Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 39006 del 06/03/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 39006 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: ESPOSITO LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VITALE SALVATORE N. IL 18/06/1968
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 35/2012 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 04/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
lette/septfte le conclusioni del PG Dott. ()Lo
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Data Udienza: 06/03/2014

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza in data 4/1/2013 la Corte di Appello di Catanzaro rigettava la
richiesta di riparazione proposta da Vitale Salvatore per l’ingiusta detenzione
sofferta in carcere dal 10/7/2007 al 9/1/2008 e agli arresti domiciliari fino al
22/7/2010. Il Vitale, indagato per il reato di partecipazione ad associazione di
stampo mafioso, era stato definitivamente assolto dall’accusa dalla Corte d’Appello

1.2.La Corte territoriale ravvisava colpa grave ostativa alla riparazione nei
comportamenti tenuti dall’istante, per come accertati nella sentenza assolutoria,
consistenti nell’aver intrattenuto fitti rapporti con Lovato Samuele, il quale gestiva
numerosi conti correnti, intestati al ricorrente ma riconducibili all’organizzazione
mafiosa di Forastefano Antonio, con il quale pure il Vitale intratteneva rapporti
personali. Altro profilo di colpa era ravvisato nell’essersi il ricorrente avvalso della
facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia.
2. Avverso la richiamata ordinanza propone ricorso per cassazione il ricorrente, a
mezzo del difensore, deducendo violazione ed erronea applicazione di legge, oltre a
mancanza e illogicità della motivazione con riferimento al ritenuto concorso colposo
all’emissione del titolo custodiale. Evidenzia che il diritto al silenzio e alla reticenza
è garantito dall’ordinamento e insindacabile, sicché dal silenzio serbato non possono
trarsi implicazioni negative per l’imputato.
3. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha rilevato l’infondatezza del
ricorso, chiedendone il rigetto. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con
propria memoria, ha formulato la medesima richiesta.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.
Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito,
per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo
o colpa grave, deve considerare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi
probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che
rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice
deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta
tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine
di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del
tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale
2

di Catanzaro “per non aver commesso il fatto”.

condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia
ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del
26/06/2002, dep. 15/10/2002, De Benedictis, Rv. 222263). Il giudice della
riparazione, cioè, ben può rivalutare, ai fini dell’accertamento del diritto alla
riparazione e non della penale responsabilità, i fatti accertati o non esclusi dai

dep. 14/07/2010, Rv. 247867). La giurisprudenza di legittimità ha chiarito, inoltre,
che il piano valutativo del tutto diverso tra le condotte da considerare per la
sussistenza delle condizioni per la liquidazione dell’equo indennizzo e gli elementi
posti a base della decisione da parte del giudice della cognizione dimostra che tutti
gli elementi probatori devono essere rivalutati, in quanto, pur se ritenuti
insufficienti ai fini della dichiarazione di responsabilità, possono essere tali da
configurare il dolo o la colpa grave, soprattutto nel momento dell’emissione della
misura cautelare personale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10987 del 15/02/2007,
dep. 15/03/2007, Rv. 236508). Condotte rilevanti in tal senso possono essere di
tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) e
di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere
determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) che non siano state escluse
dal giudice della cognizione (cfr., con riferimento alle condotte extra-processuali,
Cass. Sez. 4, Sentenza n. 34656 del 03/06/2010, Rv. 248074: “In tema di
riparazione per l’ingiusta detenzione, la condizione ostativa al riconoscimento del
diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta
carcerazione, deve concretarsi in comportamenti, non esclusi dal giudice della
cognizione, di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica
trascuratezza tali da aver dato causa all’imputazione) o processuale
(autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi), in ordine alla cui
attribuzione all’interessato e incidenza sulla determinazione della detenzione il
giudice è tenuto a motivare specificamente”.
4.1 Ciò premesso, è infondato il motivo d’impugnazione, giacché correttamente il
giudice del merito, in conformità ai parametri giurisprudenziali suindicati, ha
rilevato la sussistenza in capo al ricorrente del comportamento gravemente colposo
– di tipo extra-processuale – nonché del nesso eziologico tra il medesimo e
l’adozione della misura cautelare, ostativi alla concessione dell’indennizzo. La Corte,
infatti, motiva esaurientemente sui comportamenti dell’imputato atti a concorrere a
determinare l’imputazione e la misura custodiale, focalizzando l’attenzione
sull’intestazione fittizia in capo al ricorrente di conti correnti, in realtà facenti capo a
componenti del clan mafioso, su cui transitavano grosse somme in contanti

giudici del merito (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 27397 del 10/06/2010,

riguardo alle quali egli non sapeva fornire alcuna giustificazione, tanto che si era
avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia.
La decisione appare vconforme all’interpretazione giurisprudenziale costante di
questa Corte riguardo all’art. 314 c.p.p., in forza della quale è stata affermata la
rilevanza quale causa ostativa alla riparazione delle “frequentazioni ambigue, ossia
quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di
complicità, quando non sono giustificate da rapporti di parentela, e sono poste in

possono dare luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere
la riparazione” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 363 del 30/11/2007 Rv. 238782).
E’ da osservare, inoltre, che il ricorso contesta essenzialmente le argomentazioni
contenute in sentenza riguardo al silenzio serbato in sede d’interrogatorio, con
rilievi in ordine all’esercizio della facoltà di non rispondere, ma lambisce senza
espressa critica le altre argomentazioni poste a sostegno della decisione, ben più
rilevanti ai fini della configurabilità della colpa grave, che restano, pertanto,
incontestate.
5. Per le ragioni indicate il ricorso va rigettato. Ne segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dal
Ministero resistente, liquidate come da dispositivo.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre
alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi
€ 1.000,00.
Così deciso in Roma il 6-3-2014.

essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti

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