Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3907 del 02/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3907 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPONI CLAUDIO N. IL 09/01/1963
avverso la sentenza n. 2122/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 17/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/12/2014 la relazione fatta dal
,
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Gnerale in persona del Dott.
che ha concluso per k…Q,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. S—C.A.JL.A£2.-0-(2.-gl—,,,’
Po-L.9

Data Udienza: 02/12/2014

P

49037/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17 maggio 2013 la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma a
seguito di appello del PM avverso sentenza del 27 maggio 2011 del Tribunale di Ravenna – con
cui il Tribunale nei confronti di Caponi Claudio aveva dichiarato non doversi procedere per il
reato di cui al capo E (contestato ex articoli 61,n.9, 110 e 317 c.p. per avere l’imputato,

unitamente ad altri carabinieri, tale Brinis Lofti a consegnargli quotidianamente e
gratuitamente tra i 5 e i 10 grammi di eroina e cocaina e a versargli ogni quindici giorni cinque
milioni di lire per “protezione”), riqualificato ex articolo 319 c.p., quanto alla condotta di
consegna gratuita di stupefacente perchè estinto per maturata prescrizione, e l’aveva assolto
perché il fatto non sussiste per i reati di cui ai capi A (contestato ex articoli 110, 317 e 629,
comma 2, in relazione all’articolo 628, comma 2, n.1, e 61 n.9 c.p., per avere, abusando della
qualità di carabiniere, sorpreso il Brinis mentre deteneva cocaina ed eroina e, dietro minaccia
di arrestarlo, costretto il suddetto a dargli metà dello stupefacente, lasciandogli l’altra metà
perché la vendesse e gliene desse il ricavato), B (contestato ex articoli 110, 61 n.9, c.p. e 73
d.p.r. 309/1990, perché concorreva all’attività di cessione di cocaina e di eroina), C (contestato
ex articoli 110, 81, 317, 629, comma 2, in relazione a 628, comma 3 n.1, e 61 n.9 c.p.,
perché, abusando della qualità di carabiniere, costringeva il suddetto spacciatore a cedergli
cocaina, eroina e parte del denaro ricavato dallo spaccio), D (contestato ex articoli 110, 81, 61
n.9, 317 c.p. e 73 d.p.r. 309/1990 perché, abusando della qualità di pubblico ufficiale come
carabiniere, consegnava al suddetto spacciatore in tre occasioni cocaina ed eroina perché le
vendesse a terzi, con minaccia di arrestarlo altrimenti, affinché gli consegnasse il ricavo), E
(limitatamente alla consegna periodica di denaro), F (contestato ex articoli 61 n.9, 110, 317
c.p., 73 e 80 d.p.r. 309/1990 per avere, abusando della sua qualità di pubblico ufficiale,
consegnato giornalmente a Brinis Radhovan eroina e cocaina per futuro spaccio,
costringendolo, con la minaccia di arrestarlo, a consegnargli parte del ricavo), G (contestato ex
articoli 56, 110 c.p. e 73 d.p.r. 309/1990, per avere avviato trattative per l’acquisto di eroina
da suddividere con uno spacciatore per rivenderla a terzi e con accordo di sottrarre l’eroina al
cedente senza pagarlo), I (contestato ex articoli 110 e 314 c.p., perché, in concorso con altro
carabiniere, si appropriava di cinque armi comuni da sparo custodite in una cassaforte della
caserma) e H (contestato ex articoli 110, 61 n.9, 81 c.p., 73 e 80 d.p.r. 309/1990, per avere
concorso alla cessione, a opera dei due suddetti Brinis, di eroina e cocaina e per avere
consapevolmente tollerato, venendo meno ai suoi doveri funzionali, i traffici criminali in zona
sotto sua sorveglianza) -, ha dichiarato l’imputato responsabile per il reato di cui al capo H da
intendersi come concorso omissivo ex articolo 40 cpv. c.p., e, escluse le contestate aggravanti
e concesse le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di quattro anni e sei mesi di
reclusione e C 25.000 di multa.

abusando della qualità di pubblico ufficiale – carabiniere di servizio antidroga – costretto,

