, Ferraris, Rv. 258693; Sez. 5, n. 9338 del
12/12/2012, dep. 27/2/2013, Maggio, Rv. 255087).
Se questa, dunque, è l’ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il
giudizio della Suprema Corte, le doglianze che i ricorrenti rivolgono al
provvedimento impugnato si evidenziano come manifestamente infondate.
Ed invero, gli stessi – dietro l’apparente censura di violazione di legge o di
illogicità della motivazione – richiedono a questo Collegio, in verità, una nuova e
diversa valutazione in fatto delle medesime risultanze istruttorie (ad esempio, le
dichiarazioni della Zuccarà, le caratteristiche tecniche del manufatto) già
esaminate dal primo e dal secondo giudice di merito; il che – come premesso – è
inammissibile.
Si precisa, inoltre, che la Corte di appello – con motivazione sintetica, ma
adeguata – ha dato conto degli elementi giustificativi della condanna, quali la
pacifica realizzazione di un vano/ampliamento del tutto abusivo, peraltro non
ancora completato (all’accesso della Polizia municipale era in corso l’intonacatura
del manufatto, con apposizione di canna fumaria), nonché l’assenza degli
invocati caratteri di precarietà o pertinenzialità rispetto all’edificio principale. A

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o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno della decisione. In

quest’ultimo riguardo, quindi, la Corte ha fatto buon governo del principio, più
volte affermato in sede di legittimità, secondo cui integra il reato previsto
dall’art. 44, lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001 la realizzazione, senza il
preventivo rilascio del permesso di costruire, di una tettoia di copertura che, non
rientrando nella nozione tecnico-giuridica di pertinenza per la mancanza di una
propria individualità fisica e strutturale, costituisce parte integrante dell’edificio
sul quale viene realizzata (Sez. 3, n. 42330 del 26/6/2014, Salanitro, Rv.
257290; Sez. 3, n. 21351 del 6/5/2010, Savino, Rv. 247628); ciò in quanto, in

quelle definite dal codice civile, riferendosi ad un’opera autonoma dotata di una
propria individualità, in rapporto funzionale con l’edificio principale, laddove la
parte dell’edificio stesso appartiene senza autonomia alla sua struttura (Sez. 3,
n. 17083 del 7/4/2006, Miranda, Rv. 234193).
4. Anche il secondo motivo è infondato.
Ed invero, la Corte stende al riguardo una motivazione sintetica, ma
congrua, con la quale ribadisce la necessità del preventivo avviso all’Ufficio del
Genio civile, oltre che dell’autorizzazione paesaggistica, atteso il vincolo
insistente sull’area.
Quanto al primo profilo, in particolare, occorre qui ribadire il principio per cui
qualsiasi intervento edilizio in zona sismica, comportante o meno l’esecuzione di
opere in conglomerato cementizio armato, deve essere previamente denunciato
al competente ufficio al fine di consentire i dovuti controlli e, pertanto, necessita
del rilascio del previo titolo abilitativo, conseguendone, in difetto, la violazione
dell’art. 95 del d.P.R. n. 380 del 2001 (per tutte, Sez. 3, n. 34604 del
17/6/2010, Todaro, Rv. 248330).
In ordine, poi, al vincolo paesaggistico, si osserva che i ricorrenti chiedono
ancora a questo Collegio una nuova valutazione delle risultanze istruttorie
acquisite (specie testimoniali, v. deposizione Immesi), nonché un esame “fisico”,
visivo del manufatto abusivo e, pertanto, della sua idoneità o meno a porre in
pericolo il bene paesaggio tutelato o ad imporre il rispetto della normativa
antisismica; il che – come più volte già ricordato – non è consentito alla Corte di
legittimità.
5. Il terzo ed il quinto motivo, da esaminare congiuntamente, sono poi
palesemente infondati per genericità. I ricorrenti, infatti, affermano che non
sarebbe stata raggiunta la certezza della loro penale responsabilità, ma in nulla
contestano le affermazioni della sentenza al riguardo, che pur ha motivatamente
concluso in senso opposto. E con la precisazione per cui alla condanna segue,
all’evidenza, l’obbligo di pagare le spese processuali, giusta l’inequivoco tenore
dell’art. 535, comma 1, cod. proc. pen.

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urbanistica, il concetto di pertinenza ha caratteristiche sue proprie, diverse da

6. Da ultimo, il quarto motivo, parimenti infondato.
Premesso che, all’atto del sopralluogo della Polizia municipale, era ancora in
corso l’intonacatura del manufatto, la Corte si è uniformata al pacifico indirizzo
per cui il momento consumativo del reato di costruzione abusiva si realizza con
l’ultimazione dei lavori, coincidente con la realizzazione delle rifiniture (per tutte,
Sez. 3, n. 8172 del 27/1/2010, Vitali, Rv. 246221), quali, per l’appunto,
l’intonacatura.
I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della

fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen. e nei confronti di ciascun ricorrente, l’onere
delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in
favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4/12/2014

igliere estensore

Il Presidente

sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella

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