Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3907 del 22/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3907 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

BOSCOLO BACHETO STEFANO n. 18/11/1967 a Chioggia

BOSCOLO BACHETO MARIO n. 28/08/1945 a Chioggia

avverso l’ordinanza n. 938/2013 del Tribunale del riesame di VENEZIA in data
1/08/2013
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale dott. M. Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentito il difensore, avv. B. De Biasi, in sostituzione degli avv.ti A. Franchini e L.
Tosi, che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 22/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 1/08/2013, depositata in data 7/08/2013, il Tribunale del
riesame di VENEZIA, decidendo sulla richiesta di riesame, promossa dagli odierni
ricorrenti, confermava l’ordinanza di applicazione della misura degli arresti
domiciliari nei loro confronti (e di altri coindagati) emessa dal GIP del Tribunale
di VENEZIA in relazione alle imputazioni provvisorie di cui ai capi 5) e 6) della

2. Gli attuali ricorrenti risultano indagati per due diversi episodi di turbativa
d’asta (art. 353 cod. pen.), consumati nel periodo di maggio/giugno 2011, al fine
di pilotare ed alterare l’esito di gare d’appalto relative all’esecuzione di tre diversi
stralci di opere per la costruzione del c.d. Mose, da parte del Consorzio Venezia
Nuova. Secondo la prospettazione accusatoria, l’indagato SAVIOLI (non
ricorrente), membro del Consiglio direttivo del Consorzio, su disposizione del
Presidente, aveva concordato l’astensione dalla partecipazione alle gare da parte
della Cooperativa San Martino, amministrata di fatto dagli attuali ricorrenti, con
la promessa di conferire ad essa lavori più remunerativi, come poi effettivamente
accaduto; il medesimo SAVELLI, per contro, aveva concordato la partecipazione
di un’ATI, di cui facevano parte anche le imprese riferibili ad altri coindagati non
impugnanti (la “Clodiense opere”, la “Tiozzo Gianfranco s.r.l.” e la “Boscolo
Sergio Menela e figli”).

3. Il tribunale del riesame di VENEZIA, a seguito del gravame interposto, per
quanto qui d’interesse, dagli attuali ricorrenti, confermava la solidità del quadro
indiziario, osservando come la PG avesse potuto seguire in diretta i vari
comportamenti collusivi posti in essere dagli indagati, prima, durante e dopo la
gara indetta dall’Autorità portuale di Venezia con bando dell’aprile 2011, avendo
intercettato alcune significative conversazioni telefoniche, seguito gli spostamenti
(in quanto sull’auto del SAVIOLI era stato collocato un dispositivo atto alle
intercettazioni

fonoambientali),

captato,

infine,

grazie

ad

analoga

apparecchiatura, le conversazioni avvenuti negli uffici del COVECO, rivelatrici, sin
nei particolari, della trama che andava sviluppandosi. IN tal senso, riteneva il
tribunale del riesame, condividendo l’impostazione accusatoria, che il quadro
indiziario in relazione al reato di cui all’art. 353 c.p. contestato dovesse
considerarsi solido ed esauriente e riguardante anche gli attuali ricorrenti, i quali
avevano partecipato, con ruoli diversi, nel determinare la turbativa della gara in
oggetto. In merito alla responsabilità soggettiva degli attuali ricorrenti,
2

rubrica.

l’ordinanza rileva come entrambi abbiano operato in pieno accordo nel
raggiungere il comune obiettivo prefissato, partecipando attivamente alla
manipolazione della gara. Infine, quanto all’esigenza cautelare ed alla misura
applicabile, l’ordinanza ritiene sussistere sia il pericolo di recidiva (desumendolo
dalla professionalità dimostrata nella conduzione illecita dell’attività
imprenditoriale nonché nello stabile inserimento di entrambi in una rete di affari

spregiudicatezza) sia l’adeguatezza della misura cautelare degli arresti domiciliari
(precisando che “misure più blande, tali da consentire ampia possibilità di
movimento e di incontri, non impedirebbero ai due indagati di riallacciare quei
radicati rapporti nell’ambito affaristico deviato che hanno consentito loro di
violare più volte, nel corso degli anni, la legge penale”: il riferimento, in
particolare, è alla circostanza di essere gli stessi ricorrenti indagati, quali
responsabili di fatto della società ISTRA SIMPEX, per alcuni reati tributari
commessi negli anni 2004/2006, reati contestati ai capi 1, 3 e 4) della rubrica).

