Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38952 del 17/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 38952 Anno 2013
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 17/05/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ermo Salvatore, nato a Napoli il 17.5.1976, avverso la sentenza
pronunciata il 22.12.2011 dal tribunale di Pinerolo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

FATTO E DIRITTO

(A

Con sentenza emessa il 22.12.2011 il tribunale di Pinerolo, in
composizione monocratica, in funzione di giudice di appello,
confermava la sentenza con cui il giudice di pace di Pinerolo, in

ritenuta di giustizia, in relazione ai reati di cui agli artt. 582, 595 e
612, c.p., commessi in danno di Lorenzino Luca, oltre al
risarcimento dei danni derivanti dal reato in favore della persona
offesa, costituita parte civile.
Avverso la decisione del tribunale, di cui chiede l’annullamento, ha
proposto ricorso l’Ermo, a mezzo del suo difensore di fiducia,
articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta i vizi di cui all’art. 606,
co. 1, lett. b), c.p.p., in relazione agli artt. 52, 582, 595, 599 e
612, c.p., nonché il vizio della mancanza e della manifesta
illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in relazione
alla ritenuta responsabilità dell’imputato.
Con il secondo motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta il
vizio di cui all’art. 606, co. 1, lett. c), c.p.p., in relazione agli artt.
20, d. Igs. 274/2000 e 417, c.p.p., con conseguente mancanza e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza pronunciata
dal giudice di secondo grado.
In particolare, evidenzia il ricorrente che le dichiarazioni della
persona offesa e dei testi, su cui si fonda la pronuncia dei giudici
di merito, secondo cui il perito assicurativo Lorenzino fu oggetto,
all’interno del proprio studio professionale, di una brutale
aggressione da parte dell’Ermo, risultano smentite dal contenuto
del referto del pronto soccorso, in cui viene dato atto che
quest’ultimo era stato vittima di un “trauma contusivo” alla spalla

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data 18.3.2011, aveva condannato Ermo Salvatore alla pena

destra “da riferita colluttazione”, costituente oggettivamente una
malattia e, quindi, una lesione, circostanza che conferma la
versione alternativa dei fatti fornita dall’Ermo e dal teste della
difesa Tagliaferri Serena, secondo cui è stato quest’ultimo ad

violenza, stratotipandolo con forza.
Macit -• il
Né riann alcun modo dimostrato all’esito dell’istruttoria
dibattimentale quanto ritenuto dal tribunale in ordine alla
circostanza che le lesioni patite dall’Ermo siano state causate
dall’intervento dei clienti del Lorenzino, in quel momento presenti
nello studio, chiamati a dividere i due litiganti, con conseguente
impossibilità di escludere la tesi difensiva, che riconduce la
condotta dell’imputato nel paradigma normativo della scriminante
della legittima difesa, di cui ricorrono tutti gli elementi costitutivi,
dovendosi, peraltro, escludere che l’Ermo abbia agito sorretto
dalla previsione e dalla volontà di cagionare un evento lesivo (in
realtà mai verificatosi) in danno del Lorenzino.
Il ricorrente, infatti, rileva che, nel caso in esame, tenuto conto di
quanto certificato nella documentazione medica prodotta dal
Lorenzino, non appare configurabile il reato di lesioni personali,
non potendo essere considerata l’iperemia da cui quest’ultimo è
risultato affetto, come un’alterazione o una riduzione funzionale
dell’occhio della persona offesa, le cui dichiarazioni al riguardo,
risultano, peraltro, contraddittorie, avendo il Lorenzino dichiarato
nel corso dell’istruttoria dibattimentale, di essere stato raggiunto
dai pugni indirizzatigli al volto dall’Ermo, laddove nel referto
medico del pronto soccorso redatto il giorno stesso
dell’aggressione (1’8.8.2008), si attesta che il paziente dichiarava
di essere stato colpito da “vari…schiaffi”.

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essere aggredito dal Lorenzino, che lo aveva afferrato con

Identiche considerazioni, continua il ricorrente, valgono anche per
la condanna inflitta all’Ermo per il reato di cui all’art. 612, c.p.,
fondata sulle dichiarazioni convergenti della persona offesa e dei
testimoni di accusa, che, tuttavia, in quanto smentiti, per le

