Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 39039 del 15/04/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 39039 Anno 2013
Presidente: SERPICO FRANCESCO
Relatore: CARCANO DOMENICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MALVASO ROSARIO N. IL 15/09/1944
avverso l’ordinanza n. 5/2013 TRIB. LIBERTA’ di MATERA, del
28/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOMENICO
CARCANO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. .Fr~csu2, c_o

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Data Udienza: 15/04/2013

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Ritenuto in fatto
1.Rosario Malvaso propone ricorso contro l’ordinanza del Tribunale di Matera che, in
funzione di giudice per il riesame di applicazione di misure cautelari reali, ha confermato il
sequestro per equivalente a fine di confisca di disposto nei suoi confronti dal giudice per le
indagini preliminare del medesimo tribunale, ritenendo sussistente il fumus commissi delicti in
ordine a ipotesi di peculato e falso formulate dal pubblico ministero e consistenti.
Il giudice del riesame ha ritenuto la sussistenza degli elementi richiesti per il sequestro

complessivamente a C 828.839,30 nonché dei beni mobili registrati e di beni immobili indicati
specificamente nell’allegato al provvedimento di sequestro.
1.1.Quanto alle ipotesi di peculato e di falso ascritte a Rosario Malvaso, addetto all’ufficio
tecnico del Comune di Pisticci, il giudice del riesame condivide l’ipostazione del pubblico
ministero poi recepita dal giudice per; le indagini preliminari, e fondata essenzialmente su
quanto descritto nella sentenza 4 luglio 2012 della Corte dei Conti che ha accolto le conclusioni
riportate dal Procuratore Regionale presso la stessa Corte secondo cui Rosario Malvaso – in
concorso con altro impiegato Umberto Giorgetti addetto all’ufficio ragioneria del Comune
Matera e con la complicità di imprenditori e in particolare modo del titolare della ditta Del
Monte Adriano – si sarebbe appropriato di somme determinate in C 1.105.524,76.
Il giudizio contabile è fondato su articolate indagini della Guardia di Finanza, disposte dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Matera, dalle quali sono è emerse molteplici
“determinazioni irregolari” mediante le quali sono state accertate – come già si è detto liquidazioni di ingenti somme in favore di un limitato gruppo di ditte.
Il giudice del riesame sintetizza l’esito del giudizio contabile nel quali si precisa che le
irregolarità delle liquidazioni sono emerse da un’analisi dei registri custoditi nei vari settori
interessati del comune di Pisticci. In ‘particolare, è stato accertato una”duplicazione” delle
determine di liquidazione riconducibili a due settori del Comune di Pisticci – settore 1,
Segreteria • e settore IV – tecnico, irregolarità consistenti in un artefatta corrispondenza
numerica con oggetti differenti e con il richiamo di spesa non pertinente e in alcuni casi
inesistente, mentre in altri casi gli impegni di spesa assunti sono stati “artatamente gonfiati”
nel loro ammontare oppure del tutto rigenerati per consentire la liquidazione di somme in
favore delle imprese. Il tutto era predisposto per fare emergere una parvenza di legittimità agli
atti di liquidazione, indicativi della non effettiva realizzazione dei lavori.
2.11 giudice del riesame ha rigettato l’inutilizzabilità dedotta dai difensori di Malsaso
secondo cui l’esito dell’analisi degli hard disk installati su Pc dislocati presso gli uffici del
Comune di Pisticci era da considerarsi atto a natura irripetibile e, pertanto da effettuarsi
mediante accertamento peritale, con la partecipazione degli interessati e della difesa.
Per la difesa i fatti accertati configuravano il delitto di truffa e non quello di peculato,
trattandosi di atti formati da impiegati del Comune che non avevano disponibilità di danaro e
realizzati mediati strumenti fraudolenti.

preventivo disposto fino alla concorrenza delle somme indicate nelle imputazioni corrispondenti

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La difesa ha dedotto che non avrebbe potuto essere disposto sequestro per equivalente, in
quanto per il delitto di peculato non è previsto tale sequestro del profitto, bensì soltanto del
prezzo del reato.
A fronte di tali motivi tra i quali anche quello che gli immobili sequestrati a Malvaso erano
di proprietà dei figli, il giudice del riesame ha ritento che le condotte realizzata realizzavano il
delitto di peculato commesso in concorso con i diversi imprenditori che a loro volta
corrispondevano danaro a Malvaso e Giorgetti per le utilità ricevute.

