Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3896 del 12/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3896 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RINALDI EUGENIO TERZO N. IL 25/03/1948
LUPO GISELLA MARIA DELFINA N. IL 18/01/1952
avverso la sentenza n. 719/2012 CORTE APPELLO di LECCE, del
07/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
_ (-• _
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

a

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 12/11/2013

21748/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 7 novembre 2012 la Corte d’appello di Lecce, a seguito di appello
proposto da Rinaldi Eugenio Terzo e Lupo Gisella Maria Delfina avverso sentenza del 9 marzo
2011 con cui il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Fasano, li aveva condannati alla
pena di mesi nove di reclusione per i reati di cui agli articoli 110 c.p., 31, 44, lettera c), d.p.r.
380/2001 (capo a) e 110 c.p., 181, commi 1 e 1 bis, lettera a), d.lgs. 42/2004 (capo b), in
parziale riforma, dichiarava prescritto il reato di cui al capo a), rideterminando la pena in otto

2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo due motivi. Il primo denuncia violazione
degli articoli 521 e 522 c.p.p. Nel decreto di citazione il reato di cui al capo a) era contestato
ex articoli 110 c.p., 31, 44, lettera c), d.p.r. 380/2001 perché, in totale difformità del
permesso di costruire e in assenza di permesso, erano stati eseguiti interventi di
trasformazione urbanistica ed edilizia mediante la completa demolizione di un trullo e di due
alcove preesistenti e la realizzazione di una nuova costruzione. Il reato di cui al capo b) era
contestato, invece, come ésecuzione, in totale difformità dal permesso di costruire, di lavori
consistiti nella completa demolizione di un trullo e di due alcove e nella nuova costruzione di
un corpo di fabbrica rettangolare, di un corpo di fabbrica irregolare e di un portale ad arco per
l’accesso alle nuove strutture. Le difformità rispetto al permesso a costruire integravano i reati
e su di esse si era incentrata l’istruttoria. La corte territoriale invece non sarebbe entrata nel
merito della difformità, ma avrebbe introdotto il mai contestato articolo 32 d.p.r. 380/2001,
fondandosi su di esso anziché sull’articolo 31 d.p.r. 380/2001, e ritenendo così irrilevanti gli
argomenti difensivi sulla volumetria non modificata. In tal modo sarebbe stato violato il diritto
di difesa. Il secondo motivo denuncia vizio motivazionale perché, fondandosi sull’articolo 32
d.p.r. 380/2001, la corte non avrebbe motivato sulle argomentazioni dell’atto d’appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.

mesi di reclusione.

I due motivi possono essere congiuntamente vagliati, perché, il primo dal punto di vista della
violazione di legge processuale, il secondo dal punto di vista motivazionale, entrambi
censurano la corte territoriale per essersi discostata dai capi di imputazione, fondando la
condanna sull’articolo 32 d.p.r. 380/2001, cui questi non facevano riferimento.
Premesso che, come insegna consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, ai fini di
consentire l’esercizio del diritto di difesa nella imputazione rileva la descrizione del fatto
contestato, non incidendo il riferimento alle norme di diritto (Cass. sez. III, 19 febbraio 2013
n. 22434; Cass. sez. VI, 16 settembre 2004-13 gennaio 2005 n. 437; S.U. 1 agosto 2000 n.
18), la formulazione dei capi di imputazione non rende fondato quanto adduce il ricorso. Il
capo a), infatti, fa riferimento agli articoli 110 c.p., 31 e 44, lettera c), d.p.r. 380/2001

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contestando agli imputati di avere “in totale difformità dal…permesso di costruire…ed in
assenza di permesso” eseguito “interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio
mediante la completa demolizione del trullo e delle due alcove a piano terra preesistenti e la
nuova costruzione” di due corpi di fabbrica e di un portale, interventi “censistenti in volumi
edilizi non indicati nel progetto e tali da costruire organismi edilizi con specifica rilevanza ed
autonomamente utilizzabili”. Il capo b), riferendosi agli articoli110 c.p., 181, commi 1 e 1 bis,
lettera a), d.lgs. 42/2004, descrive la condotta incriminata come esecuzione, in difformità
rispetto al permesso di costruire ottenuto e in assenza di permesso, di “lavori consistiti nella