4. Propongono ricorso tempestivamente depositato, nell’interesse di entrambi gli
indagati, i difensori fiduciari cassazionisti, impugnando la suddetta ordinanza,
deducendo due articolati motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

4.1. Con un primo motivo, deducono violazione di legge e mancanza ed illogicità
della motivazione risultante tanto dal testo del provvedimento impugnato,
quanto dalla documentazione dimessa dal PM all’udienza del 1/08/2013 e dalla
difesa in data 31/07/2013, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione
alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza con riguardo alle ipotesi
delittuose di concorso in turbativa d’asta (capi 5 e 6 dell’imputazione
provvisoria). La difesa, in particolare, contesta la configurabilità del delitto di cui
all’art. 353 c.p., sul presupposto che la condotta ascritta ai ricorrenti sarebbe
integralmente omissiva, inquadrabile nella diversa fattispecie criminosa di cui
all’art. 354 c.p. (che non consente l’applicazione di misure cautelari coercitive),
non essendovi in atti elementi in grado di provare, oltre la mera e semplice
astensione alla gara, anche un’effettiva partecipazione dei ricorrenti alla
manovre collusive contestate dall’autorità inquirente. Il tribunale del riesame
avrebbe, secondo la difesa, omesso tout court di analizzare il contenuto dei
memoriali sottoscritti dagli indagati e di confutarlo con il restante materiale
probatorio, pur prodotto dalla pubblica accusa. Censura, ancora, in punto di
elemento soggettivo, la motivazione della gravata ordinanza secondo cui i
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che consente di manipolare lucrosi appalti pubblici con facilità e

ricorrenti sarebbero stati a conoscenza degli altri elementi dell’accordo collusivo,
circostanza che il GIP prima ed il tribunale del riesame poi avrebbero ritenuto
sussistere seguendo mere illazioni degli inquirenti.

4.2. Con il secondo motivo, deducono mancanza o mera apparenza della
motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art.

ex art. 274, lett. c), c.p.p., e alla ritenuta inidoneità di misure diverse dagli
arresti domiciliari a soddisfare le esigenze medesime. Gli elementi valorizzati dal
tribunale del riesame a sostegno della pericolosità degli indagati sarebbero,
secondo la difesa, meramente congetturali e del tutto astratti. Per escludere il
ritenuto pericolo di recidiva, anzitutto, la difesa evidenzia che ai ricorrenti viene
contestata una condotta meramente omissiva, in relazione ad un’unica gara,
risalente ad altre due anni or sono: il tribunale, disattendendo l’orientamento
giurisprudenziale di legittimità (che ritiene necessaria – ove si tratti di fatti
temporalmente distanti dalla commissione del reato – una motivazione
dimostrativa della permanenza di una concreta ed effettiva attualità del pericolo
di reiterazione, idoneo a giustificare la misura cautelare, considerando anche
aspetti differenti e ulteriori rispetto a quelli propri del fatto in sé considerato, a
maggior ragione quando si tratti di soggetti immuni da precedenti penali, come
gli attuali ricorrenti), avrebbe totalmente omesso di motivare sul punto,
ancorando la sussistenza dell’esigenza cautelare de qua dal fatto-reato ascritto ai
ricorrenti, sganciandola da specifiche circostanze concrete. La motivazione sulla
pericolosità sociale dei ricorrenti sarebbe fondata dal tribunale del riesame sulle
condotte illecite contestate nei capi 3 e 4 dell’incolpazione provvisoria (relativi a
reati tributari) per i quali non è stata emessa alcuna misura dal GIP non
sussistendo esigenze cautelari; non sarebbe, poi, stata valorizzata la circostanza
dell’atteggiamento collaborativo dei ricorrenti, che avevano anche ammesso la
loro astensione; infine, censurabile sotto il profilo logico – argomentativo
sarebbe la motivazione del tribunale del riesame sulla non applicabilità di misure
attenuate rispetto a quella degli arresti domiciliari, non avendo tenuto conto del
fatto che il GIP, nell’applicare la misura dell’art. 284 c.p.p., non aveva imposto ai
ricorrenti (a differenza di quanto disposto per un altro coindagato), alcun divieto
di contatto o di comunicazione ex art. 284 c.p.p., così lasciando intendere che la
libertà di comunicazione con persone estranee non esponeva al pericolo di
facilitare la ripresa di contatti illeciti e, dunque, la reiterazione di altri reati.

