Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3913 del 04/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3913 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Fanelli Francesca, nata a Francavilla Fontana 1’8/8/1951

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Lecce in data
8/1/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
b.11/4tu/Go
Procuratore generale, che ha chiesto il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’8/1/2014, la Corte di appello di Lecce confermava la
pronuncia emessa dal Tribunale di Brindisi il 7/2/2012, con la quale Francesca
Fanelli era stata condannata alla pena di un anno di reclusione, condizionalmente
sospesa, in ordine al delitto di cui all’art. 5, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74. Alla
stessa, in particolare, era contestato – nella qualità di legale rappresentante

Data Udienza: 04/12/2014

della Revolution s.r.l. — di aver omesso di presentare la dichiarazione dei redditi
ed i.v.a. per l’anno 2006, con imposta evasa pari ad 82.568,28 euro.
2. Propone ricorso per cassazione la Fanelli, personalmente, articolando
due motivi:
– violazione di legge, con riferimento agli artt. 5, d. Igs. n. 74 del 2000,
27 Cost.. La Corte di appello, al pari del Tribunale, avrebbe condannato la Fanelli
pur avendo questa rivestito un ruolo di mera prestanome, senza essersi mai
occupata della società né avuto rapporti con fornitori o consulenti. Ancora, non

sentenza avrebbe effettuato una vera “oggettivizzazione”;
– manifesta illogicità della motivazione. La sentenza avrebbe confermato
la condanna di primo grado pur emergendo, dall’istruttoria, chiari elementi a
conferma del fatto che la ricorrente non avrebbe mai gestito la società, sotto
ogni profilo amministrata dai figli.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, occorre ribadire che il controllo del giudice di
legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della
decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo,
restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009, Campanella, n.
12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte
in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore
tale da risultare percepibile ictu ocu/i; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul
discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del
legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza
possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni
processuali (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla
ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato
alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono
insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo
hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o
di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine

sarebbe stato provato il dolo specifico, richiesto dalla norma, sul quale la

giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e
altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv,
251760).
Se questa, dunque, è l’ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il
giudizio della Suprema Corte, le censure che la ricorrente rivolge al
provvedimento impugnato si evidenziano come manifestamente infondate. Ed
invero le stesse — dietro l’apparente lettera di cui all’art 606, comma 1, lett. b),
cod. proc. pen. – sollecitano al Collegio una nuova e diversa, ma inammissibile,

testimoniale, specie relative al modesto livello culturale della ricorrente ed al suo
impiego “reale” di casalinga), sulle quali, peraltro, la Corte di appello ha steso
una motivazione diffusa, argomentata e priva di vizi logici; in particolare, la
sentenza impugnata ha ritenuto la responsabilità della Fanelli in ordine al delitto
di cui all’art. 5 in esame, atteso che dall’istruttoria non era emerso alcun
elemento che potesse far escludere la sua diretta gestione della Revolution s.r.I.,
della quale era legale rappresentante, ovvero che comprovasse la tesi difensiva
della “delega” ai figli, con relativi obblighi tributari.
Dalla cui omissione, peraltro, la pronuncia trae anche la prova del
necessario elemento soggettivo del reato, individuato quale «dolo di evasione»
(oggetto del secondo motivo di ricorso); orbene, sul punto la motivazione della
Corte è sintetica, ma esaustiva, nella misura in cui conferma — a carico della
Fanelli – il legame tra detto profilo psicologico e la particolare condotta omissiva
in esame, sì da non consentire censure in questa sede di legittimità. Specie della
natura di quelle sollevate nel presente ricorso, ancora volte ad ottenere in questa
sede un’inammissibile, diversa valutazione degli stessi elementi istruttori già
analizzati — con adeguati argomenti – dai primi Giudici.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.000,00.

3

valutazione delle medesime prove già esaminate in fase di merito (di natura

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 4/12/2014

Il Presidente

iere estensore

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