costruzione” di un corpo di fabbrica rettangolare, di un corpo di fabbrica di forma irregolare e
di un portale a forma di arco per l’accesso alle nuove strutture. In entrambi i casi, dunque,
sono chiaramente contestate la demolizione del trullo e delle due alcove preesistenti e la
costruzione di un edificio nuovo, mentre secondo il ricorso sarebbero “penalmente rilevanti
solo le difformità nelle modalità di esecuzione dei lavori edili rispetto ai limiti ed alle
misurazioni previste nel permesso a costruire”. La corte territoriale ha svolto un’accurata
analisi (motivazione, pagine 6 ss.) di quel che ha definito il “merito della vicenda” in rapporto
alle doglianze proposte nell’atto d’appello. Ha rilevato che dalle risultanze dell’istruttoria
dibattimentale era emerso come “le opere realizzate eccedessero i limiti imposti dal permesso
di costruire n. 91 del 6. 12. 2005 rilasciato dal Comune di Cisternino, relativo alla
ristrutturazione del trullo e alla costruzione a piano terra di un piccolo vano abitativo ed
accessorio per permettere la conservazione e la salvaguardia dell’intera struttura”, laddove la
Polizia Municipale aveva accertato la completa demolizione del trullo originario, cui erano
annesse due alcove, con realizzazione in sua vece di un edificio “che gli agenti operanti hanno
distinto, per praticità, in due corpi di fabbrica, uno rettangolare e con copertura a cuspide già
realizzata, ed uno di forma irregolare privo di copertura”. E qui la corte pone a specifico
raffronto gli esiti istruttori con quello che definisce “l’argomento centrale degli appelli”, cioè
l’affermazione che il trullo originario non fu volontariamente demolito ma oggetto di un crollo
accidentale, per cui gli imputati avrebbero deciso di ricostruirlo secondo il permesso n. 91 del
2005, tanto che le dimensioni e la volumetria dell’opera realizzata a tale permesso

completa demolizione del trullo e delle due alcove a piano terra preesistenti e nella nuova

corrispondevano “ed anzi erano leggermente inferiori”. Osserva allora la corte territoriale che
“anche nel caso di crollo accidentale gli imputati non avrebbero mai potuto procedere alla
ricostruzione del trullo” perché anche in tal modo avrebbero effettuato un intervento di nuova
costruzione e non un restauro, in una zona in cui gli strumenti urbanistici vietavano interventi
di nuova costruzione. Quindi l’intervento edilizio contestato ed accertato è stato “effettuato in
totale difformità dal permesso di costruire” risultando “qualificabile come mutamento delle
caratteristiche dell’intervento edilizio assentito (da risanamento a nuova costruzione), ipotesi
prevista dall’art. 32, comma 1, lett. d),D.P.R. 380/01” che elenca le variazioni essenziali al
permesso di costruire, tenuto conto altresì che lo stesso articolo 32, al comma 3, stabilisce che
gli interventi di cui al suo comma 1 “su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico,

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architettonico, archeologico, paesistico ed ambientale…sono considerati in totale difformità dal
permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44”. È in conseguenza di questo, cioè del
fatto che, sostanzialmente, gli imputati – adducendo che il trullo era crollato incidentalmente si erano difesi ammettendo di avere realizzato una costruzione nuova, che la corte territoriale,
invero, giudica “irrilevanti i rilievi difensivi circa l’identità di volumetria tra il fabbricato
realizzato e quello oggetto del permesso” poiché il nucleo dei reati contestati “è costituito
appunto dall’aver realizzato una nuova costruzione in luogo del risanamento di un edificio

argomentazioni appena esposte in rapporto proprio alla prospettazione difensiva degli imputati,
che si fondava sul preteso crollo accidentale del trullo e delle due alcove annesse, adducendo
quindi l’esecuzione di una costruzione del tutto nuova. E la costruzione del tutto nuova, in quel
contesto urbanistico-paesistico, doveva considerarsi, come correttamente ha rilevato il giudice
d’appello, eseguita in totale difformità dal permesso invocato dalla difesa, in forza del
combinato disposto dell’articolo 31 e dell’articolo 44, lettera c), alla luce del terzo comma
dell’articolo 32, d.p.r. 380/2001. Il richiamo all’articolo 32 d.p.r. 380/2001 ha dunque funzione
meramente interpretativa della imputazione completamente descritta sul piano fattuale,
insorta peraltro da un’attenta analisi della prospettazione difensiva adeguatamente (cioè quale
pieno esercizio del diritto di difesa, in nessun modo pregiudicato nel caso concreto) posta in
essere in riferimento ai capi di imputazione. E la motivazione della corte territoriale, nella sua
conformazione analitica e logica, non risulta affetta da vizio di carenza rispetto ai rilievi
d’appello mossi per contestare la totale difformità dal permesso di costruire degli interventi
eseguiti: la corte, invece, come già più sopra evidenziato, ha espressamente spiegato che le
questioni di identità di volumetria tra il manufatto realizzato e quello assentito nel permesso n.
91 del 2005 sono inconferenti perché la costruzione è nuova, anziché qualificabile
ristrutturazione dell’edificio preesistente. Ogni doglianza dei ricorrenti risulta, dunque,
manifestamente infondata.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
con conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese
del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale
emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di
Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
della somma di €1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

esistente”. Da tutto ciò emerge che la sentenza, lungi dal ledere il diritto di difesa, ha svolto le

Così deciso in Roma il 12 novembre 2013

Il Presidente

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