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606, lett. e), c.p.p., in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari

4.3. Con separate istanze, depositate presso la Cancelleria di questa Corte in
data 14/11/2013, i ricorrenti hanno fatto presente – pur essendo intervenuto in
data 12/09/2013, nelle more della fissazione dell’udienza davanti a questa Corte
di legittimità, un provvedimento del G.I.P. di Venezia di revoca delle misure
cautelari in atto applicate ad entrambi -, l’esistenza di un interesse alla
pronuncia di questa Corte, ai fini di una futura utilizzazione della stessa per il

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è infondato e merita rigetto.

6. Deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione
di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee
direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio
prognostico di “elevata probabilità di colpevolezza”, tanto lontano da una
sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure
presuntivo, poiché di tipo “statico” e condotto, allo stato degli atti, sui soli
elementi già acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte
Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent.
n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).
La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli
elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico
di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori
garanzie per la libertà personale e a sottolineare l’eccezionalità delle misure
restrittive della stessa.
Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela è evidenziato
anche dagli adempimenti previsti per l’adozione dell’ordinanza cautelare.
L’art. 292 c.p.p., come modificato dalla L. n. 332 del 1995, prevedendo per detta
ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di
merito dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), impone, invero, al giudice della
cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di
indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l’esito positivo
della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni
per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque
a favore dell’accusato (comma 2, lett. c) e c bis).

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i

riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione.

6.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure
cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli
elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in nuce
tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non
valgono di per sè a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato
e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la

responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza
(Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002,
e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995,
Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999,
Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000,
Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004,
Acanfora, Rv. 227511).
A norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1-bis, nella valutazione dei gravi indizi di
colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le
altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n.
31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n.
29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n.
36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441
del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del
04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601).
Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del
condivisibile orientamento espresso da questa Corte, dell’art. 273 c.p.p., comma
1-bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il
richiamo alle regole di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un
espresso limite legale alla valutazione dei “gravi indizi”.

6.2. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando
sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla
peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del
contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza
del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del
17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del
6

futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale

12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del
22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del
22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500
del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa
integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre,

1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n.
6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331). Il detto limite del
sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro
delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della
cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata
e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998,
Martorana, Rv. 210019).
Peraltro, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in
tema di misure cautelarí, “l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il
provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale
provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo
di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze
motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni
addotte a sostegno dell’altro” (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008,
Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998,
Panebianco R., Rv. 212685).

7. Tanto premesso è quindi possibile affrontare il primo motivo di ricorso, con cui
i ricorrenti deducono violazione di legge e mancanza ed illogicità della
motivazione risultante tanto dal testo del provvedimento impugnato, quanto
dalla documentazione dimessa dal PM all’udienza del 1/08/2013 e dalla difesa in
data 31/07/2013, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione alla
ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza con riguardo alle ipotesi
delittuose di concorso in turbativa d’asta (capi 5 e 6 dell’imputazione
provvisoria).
La difesa, come detto, contestata la configurabilità del delitto in forma omissiva,
inquadrabile nel delitto di astensione dagli incanti (art. 353 c.p.) che non
consente l’applicazione di misure custodiali. La questione è stata affrontata dal
tribunale del riesame che, dando atto dell’avvenuto deposito della
documentazione richiamata dagli odierni ricorrenti, riteneva che gli elementi
raccolti nel corso dell’indagine smentivano tale tesi difensiva. In particolare, si
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Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez.