non possono essere ricondotti alle nozioni civilistiche, rileva che si ha disponibilità rilevante ai
fini del peculato non soltanto là dove di abbia la materiale disponibilità di danaro,ma anche
quella giuridica. In forza della quale il pubblico ufficiale mediate atti adottati nell’ambito della
propria competenza si appropria di somme di danaro.
Anche con riferimento alle ragioni d’ufficio cui è ricollegato il possesso, ad avviso del
tribunale, va inteso nel senso che le stesse sussistano allorché il pubblico ufficiale abbia fatto
proprie competenze di altri agenti pubblici., ove ciò sia conforme a prassi amministrativa.
Nell’ordinanza impugnata si pone in rilievo che non vi dubbio sulla sussistenza del dolo
generico richiesto per la configurazione del reato.
Quanto alla distinzione tra truffa e peculato, il giudice di riesame, indica pronunce di
legittimità secondo cui nel peculato il pubblico ufficiale ha già il possesso di danaro anche solo
mediato e gli artifici e raggiri sono realizzati soltanto per effettuare l’illegittima appropriazione
oppure per occultarla; mentre nella truffa gli artifici e raggiri sono lo strumento per ottenere il
possesso o la disponibilità del danaro che il pubblico ufficiale non ha.
In applicazione di tali principi, i fatti accertati dagli organi di polizia della Guardia di
Finanza e sintetizzati nella sentenza della Corte dei Conti sono riconducibili alla fattispecie di
peculato.
Malvaso e Giorgetti, quali impiegati addetti al’uffici tecnico e all’ufficio ragioneria, avevano
a disponibilità giuridica del danaro, anche se i mandati da loro predisposti in favore dei vari
imprenditori erano poi firmati dal dirigente o dal funzionario competente a emetterli. Si
trattava però di atti finali, conseguenti a una lunga istruttoria cui erano addetti Giorgetti e
Malvasi in forza di prassi consolidate all’interno del Comune di Pisticci, per le carenze di
controlli da parte dei dirigenti di settore. Dalle indagini è emerso che le determine di
liquidazione e i mandati di pagamenti erano predisposti da Malvaso e Giogetti da costoro
sottoposti ai dirigenti competenti che a loro volta in buona fede provvedevano a firmarli senza
verificarne la congruità. Ne discende che i due indagati, ad avviso del giudice del riesame,
devono rispondere di tali condotte di peculato anche a norma dell’art.48 c.p., come in casi
analoghi affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
2.1. Quanto al sequestro per equivalente, premesso il principio di diritto affermato dalle
Sezioni unite che limita nel ipotesi di peculato tale tipologia di sequestro al solo prezzo del
reato e non anche al profitto, il giudice del riesame ritiene che nella concreta fattispecie si è in

Al riguardo, il giudice del riesame, premesso che la disponibilità e il possesso del reato

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presenza di “prezzo” del reato da intendersi quale compenso dato promesso a un soggetto a
titolo di corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito.
Le modalità di svolgimento dei fatti, nei limiti di accertamento orientato al fumus, sono
caratterizzata dal fatto che i due impiegati abbiano determinato un’indebita corresponsione di
danaro nei confronti di imprenditori, non per spirito di liberalità, bensì per un preciso
tornaconto economico e cioè l’intenzione di spartire con gli imprenditori complici i proventi
della condotta illecita.

stato determinante in eguale misura e può presumersi, allo stato che abbiano diviso in misura
uguale i proventi illeciti dei mandati di pagamento emessi in favore degli imprenditori e che la
somma ricevuta da Giorgetti e Malvasi stata loro materialmente girata a titolo di corrispettivo
dell’esecuzione dell’illecito.
Quanto al rilevo della difesa secondo cui gli immobili sequestrati sono intestati a figli
dell’indagato, il giudice de riesame ritiene che la stretta relazione di parentela con i cessionari
di tali beni immobili, induce a ritenere la natura liberale e gratuita, tenuto conto che gli atti
sono stati effettuati quando già era in pendenza il procedimento penale e sono pertanto da
ritenere mezzi volti all’elusione di una eventuale confisca.
Anche la con titolarità del libretto nominativo ordinario con persona estranea al reato, e
cioè alla moglie di Malvaso, è infondata, poiché si tratta di beni che comunque rientrano nella
disponibilità dell’indagato, non potendosi applicare i criteri civilisti relativi alla solidarietà tra
creditori e debitori o alle disposizioni che regolano i rapporti bancari.