2. Ha presentato ricorso il difensore, sulla base di dieci motivi. Il primo motivo denuncia
violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p. nonchè dell’articolo 6 CEDU, per violazione del
principio di correlazione tra imputazione e sentenza, in quanto il capo H non sarebbe stato
contestato come fattispecie omissiva nel modo ritenuto dal giudice d’appello. Il secondo motivo
denuncia vizio motivazionale in relazione all’articolo 192 c.p.p. per avere il giudice d’appello
erroneamente ritenuto attendibili i chiamanti in correità. Il terzo motivo lamenta che il giudice
d’appello ha erroneamente ritenuto che il materiale esaminato per sostenere l’attendibilità

cpv.c.p. Il quarto motivo denuncia vizio motivazionale in relazione agli articoli 530, 593 e 595
c.p.p. quanto all’affermazione della responsabilità penale per il reato di cui al capo H, essendo
stata omessa una adeguata valutazione critica della assolutoria sentenza di primo grado. Il
quinto motivo censura la corte territoriale per avere ritenuto che il primo giudice non avesse
valutato adeguatamente determinati riscontri esterni per sostenere l’accusa. Il sesto motivo la
censura per avere fatto discendere la responsabilità per il reato di cui al capo H da un unico
episodio, con travisamento di prova e vizio motivazionale. Il settimo motivo denuncia
violazione di legge in relazione all’articolo 81 c.p. e correlato vizio motivazionale per avere il
giudice d’appello ritenuto applicabile il concorso nel reato continuato di detenzione illecita di
droga senza prova dell’accordo tra i correi, e comunque vizio motivazionale sul reato
continuato di detenzione illecita di stupefacente. L’ottavo motivo denuncia vizio motivazionale
in relazione agli articoli 40 cpv., 81, 319 c.p. e 73 d.p.r. 309/1990 per avere il giudice
d’appello ritenuto l’imputato responsabile del reato di cui al capo H sulla base di un accordo
corruttivo. Il nono motivo denuncia violazione degli articoli 40 cpv. c.p. e 73 d.p.r. 309/1990
per non avere ritenuta scriminata la condotta ex articolo 384 c.p. e il decimo motivo lamenta
violazione di legge per non essere stata applicata l’attenuante del quinto comma dell’articolo
73 d.p.r. 309/1990, con correlato vizio motivazionale e omessa motivazione comunque sul
reato di spaccio di stupefacente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato.
3.1 II primo motivo censura la sentenza impugnata per violazione del principio di
correlazione tra imputazione e sentenza. Sostiene il ricorrente che il reato di cui al capo H
viene descritto nella imputazione attraverso determinate condotte attive, e che comunque il
capo termina con una formula di chiusura che racchiude un addebito di tipo omissivo: gli
imputati “venendo meno ai propri doveri funzionali, tollerando consapevolmente e non
troncando i traffici criminali che pure si svolgevano nella citata area, agevolavano e

intrinseca dei chiamanti in correità potesse dimostrare la fattispecie di cui all’articolo 40

collaboravano fattivamente al buon fine ed al protrarsi dell’attività di spaccio”. Ad avviso del
ricorrente tale addebito omissivo trae origine esclusivamente dalle antecedentemente
determinate condotte attive e il capo di imputazione, pur non facendo formale riferimento
all’articolo 40 cpv. c.p., contemplava anche l’ipotesi del concorso mediante omissione. Perciò il
giudice di prime cure aveva “affrontato tutte le possibili sfaccettature del concorso nel reato”,
inclusa la condotta omissiva, pervenendo alla assoluzione. Superfluo sarebbe pertanto stato
“l’invito della Corte ad interloquire in ordine al suddetto

“ulteriore” profilo”, in quanto,

all’articolo 40 cpv. c.p.; e, infatti, a seguito di tale invito la difesa “aveva manifestato
attraverso una memoria la propria impossibilità a conoscere e conseguentemente difendersi
dai presunti e specifici fatti da cui poter far discendere la responsabilità omissiva”. Dovendosi
allora identificare il concorso omissivo in singoli e specifici episodi non indicati dalla corte
territoriale, la tutela del contraddittorio sarebbe stata quindi solo apparente.
Il motivo è infondato, poiché la lettura del capo di imputazione adottata dal ricorrente illogicamente ovvero in contrasto con il canone generale della conservazione – rende la
descrizione conclusiva della condotta omissiva un