legge nell’ordinanza gravata, come i responsabili della Cooperativa San Matino
(ossia gli attuali ricorrenti) non si sarebbero limitati ad astenersi dal partecipare
alle gare, ma sarebbero stati al centro dell’intera operazione gestita dal
Mazzacurati, che prevedeva, insieme all’astensione della grandi imprese, anche
la partecipazione vittoriosa delle piccole. Il tribunale, sul punto, evidenzia come
non si possa parlare di “comportamenti omissivi e commissivi che concorrono

intrecciate e che sin dall’inizio vedono riunioni comuni”, ove si fa riferimento al
comportamento dei “piccoli” (ossia di quelle imprese che poi vinceranno la gara)
che si recano a discutere le modalità dell’aggregazione e le modalità di
partecipazione alla gara nelle sedi dei “grandi” (Coedmar e Coop. San Martino)
che poi si asterranno. Che non si sia trattato di mera astensione, poi, viene
evidenziato dall’ordinanza in quel passaggio della motivazione ove si fa
riferimento alle scelte al ribasso decise dall’ATI che, lungi dal rimanere riservate,
risultano dalle intercettazioni telefoniche disposte essere state prontamente
comunicate dal ricorrente BOSCOLO BACHETO MARIO al MORBIOLO due giorni
prima del termine per la presentazione delle offerte “a riprova di come anche
simili notizie potevano circolare liberamente tra i due schieramenti”. L’ordinanza,
inoltre, puntualmente motiva sulla configurabilità del reato di turbata libertà
degli incanti, osservando come nel caso in esame vi fosse stato un previo
concerto tra gli indagati, in quanto la turbativa dell’asta era stata concordata sin
dall’inizio tra i “piccoli” che chiedevano di vincere le gare ed i “grandi” che si
astenevano perché questo obiettivo fosse raggiunto. Da qui, quindi,
l’affermazione secondo cui il quadro indiziario fosse solido ed esauriente e
riguardante, peraltro, tutti gli indagati partecipi, con ruoli diversi, nel
determinare la turbativa della gara in questione. Ciò emerge, peraltro, con
maggior evidenza dalla stessa lettura dell’ordinanza genetica emessa dal GIP del
Tribunale di Venezia (v. pag. 45 ss.), in cui sono chiaramente indicati i termini
dell’accordo collusivo. In particolare, il sottile filo che unisce tutti i soggetti
coinvolti, a vario titolo nell’attività d’indagine, muove da una considerazione
elementare ma chiaramente emergente dall’ordinanza, ossia che effettivamente
l’A.T.I. costituita dalle imprese medio-piccole – una volta vinti tutti e tre gli
stralci a seguito dell’accordo illecito intervenuto tra la L.M.D. S.p.A. (capogruppo
dell’A.T.I., consorziata nel Consorzio Venezia Nuova) e G. Mazzacurati
(Presidente di quest’ultimo Consorzio) -, aveva concesso, con contratti di nolo a
caldo, per quanto di interesse in questa sede, alla Coop. San Martino, che si era
astenuta dal partecipare alla gara, per il terzo stralcio, opere di refluimento in
barena per un importo pari ad C 50.000,00 e ad C 90.000,00 (cui si aggiunge
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paralleli e con dinamiche proprie, ma scelte operative che devono procedere

l’assegnazione alla Nuova Dragomar s.r.I., controllata dalla Nuova Coedmar
s.r.I., opere della stessa tipologia per un importo di C 235.0000,00). Orbene, con
riferimento alle condotte contestate nei capi d’accusa 5) e 6), non v’è dubbio che
esse rientrino nel concetto di “turbamento” di cui all’art. 353 c.p., atteso che la
Coop. San Martino non si è limitata semplicemente ad astenersi dalla gara, come
sostenuto dai ricorrenti, ma ha posto in essere condotte di tipo commissivo, ben