2. La difesa di Rosario Malvaso deduce:
-violazione di legge, per l’insussistenza dei presupposti richiesti ai fini del sequestro
preventivo non configurandosi il delitto di peculato.
Ad avviso del ricorrente, i fatti emersi dalle indagini ed esposti nell’imputazione, in base
alla giurisprudenza di legittimità, non avrebbero potuto configurare il delitto di peculato, bensì
quello di truffa.
Le modalità della condotta sono tipiche del delitto di truffa. I due impiegati hanno agito
con artifici e raggiri, mediante la predisposizioni di atti falsi, e in tal modo sottoponendo ai
dirigenti competenti i mandati o le liquidazioni per la firma.
Sono gli esiti delle indagini svolte a dare conferma della modalità della condotta, peraltro
descritta nella stessa ordinanza impugnata.
Per tali ragioni non vi il fumus del delitto di peculato e non avrebbe potuto essere disposto
il sequestro ex art.322 ter c.p.
A differenza di quanto sostenuto dal giudice del riesame, i fatti esposti nell’imputazione
escludono che la condotta fraudolenta sia stata finalizzata a nascondere e mascherare il reato,
bensì essa era diretta ad acquisire la disponibilità materiale e giuridica del danaro.

Per il giudice del riesame, il ruolo svolto dai pubblici ufficiali e dagli imprenditori complici è

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-violazione di legge per insussistenza dei presupposti per disporre il sequestro ex art.322
ter c.p.
Ad avviso del ricorrente, non avrebbe potuto essere disposto il sequestro per equivalente
previsto solo per il prezzo e non anche per il profitto del delitto di peculato.
Il profitto è il vantaggio economico conseguito in via diretta e immediata dalla condotta
illecita, a differenza del prezzo che si concretizza nelle utilità dati o promessi al reo per
commettere il reato.

liquidazione con conseguenti mandati di pagamento in favore degli imprenditori compiacenti
per incassare le somme poi suddivise tra i correi. Vantaggio che non ha nulla a che vedere con
il prezzo del reato.
Non vi dubbio che quelle somme costituivano il profitto del reato secondo la nozione
indicata dalla giurisprudenza più volte pronunciatasi al riguardo.
-violazione di legge per insussistenza dei presupposto richiesti per disporre il sequestro
preventivo su beni appartenenti a terzi.
L’art.322 ter c.p. consente il sequestro dei beni appartenenti a reo se trattasi di prezzo del
reato e dei beni di cui il reo ha la disponiblità nel caso di confisca per equivalente.
Il giudice del riesame ha in realtà ritenuto che i beni intestati ai figli di Malvasi fosse frutto
di una simulazione perché compiuti quando egli era a conoscenza delle indagini.
Per la difesa, il sequestro finalizzalo alla confisca per equivalente è stato disposto senza
che esistesse alcun prezzo del reato.
La confisca per equivalente è legittima solo quando sia possibile procedere alla confisca del
prezzo e ciò richiede l’accertamento preliminare circa l’esistenza di un bene costituente il
prezzo la cui confisca sia impedita da un fatto sopravvenuto che ne abbia determinato la
perdita.
La disposizione dell’art.322 ter c.p. richiede che vi sia un bene nella disponibilità del reo;
disponibilità da intendere in senso giuridico e cioè il diritto di disporre o utilizzare.
Nella concreta fattispecie è stato sequestrato un bene che è nella disponibilità giuridica e
materiale del figlio di Malvasi, del quale quest’ultimo non avrebbe potuto disporre
materialmente e giuridicamente.

Considerato in diritto
1.11 ricorso è infondato.
La prima questione che si pone riguarda la configurabilità del delitto di peculato, poiché le
condotte di Malvaso potrebbero integrare il delitto di truffa.
La ricostruzione dei fatti, operata dal giudice che ha disposto il sequestro e confermata dal
giudice del riesame, non può che ricondurre gli episodi oggetto dell’ipotesi d’accusa al delitto di
peculato.

Nella fattispecie concreta, appare evidente che Malvasi ha realizzato false determine di

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Non può che concordarsi con le conclusioni raggiunte dal giudice del riesame secondo cui
la disponibilità e il possesso del reato non possono essere ricondotti alle nozioni civilistiche e
ciò comporta che si ha disponibilità rilevante ai fini del peculato non soltanto là dove si abbia la
materiale disponibilità di danaro, ma anche quella giuridica.
Qualora l’agente pubblico, anche in virtù di prassi consolidate nell’organizzazione
dell’ufficio, abbia adottato, nell’ambito della propria competenza, atti di disposizione di danaro
pubblico non può che ritenersi integrato il reato di peculato.