surplus carente di effettivo significato,

poiché, come si è visto, ad avviso del ricorrente stesso l’addebito omissivo deriva soltanto dalle
condotte specifiche già precedentemente descritte. Dal momento che, inoltre, la parte
precedente del capo di imputazione H descrive condotte per lo più attive (il concorso
nell’attività di cessione di sostanze stupefacenti si sarebbe manifestato assicurando ai due
spacciatori copertura, avvertendoli delle operazioni di polizia antidroga, intimidendo gli altri
spacciatori perché lasciassero libera la zona al fine di assicurarla agli spacciatori “coperti” dagli
imputati, fornendo a questi cocaina ed eroina perché le vendessero esigendo e ottenendo parte
del ricavo, accompagnando più volte uno degli spacciatori con la vettura propria o anche con
quella di servizio nel tragitto dal luogo dove la droga era occultata sino al luogo di spaccio,
assicurando con la propria presenza, e facendo mostra della paletta d’istituto, il buon fine del
trasporto, malmenando un rivale di uno degli spacciatori “coperti” il quale in cambio elargiva
una somma di denaro, favorendo l’arresto, su indicazione di uno degli spacciatori “coperti” e
dietro promessa di denaro, di una tunisina “colpevole” di collaborare con la polizia,
consegnandole eroina e chiamando poi le forze dell’ordine perché la arrestassero), non si
comprende come queste avrebbero potuto – come invece prospetta il ricorrente – svolgere il
ruolo di specificare preventivamente il contenuto dell’ultima parte della imputazione, cioè
dell’addebito omissivo. La condotta omissiva che, come riconosce anche il motivo in esame,
era comunque già contestata nel capo d’imputazione è stata quindi ritenuta sussistente dalla
corte territoriale senza ledere il principio della correlazione tra contestazione e sentenza, e in
quest’ultima non è ravvisabile alcuna violazione del contraddittorio, avendo chiaramente la
corte territoriale indicato che la condotta criminosa consisteva nel fatto che l’imputato “in
plurime occasioni” si tratteneva con i due spacciatori da lui “coperti” “nei luoghi di spaccio in

prevalendo la sostanza sulla forma, la descrizione del fatto compensava il mancato riferimento

cui essi operavano e, pur avendo piena consapevolezza dell’illecita attività penalmente
rilevante da questi realizzata, ha costantemente omesso il doveroso intervento per impedirla
ed assicurare il corpo di reato ed i responsabili alla giustizia” (motivazione, pagina 12): e ciò
corrisponde, senza alcun dubbio, a una interpretazione logicamente adeguata dell’ultima parte
del capo d’imputazione, per cui, appunto, gli imputati venivano meno ai propri doveri funzionali
e tolleravano consapevolmente, senza troncarli, i traffici criminali che si svolgevano sotto i loro
occhi. Il motivo risulta pertanto infondato.

quinto e il sesto, perché tutti censurano l’apparato nnotivativo offerto dalla sentenza d’appello a
fronte di quello per gli stessi fatti fornito dalla sentenza di primo grado. Non può non
ricordarsi, allora, che la fattispecie in esame è, per quanto riguarda il capo di imputazione per
cui l’imputato è stato condannato in secondo grado, il contrario della c.d. doppia conforme:
mentre in quest’ultima, qualora i criteri valutativi siano omogenei, le due sentenze di merito
godono di una reciproca integrazione motivazionale (in tal senso v. Cass. sez. III, 16 luglio
2013 n.44418; Cass. sez. III, 1 dicembre 2011-12 aprile 2012 n. 13926; Cass. sez. H, 10
gennaio 2007 n. 5606; Cass. sez. III, 1 febbraio 2002, n. 10163; Cass. sez. I, 20 giugno 2000
n. 8868), – il che affievolisce, entro certi limiti, l’obbligo motivatìvo del giudice d’appello -,
qualora la sentenza d’appello riformi una sentenza di assoluzione nel senso della condanna
l’obbligo motivazionale viene incrementato proprio dalla presenza di una motivazione, quella di
primo grado, che ha sorretto un accertamento difforme.
Secondo consolidata giurisprudenza (che trova fondamento in S.U. 12 luglio 2005 n. 33748),
invero, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di
delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e di confutare
specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, così dando
conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza che ne giustificano la riforma.
Dinanzi a un precedente difforme, quindi, il giudice d’appello, che pure ha il potere di pervenire
ad una ricostruzione del fatto totalmente diversa da quella effettuata dal primo giudice (Cass.
sez. IV, 7 luglio 2008 n. 37094), non potendosi non attribuire una connotazione di potenziale
stabilità al primo accertamento giurisdizionale, non può sorreggere la nuova versione fattuale
rapportandosi esclusivamente alle argomentazioni delle parti né tanto meno avvalendosi dello
strumento (applicabile invece agli atti difensivi e alle risultanze probatorie, peraltro non
decisive: Cass. sez. IV, 13 maggio 2011 n. 26660 e Cass. sez. VI, 4 maggio 2011 n. 20092)
della motivazione implicita, occorrendo che comunque si confronti con modalità specifiche e
complete con la struttura accertatoria impiantata dal giudice di primo grado (Cass. sez. VI, 29
aprile 2009 n. 22120), dimostrandone l’insostenibilità sul piano logico e giuridico quantomeno
sugli argomenti più rilevanti e comunque stendendo una motivazione completa e convincente
che si sovrapponga a tutto campo su quella del primo giudice (Cass. sez. V, 5 maggio 2008 n.
35762) per giustificare la sostituzione dell’accertamento. Pertanto, in caso di riforma n