condotte di tipo collusivo. Ed infatti, le “collusioni” costituiscono una delle
modalità previste dall’art. 353 c.p., ossia di preventivo accordo comune
mediante concordate astensioni dalla partecipazione alle gare da parte di alcuni
soggetti economici, finalizzate a concordate partecipazioni alle predette gare
dall’A.T.I. poi risultata vincitrice, nella certezza di essere l’unica reale
concorrente, tanto da presentare ribassi minimi rispetto a quelli di prassi offerti,
nonché mediante fittizie predisposizioni di domande di partecipazione di altri
soggetti economici, concordemente presentanti ribassi talmente esigui da
apparire più che sospetti, al fine di favorire l’A.T.I. che doveva risultare
vincitrice. A tal proposito, si noti, che questa Corte ha già precisato che ai fini
della sussistenza del concorso di persone nel reato non occorre la prova del
previo concerto tra i concorrenti, ma è necessario dimostrare che ciascuno di
essi abbia agito per una finalità unitaria con la consapevolezza del ruolo svolto
dagli altri e con la volontà di agire in comune (Sez. 6, n. 46309 del 09/10/2012 dep. 29/11/2012, P.G. in proc. Angotti, Rv. 253984): e, dall’attività d’indagine
riassunta nell’ordinanza genetica, emergono una serie di comportamenti aventi
un unico fine, ciascuno dei quali posto in essere con la consapevolezza del ruolo
degli altri, ossia – mutuando quanto già sottolineato nell’ordinanza genetica che “chi presentava le domande fittizie con ribassi esigui sapeva che
contemporaneamente l’A.T.I. aveva presentato domanda con ribassi sempre
ridotti ma più elevati, nella consapevolezza poi che altre domande non vi
sarebbero state”. Che, poi, oltre l’elemento oggettivo, sussistesse anche quello
soggettivo, ossia il c.d. dolo “collusivo”, emerge dallo stretto collegamento tra
tutte le imprese maggiori adottanti il comportamento collusivo di astensione
dalla gara, tra cui la Coop. San Martino, in quanto tutte consorziate nel
Consorzio Venezia Nuova (v. all. 25, informativa 7/07/2011), da cui si evince che
all’interno del Consorzio Costruttori Veneti San Marco è presente, per quanto qui
di interesse, con il 12% la Coop. San Martino con quota diretta dello 0,007900:
tale circostanza, come bene evidenziato nell’ordinanza genetica (v. pag.51) è
fondamentale per provare l’esistenza della collusione in quanto, come chiarito da
questa stessa Corte, la prova della collusione, e, quindi, del dolo dei concorrenti,
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descritte nell’ordinanza genetica (v. pagg. 50/51), sostanziatesi anzitutto in

può essere desunta dal collegamento sostanziale tra le imprese partecipanti alla
gara, in quanto da tale circostanza può evincersi l’esistenza di unico centro di
interessi mirante, attraverso la parcellizzazione delle offerte, ad aumentare le
possibilità di aggiudicarsi l’appalto alterando il normale gioco della concorrenza,
come avvenuto nel caso in esame (Sez. 6, n. 7376 del 31/01/2013 – dep.
14/02/2013, Messuti e altro, Rv. 254901).

