Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3898 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3898 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Napoli
e da Madonna Ivo, n. a Torre del Greco il 20/09/1967;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli in data 12/02/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale F. Salzano, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata limitatamente alla concessione dell’attenuante dell’art. 73
comma 5 e per il rigetto del ricorso proposto dall’imputato;

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli,
ha condannato Madonna Ivo per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del
1990 (per avere detenuto a fini di spaccio grammi 4,814 lordi di eroina con
principio attivo pari a gr. 0,390), riconosciuta l’attenuante del comma 5, alla
pena di anni due di reclusione ed euro 3.000,00 di multa.

Data Udienza: 19/12/2013

2.

Ha proposto ricorso l’imputato lamentando la violazione di legge con

riferimento alla erronea applicazione dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990
essendo stata la condanna basata su mere supposizioni non riscontrate
oggettivamente; in particolare la presenza dell’imputato in un luogo di spaccio
poteva essere interpretata non già come presenza per spacciare, come ritenuto

come invece ritenuto dal Tribunale; del resto il modico quantitativo della
sostanza rinvenuta nella sua disponibilità e l’assenza di attrezzi e strumenti
destinati al taglio e al confezionamento dovevano fare propendere per l’uso
personale dello stupefacente stesso; in ogni caso l’ imputato si trovava non sulla
pubblica via ma all’interno della sua automobile essendo probabile che egli si
fosse appartato per consumare la sostanza comprata poco prima nel quartiere di
Secondigliano.
Ha presentato ricorso anche il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di
Napoli contestando che nei fatti potesse ravvisarsi la concessa attenuante di cui
al comma quinto dell’articolo 73, essendo stati riportati in sentenza una serie di
elementi concernenti l’azione ascritta all’imputato, ovvero il fatto che egli si
trovasse in un ambiente distante da quello della sua dimora, in prossimità di una
scuola quale luogo notoriamente destinato alla cessione di stupefacenti, la
repentinità del suo allontanamento al sopraggiungere dei carabinieri, il numero
delle dosi, l’elevato principio attivo dello stupefacente sequestrato e il precedente
specifico da cui il Madonna è gravato che avrebbero dovuto indurre oltre che ad
affermare la responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli anche ad
escludere la configurabilità della diminuente di cui sopra; osserva che in ogni
caso la Corte ha motivato la concessione dell’attenuante sulla base
semplicemente del “modesto quantitativo”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dell’imputato è fondato, dovendo correlativamente essere rigettato il
ricorso del P.G..
Assolto l’imputato dal Tribunale di Napoli dal reato contestatogli essenzialmente
in ragione della mancanza di prova certa in ordine alla destinazione a terzi dello
stupefacente detenuto, la Corte d’Appello è pervenuta, su appello del P.M., ad
esito condannatorio sul presupposto che le circostanze, già valutate dal giudice
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dalla Corte, quanto come presenza per acquistare stupefacente poi sequestrato,

di primo grado come insufficienti e rappresentate dalla presenza dello stesso in
auto in prossimità di una scuola, dal suo repentino allontanamento al
sopraggiungere dei carabinieri, dal mancato rinvenimento di strumenti idonei al
confezionamento e dall’insussistenza di una dichiarazione di tossicodipendenza,
siano dimostrative, in assenza di una giustificazione da parte dell’imputato circa
l’uso della sostanza, e del ritenuto elevato principio attivo, della destinazione alla

Ciò posto, va ricordato come, alla stregua del costante orientamento espresso da
questa Corte, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria
non basti, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione
del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a
giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o
addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice,
occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni
ragionevole dubbio (tra le altre, da ultimo, Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012,
Berlingeri, Rv. 254725; Sez.4, n. 35922 del 11/07/2012, p.c. in proc. Ingrassia,
Rv. 254617); si è anzi aggiunto che la riforma della sentenza assolutoria di
primo grado, una volta compiuto il confronto puntuale con la motivazione della
decisione di assoluzione, impone al giudice di argomentare circa la configurabilità
del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole
dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano
minato la permanente sostenibilità del primo giudizio (Sez. 6, n. 8705 del
24/01/2013, Farre ed altro, Rv. 254113).
Nella specie la Corte territoriale, non applicando correttamente i principi appena
ricordati, ha, invece, come già visto, semplicemente “rivisitato” in senso
sfavorevole all’imputato lo stesso compendio probatorio preesistente alla
sentenza di primo grado e ritenuto idoneo, in precedenza, secondo un
ragionamento esente da manifeste illogicità, a fondare l’assoluzione di Madonna,
per di più valorizzando nel senso della destinazione a terzi, una circostanza
(ovvero la indisponibilità di strumenti da taglio) dal punto di vista logico idonea a
deporre, semmai, per l’uso personale, ed imputando all’imputato, quale
definitivo suggello della prova della responsabilità e quale elemento capace di
“segnare” la differenza rispetto al giudizio di primo grado, la mancanza di
dichiarazioni contra se, senza considerare che non è la difesa a dover dimostrare
la destinazione all’uso personale della droga detenuta, ma è l’accusa che,
secondo i principi generali, deve dimostrare la detenzione della droga per un uso
diverso da quello personale (tra le tante, Sez. 6, n. 19047 del 10/01/2013, P.G.
in proc. Grillo, Rv. 255165).
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cessione a terzi.

Ugualmente illogica appare poi la valorizzazione del ritenuto “elevato principio
attivo” pur in presenza della ravvisata circostanza attenuante del comma 5
dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio ad altra Sezione della
Corte d’Appello di Napoli per nuovo giudizio che, motivando in termini congruenti

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata quanto al ricorso proposto da Madonna Ivo e
rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli; rigetta il ricorso del P.G.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2013

Il Co igliere est.

Il Presidente

e logici, tenga conto dei principi sopra ricordati.

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