3.2 Dei successivi motivi, possono essere accorpati nel vaglio il secondo, il terzo, il quarto, il

dilatandosi il controllo di legittimità della sentenza d’appello alla decisione di primo grado,
bensì circoscrivendosi al confronto tra le due motivazioni nel senso di verifica dell’adeguata
confutazione effettuata dal secondo giudice delle ragioni poste a base della sua decisione dal
primo (Cass. sez. VI, 7 aprile 2011 n. 26810), a sua volta il ricorrente ha l’obbligo di indicare
specificamente i passaggi argomentativi della prima sentenza non confutati e al contrario
decisivi al fine di una diversa deliberazione (Cass. sez. VI, 14 aprile 2011 n. 18081): obbligo
che il ricorrente in questo caso ha adempiuto con i motivi in esame, che indicano i vari tratti

fronteggiati e smontati nella sentenza di secondo.
In effetti, laddove la sentenza del Tribunale – complessivamente assai ampia e accurata – ha
affrontato in modo del tutto specifico l’esito del compendio probatorio relativamente al capo di
imputazione in esame (in motivazione, pagine 37-47), partendo dalla non corrispondenza
completa dei fatti contestati con quelli risultati dalle stesse indagini preliminari, per affrontare
poi la questione di un accordo preventivo tra gli imputati e i due spacciatori che questi
avrebbero “coperto” – accordo preventivo che al giudice di prime cure risulta non essere stato
neppure ipotizzato dall’accusa, che avrebbe invece “cercato di provare…singoli episodi (di
protezione, di copertura, di intimidazione)” -, esaminare poi assai analiticamente la credibilità
del teste Kasdhallah e della imputata di reato connesso Karkoub e raggiungere un esito
negativo per entrambi, così concludendo, anche alla luce delle dichiarazioni di Brinis Radhovan
(cioè di uno degli spacciatori tunisini che sarebbero stati protetti) e di un ulteriore episodio
relativo a un tossicodipendente di nome Benedetti Gianni, nell’affermare che dal compendio
probatorio non era risultato un concorso dell’imputato nelle attività di spaccio dei Brinis,
quanto piuttosto la corruzione del pubblico ufficiale, cioè la “disponibilità ad aiutarsi
reciprocamente, gli uni per continuare a spacciare liberamente, l’altro perché se quelli
continuavano a “lavorare” continuavano anche a rifornirlo” (motivazione della sentenza di
primo grado, pagina 47, che evidentemente rileva pure sotto l’aspetto omissivo del reato).
A fronte di questo elaborato apparato motivativo, d’altronde del tutto esente da manifeste
illogicità, la corte territoriale non ne ha costruito un altro alternativo di proporzionale specificità
e rigore, in sostanza non confutando le varie argomentazioni del Tribunale in modo completo
ed adeguato, bensì limitandosi a prospettare una diversa versione dei fatti in modo
complessivamente sintetico fino a sfiorare la genericità. Di questa il fondamento viene
individuato nella attendibilità dei due chiamanti in correità, cioè dei fratelli Brinis, cui vengono
posti a sostegno in rapido esame alcuni riscontri differenti da quanto esaminato a proposito del
capo H dal Tribunale (motivazione della sentenza d’appello, pagine 10-12), per sfociare in una
asserzione della responsabilità dell’imputato nel senso che questo “in plurime occasioni” si
sarebbe trattenuto con i due suddetti nei luoghi in cui questi spacciavano senza adempiere ai
propri doveri; sussistono poi, nelle pagine successive, alcuni altri assai sintetici riferimenti
relativi alla Karkoub e al Benedetti, senza peraltro ripercorrere l’iter argonnentativo della

della sentenza di primo grado che non sono stati, secondo il ricorrente, adeguatamente

sentenza di prime cure per confutarne i passaggi ed identificare i tratti non condivisibili in
modo specifico.
In conclusione, non può ritenersi che, in adempimento del suo obbligo di intensa
giustificazione della riforma in senso di condanna, il giudice d’appello abbia realmente
“smontato” l’apparato motivativo che aveva condotto alla assoluzione il giudice di primo grado,
per cui i motivi in esame risultano fondati, in quanto il vizio motivazionale denunciato sussiste.
Assorbiti pertanto i residui motivi, la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione
della Corte d’appello di Bologna.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna.

Così deciso in Roma il 2 dicembre 2014

Il Presidente

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