ben chiarito nell’ordinanza genetica, da un lato, condotte di promessa e/o
dazione (emergenti nelle promesse di sostanziosi subappalti ai titolari delle
imprese rinuncianti alla gara, subappalti in alcuni casi effettivamente ottenuti,
anche se questa stessa Corte ha ricordato che il reato di turbata libertà degli
incanti è reato di pericolo che si configura non solo nel caso di danno effettivo,
ma anche nel caso di danno mediato e potenziale, non occorrendo l’effettivo
conseguimento del risultato perseguito dagli autori dell’illecito, ma la semplice
idoneità degli atti ad influenzare l’andamento della gara: Sez. 6, n. 12821 del
11/03/2013 – dep. 19/03/2013, Adami e altri, Rv. 254906), nonché condotte
fraudolente di diverso tipo (emergenti nella predisposizione di domande di
partecipazione da parte di altri soggetti economici, concordemente presentanti
ribassi talmente esigui da apparire quantomeno sospetti al fine di favorire
l’offerta dell’A.T.I. che doveva aggiudicarsi la gara, rientrando nella categoria
degli “altri mezzi fraudolenti” ogni genere di artificio, inganno, menzogna usati
per alterare il regolare funzionamento e la libera partecipazione alla gara – Sez.
6, n. 20211 del 15/05/2012 – dep. 25/05/2012, P.M. in proc. Teodosio, Rv.
252790 — tenuto, in particolare, conto della circostanza che il reato è ravvisabile
quando gli imputati, partecipando ad una gara pubblica, presentino offerte
imputabili ad unico centro di interessi, in questo modo dissimulando offerte
collegate e solo apparentemente concorrenti, come avvenuto nel caso di specie:
Sez. 6, n. 12298 del 16/01/2012 – dep. 02/04/2012, Citarella e altri, Rv.
252555).
Nel caso di specie, dunque, alla luce della motivazione dell’ordinanza impugnata,
allo stato della delibazione sommaria operata in fase investigativa, risulta
pienamente integrato l’elemento oggettivo del delitto di turbata libertà degli
incanti (art. 353 cod. pen.), dato non solo dal comportamento di allontanamento
di altri concorrenti (che, diversamente, qualificherebbe il fatto ai sensi dell’art.
353 cod. pen., costituente un’ipotesi singolare di concorso posto in essere
“esclusivamente” mediante fatti omissivi nel delitto di turbata libertà degli
incanti: Sez. 6, n. 911 del 13/11/1997 – dep. 23/01/1998, Ponzoni A., Rv.
210634 ), ma anche dall’accordo collusivo tra gli interessati diretto a influenzare
10

Accanto, poi, alle condotte collusive come sopra descritte, si affiancano, come

la libera concorrenza nella gara, pure attraverso il comportamento omissivo di
taluno dei partecipanti (Sez. 6, n. 8887 del 02/10/2000 – dep. 03/03/2001,
Simonazzi, Rv. 218193), accordo collusivo emergente dagli atti.
Deve, conclusivamente, osservarsi da parte di questo Collegio, difformemente da
questo sostenuto dai ricorrenti, come la rinuncia a partecipare alla gara assume,
alla luce del coacervo degli elementi acquisiti, la connotazione di comportamento

non rappresentava una mera condotta omissiva fine a se stessa, ma rientrava in
un più ampio, e concordato, piano oggetto di programmazione finalizzato ad
alterarne l’esito in favore dell’A.T.I., piano nel quale le astensioni concertate
costituivano altrettanti comportamenti “attivi” in vista della buona riuscita
dell’illecita operazione.

7.1. Orbene, le osservazioni difensive di cui al ricorso – le quali mirano a
censurare la valutazione indiziaria del tribunale del riesame che non avrebbe
minimamente tenuto in considerazione il contenuto di quanto illustrato in una
memoria dimessa all’esito della discussione orale e di quanto emergente dalle
attività d’indagine successiva riportata nei memoriali (fraintendimento
dell’interpretazione di alcune conversazioni telefoniche oggetto di
intercettazione, dichiarazioni BOSCOLO ANZOLETTI ROBERTO rese al PM il
31/07/2013, dichiarazioni SUTTO rese al PM il 17/07/2013, dichiarazioni
MORBIOLO rese al PM il 22/07/2013, dichiarazioni MAZZACURATI rese al PM il
25/07/2013) -, in realtà prospettano una diversa e, per i ricorrenti più adeguata,
valutazione delle risultanze delle indagini, fornendo una personale esegesi
fondata, esemplificativamente, anche su un’interpretazione più favorevole del
significato delle conversazioni intercettate diversa da quella proposta dal giudice
di merito, possibilità questa senza alcun dubbio concessa in sede di legittimità,
ma solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il
giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale,
e la difformità risulti decisiva ed incontestabile, circostanza non rilevabile nel
caso in esame (v., ad es.: Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012 – dep. 22/03/2012,
Asaro, Rv. 252190).
Analoghe considerazioni devono essere svolte con riferimento all’asserita
“maliziosa e errata” interpretazione di una conversazione intercettata (n. 25693
del 24/05/2011) che avrebbe convinto anche il tribunale del riesame a ritenere
sussistente l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 353 c.p., ossia che gli
indagati fossero a conoscenza degli altri elementi dell’accordo collusivo. Anche di
questa intercettazione la difesa dei ricorrenti tenta di offrirne una lettura
11