avevano la disponibilità giuridica del danaro, anche se i mandati da loro predisposti in favore
dei vari imprenditori erano poi firmati dal dirigente o dal funzionario competente a emetterli.
Le pratiche trattate da entrambi, pone in rilevo il giudice del riesame, richiedevano
accurate e lunghe istruttorie da parte di entrambi e gli atti di disposizione da loro predisposti
erano poi sottoposte alla firma dei dirigenti competenti.
Le determine di liquidazione e i mandati di pagamenti erano predisposti da Malvaso e
Giorgetti da costoro sottoposti ai dirigenti competenti che a loro volta in buona fede
provvedevano a firmarli senza verificarne la congruità. Ne discende che i due indagati, ad
avviso del giudice del riesame, devono rispondere di tali condotte di peculato anche a norma
dell’art.48 c.p., come in casi analoghi affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
La giuridica qualificazione dei fatti accertati è, dunque, riconducibile al delitto di peculato
anche là dove la disponibilità del danaro si acquisisca attraverso un

iter procedimentale,

seguito per la trattazione di una determinata pratica che si concluda a opera di più agenti
pubblici.
Questa Corte si espressa nel senso che, ai fini della configurabilità del delitto di peculato, il
possesso del denaro della pubblica amministrazione può essere anche mediato e far capo
congiuntamente a più pubblici ufficiali qualora le norme interne dell’ente pubblico prevedano
che l’atto dispositivo sia posto in essere con il concorso di più organi( Sez. VI, 8 novembre
1971, dep. 18 gennaio 1972, n. 139; Sez.VI, 11 gennaio 1996, dep. 4 giugno 1996, n. 5502).
E’ proprio il caso delle procedure per la formazione dei titoli di spesa nel cui ambito può
essere chiamato a rispondere di peculato anche il funzionario che abbia istruito la pratica che
legittima l’erogazione del da danaro cui è chiamato altro funzionario-dirigente della pubblica
amministrazione.
2. Altro profilo posto dalla difesa è quello diretto a contestare la sussistenza delle
condizioni che legittimano il sequestro per equivalente, limitato al prezzo e non anche al
profitto del reato.
Anche qui, va rilevato il corretto ragionamento giuridico svolto dal giudice del riesame nel
senso che là dove il peculato sia compiuto per ottenere danaro in favore di un terzo – anche se
concorrente o meno del delitto – e questi “spartisca” con l’agente pubblico il danaro
illecitamente ottenuto, appare chiaro che tale danaro costituisca il “prezzo” del reato e non il
profitto. L’imprenditore, determinatore o istigatore della condotta, versa al funzionario parte

Malvaso e Giorgetti, erano addetto all’ufficio tecnico e all’ufficio ragioneria e per tal motivo

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del danaro, ricevuto mediante una illecita disposizione dell’ente erogatore, a titolo di “prezzo”
per la condotta di peculato dallo stesso realizzata.
Corretto, dunque, il sequestro per equivalente.
3. Quanto alle altre censure e all’impianto complessivo dell’ordinanza impugnata, va
rilevato che trattasi di questioni che attengono a scelte di merito compiute dal giudice
cautelare.
Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni unite e del

materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale
nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi
della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del
provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice
(Sez. un., 29 maggio 2008, dep. 26 giugno 2008, n.25932).
Nella specie non ricorre ne’ una ipotesi di violazione di legge ne’ l’altra, di apparenza della
motivazione.
Il decreto di sequestro probatorio é sorretto da una motivazione che, per quanto
riassuntiva o schematica, coniugai al ragionevole delinearsi di ipotesi criminose l’enunciazione
descrittiva dell’impostazione dell’accusa e ne esamini il fumus anche attraverso gli elementi in
concreto posti dalle parti.
Il giudice del riesame, nel confermare il provvedimento di sequestro preventivo, ha
precisato, come si è già esposto in narrativa, la descrizione dei fatti illeciti ascrivibili
all’imputato e l’enunciazione delle ragioni per le quali è stato disposto il sequestro delle somme
di danaro e altri titoli di credito.
I motivi di ricorso sono volti a ottenere una rivalutazione delle ragioni poste a fondamento
del sequestro e, per tal motivo, a incidere su scelte di merito espresse con il provvedimento
genetico e poi chiarite dal giudice del riesame.
4. Quanto al sequestro di beni appartenenti a terzi, la censura è da ritenersi inammissibile,
poiché non spetta all’attuale ricorrente contestare la legittimità di tale provvedimento ablativo,
bensì a terzi interessati, legittimati a rivendicare la titolarità dei beni.
5. Il ricorso va, dunque, rigettato e, a norma dell’art.616 c.p.p., il ricorrente va
condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2013
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DEPOSITATO IN CANCELLERIA

resto in linea con la lettera della legge, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in

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