commissivo idoneo a turbarne la libertà, in quanto l’astensione dal partecipare

alternativa (peraltro prospettata su base presuntiva, quando interpreta il
rifermento al “lui”, di cui all’intercettazione, ad un altro indagato, il Sutto), che,
coordinata con una dichiarazione resa nel proprio memoriale dal coindagato
BOSCOLO ANZOLETTI ROBERTO, sosterrebbe la tesi difensiva dell’insussistenza
dell’elemento psicologico.
In conclusione, dal provvedimento del tribunale del riesame emerge

degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che
governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con conseguente rigetto
del primo motivo.

8. Ad analoghe conclusioni è possibile pervenire quanto al secondo motivo di
ricorso, con cui la difesa deduce la mancanza o mera apparenza della
motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art.
606, lett. e), c.p.p., in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari
ex art. 274, lett. c), c.p.p., e alla ritenuta inidoneità di misure diverse dagli
arresti domiciliari a soddisfare le esigenze medesime.
L’ordinanza impugnata, quanto al pericolo di “recidiva” ex art. 274, comma 1,
lett. c), cod. proc. pen., ha motivato la sussistenza dell’esigenza cautelare

de

qua, desumendola dalla gravità dei comportamenti precedenti (in particolare, il
richiamo è alle ipotesi di frode fiscale e dichiarazione fraudolenta richiamate nei
capi 1, 3 e 4 dell’imputazione provvisoria, per le quali non è stata emessa alcuna
misura cautelare, riguardando le imputazioni fatti risalenti, rispettivamente, agli
anni 2004/2006 e 2005/2007) nonché dalla loro “professionalità” dimostrata
nella conduzione illecita dell’attività imprenditoriale e nello stabile inserimento di
ambedue i ricorrenti in una rete d’affari che consente di manipolare lucrosi
appalti pubblici con facilità e spregiudicatezza (l’ordinanza richiama, in
particolare, la circostanza per cui la Coop. San Martino era già stata illecitamente
designata ad ottenere il 25% dei lavori derivanti dalla gara in questione, prima
della seconda decisiva turbativa, riferendosi ad una conversazione intercettata il
17/05/2011). Sul punto la difesa qualifica tali elementi come meramente
congetturali e del tutto astratti che non consentirebbero di ritenere sussistente il
pericolo di reiterazione del reato, soprattutto alla luce del fatto che agli stessi,
entrambi incensurati, verrebbe contestata una condotta omissiva riferita ad
un’unica gara risalente a due anni or sono: il tribunale, dunque, avrebbe omesso
di motivare, senza indicare le specifiche ragioni della non incidenza di tali fattori
rispetto alla permanenza del pericolo di recidiva, peraltro senza considerare che
il riferimento ai reati tributari sarebbe irrilevante in quanto nessuna misura
12

l’adeguatezza e congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione

cautelare era stata disposta e che, ancora, non si sarebbe tenuto in nessun conto
il comportamento collaborativo dei ricorrenti, ammissivo delle condotte
astensive.
Ancora una volta, corre l’obbligo di ricordare che il limite del sindacato di
legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle
esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della

e logica motivazione, nel caso di specie risultante dal richiamo in precedenza
operato del percorso logico – motivazionale seguito dal tribunale del riesame
nella valutazione della sussistenza del pericolo di reiterazione, fondato sulla
professionalità degli stessi e sul loro stabile inserimento nella rete d’affari che
aveva loro consentito di manipolare l’esito della gara. Né, del resto, possono
ritenersi escludenti tale esigenza, la pregressa incensuratezza degli indagati (che
ha valenza di mera presunzione relativa di minima pericolosità sociale, che ben
può essere superata valorizzando, come avvenuto nel caso di specie, l’intensità
del pericolo di recidiva desumibile dalle accertate modalità della condotta in
concreto tenuta: Sez. 2, n. 4820 del 23/10/2012 – dep. 30/01/2013, Mellucci,
Rv. 255679) né, tantomeno, la condotta collaborativa dell’indagato (che non può
comportare, di per sé sola, una riduzione della pericolosità sociale e condurre a
un automatismo valutativo delle esigenze cautelari che sostituisca il puntuale
accertamento della concreta realtà di fatto, riservato al giudice di merito: Sez. 1,
n. 3488 del 02/12/2009 – dep. 27/01/2010, Rana Munazam, Rv. 245984) in
quanto limitata alla sola ammissione di condotte astensive con esclusione di
qualsiasi accordo collusivo. In tema di misure cautelari personali, peraltro, ai fini
della valutazione del pericolo che l’imputato commetta delitti della stessa specie,
il requisito della concretezza non si identifica con quello dell’attualità, derivante
dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di
nuovi reati, ma con quello dell’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali
è possibile affermare che l’imputato possa commettere delitti della stessa specie
di quello per cui si procede, e cioè che offendano lo stesso bene giuridico (v., da
ultimo: Sez. 6, n. 28618 del 05/04/2013 – dep. 03/07/2013, Pmt in proc.
Vignali, Rv. 255857): ed in tal senso proprio il comportamento dei ricorrenti,
dimostratisi attivi nel processo di alterazione della gara, costituiva elemento
idoneo a confermare la concretezza del pericolo di reiterazione.
Anche con riferimento, poi, all’ulteriore censura inerente la possibilità di
attenuazione della misura degli arresti domiciliari (che, nelle more, era stata
sostituita per il solo BOSCOLO BACHETO MARIO con quella dell’obbligo di
dimora, misure poi revocate per ambedue i ricorrenti prima dell’udienza
13

cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata

camerale davanti a questa Corte), il tribunale del riesame ha motivato nel senso
di escluderla in quanto “misure più blande, tali da consentire ampia possibilità di
movimento e di incontri, non impedirebbero agli indagati di riallacciare quei
radicati rapporti nell’ambito affaristico deviato che hanno consentito loro di
violare più volte, nel corso degli anni, la legge penale”. La difesa censura tale
motivazione, siccome illogica in quanto il GIP, nel disporre gli arresti domiciliari,

c.p.p., così lasciando intendere che la libertà di comunicazione con persone
estranee al nucleo familiare non appariva idonea, nel caso in esame, a facilitare
la ripresa di contatti illeciti e, dunque, la reiterazione di altri reati.
Ancora una volta va ricordato che l’indagine di legittimità sulla struttura
razionale della motivazione e, cioè, sul modo di costruire il discorso giustificativo
della decisione, deve essere orientata entro un orizzonte circoscritto. Il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione, infatti, per espressa disposizione normativa,
deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza spingersi a
verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito,
per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali (v., tra le tante: Sez. 3, n. 4115 del 27/11/1995 – dep. 10/01/1996,
Beyzaku, Rv. 203272). La censura difensiva, fondata sulla supposta
inconciliabilità della mancata applicazione ai ricorrenti da parte del GIP del
divieto ex art. 284, comma secondo, cod. proc. pen., con l’esclusione, da parte
del tribunale del riesame, dell’adeguatezza di misure coercitive attenuate a
quella degli arresti domiciliari, risolvendosi in una censura afferente alla scelta
della misura ex art. 275 c.p.p., non tiene conto del fatto che nella motivazione
dell’ordinanza si fa riferimento non solo alla possibilità d’incontri (cui si riferisce il
divieto disposto dell’art. 284, comma secondo, c.p.p.), ma anche alla possibilità
di movimento, che agevolerebbe gli indagati nel riallacciare i richiamati rapporti
affaristici. Motivazione, questa, sufficiente ad escludere che ci si trovi in presenza
di mancata o mera apparenza della motivazione (od, anche come sembra dalle
critiche formulate) di motivazione illogica.

9. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p.,
la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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non aveva imposto alcuna limitazione né alcun divieto di contatto ex art. 284

Così deciso in Roma, 22 novembre 2013
Il Presidente

Il Consi liere est.

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