subita dal Lorenzino ad opera dell’Ermo, non possono essere
ritenuti credibili.
Inoltre, rileva il ricorrente, dimostrato documentalmente che è
stato il Lorenzino ad aggredire l’Ermo, il reato di cui all’art. 612,
c.p., non appare configurabile, in quanto sicuramente il perito non
poteva ritenersi intimorito per la propria incolumità dalle parole “ti
ammazzo” che sarebbero state pronunciate dall’imputato nel
momento in cui era sopraffatto dalla violenza esercitata nei suoi
confronti dalla parte civile, e, comunque, anche in questo caso la
condotta dell’Ermo è scriminata ai sensi dell’art. 52, c.p.
Con riferimento, infine, al delitto di cui all’art. 595, c.p., lamenta il
ricorrente il mancato riconoscimento della causa di giustificazione
ex art. 599, c.p., in quanto la frase ingiuriosa che quest’ultimo
avrebbe rivolto al Lorenzino appare senz’altro giustificata dal fatto
ingiusto altrui, rappresentato dall’inammissibile comportamento
professionale della parte civile, che con i suoi ritardi, nonostante
le rimostranze dell’imputato, alle quali non aveva risposto, aveva
“unilateralmente e deliberatamente bloccato la pratica risarcitoria”
relativa al sinistro stradale di cui era rimasto vittima l’Ermo, che,
su indicazione della propria compagnia assicurativa, si era rivolto
al Lorenzino per fargli sottoporre a perizia il veicolo coinvolto
nell’incidente.
Infine il ricorrenteVekfei. eccepisce la nullità, che definisce
assoluta, del capo d’imputazione, con riferimento al delitto di

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ragioni già indicate, in relazione all’aggressione che si pretende

diffamazione, in relazione al quale manca l’indicazione sia del
luogo in cui sarebbe stato commesso, sia delle modalità
attraverso le quali il reato in questione sarebbe stato realizzato,
sia del momento di consumazione dello stesso, in quanto il capo

specificare adeguatamente se in quella data si siano consumate
tutte le condotte illecite descritte nel capo d’imputazione ovvero
solo una parte di esse.
Tanto premesso, va rilevato che il ricorso dell’Ermo si pone ai
confini dell’inammissibilità, in quanto, con esso il ricorrente, in
buona sostanza, da un lato reitera acriticamente doglianze già
sollevate con i motivi di appello, puntualmente disattese dal
giudice di secondo grado, dall’altro prospetta censure di merito,
che si fondano su di una diversa versione dei fatti, confutata dal
tribunale, come si evince anche dalla significativa circostanza che
per ben due volte nei motivi del ricorso per Cassazione si fa
riferimento al ricorso stesso qualificandolo come il “presente atto
di appello” ovvero come “questo atto di appello” (cfr. pp. 13 e 14
del ricorso a firma dell’avv. Anna Rossomando).
In ogni caso le doglianze dell’Ermo appaiono del tutto infondate.
Il punto centrale dell’assunto difensivo, come si è visto, è
rappresentato dalla circostanza che la versione dei fatti fornita
dall’imputato, secondo cui fu il Lorenzino ad aggredire per primo
l’Ermo (e non viceversa), determinandone la reazione,
penalmente scriminata ai sensi dell’art. 52, c.p., risulta confortata
dagli esiti del referto medico prodotto dall’imputato, che
contrasterebbero in modo palese con quanto ritenuto dai giudici di
merito, in primo ed in secondo grado.

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d’imputazione accenna alla data del 7.8.2008, senza, tuttavia,

Va osservato, tuttavia, che il tribunale, con motivazione
approfondita ed immune da vizi logici, ha minuziosamente
ricostruito le fasi del litigio tra l’imputato e la persona offesa,
descrivendo in maniera particolareggiata le fasi dell’aggressione

e dei testimoni che avevano assistito alla scena (Chiaravaglio e
Daghero, impiegate presso lo studio del Lorenzino; Gerardi e
Maddalena, persone che, al pari delle suddette impiegate, si
trovavano nella sala d’attesa dello studio in questione quando si
verificarono i fatti per cui è processo).
Il Lorenzino, dunque, raggiunto nel suo studio dall’imputato il
giorno 8.8.2008, aveva esortato l’Ermo, che gli chiedeva contezza
del ritardo nell’ultimare la perizia, di rivolgersi all’ispettorato della
sua compagnia assicuratrice, a cui lo stesso Lorenzino aveva già
trasmesso la pratica.
Non soddisfatto di tale risposta, l’imputato disse che non avrebbe
lasciato lo studio senza ottenere le informazioni richieste,
comportamento che indusse la persona offesa ad invitarlo ad
imboccare l’uscita, avvicinandosi al ricorrente “come per
accompagnarlo”.
A questo punto, come affermato con dichiarazioni convergenti dal
Lorenzino, dalla Chiaravaglio, dalla Daghero, dal Gerardi e dal
Maddalena, “Ermo ebbe una inaspettata e violenta reazione; colpì
Lorenzino dapprima con uno schiaffo al volto e poi, urlando
ripetutamente “ti ammazzo”, lo colpì ancora con altri schiaffi”
(non,quindi, semplici “buffetti”, come sostenuto nel ricorso
dall’Ermo), “inducendo la parte civile a ripararsi il volto con le
mani ed alcuni tra i presenti ad intervenire; Ermo fu bloccato da
due o tre persone e trascinato di peso fuori dallo studio”.

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subita dal Lorenzino, sulla base delle dichiarazioni di quest’ultimo

Seguendo un ineccepibile e coerente percorso motivazionale, .e.partendo da tali risultanze, il tribunale evidenzia, da un lato, come
la versione dei fatti sostenuta dall’imputato sia smentita non solo
dalle dichiarazioni della persona offesa, ma anche da quelle di ben

del

pronto

soccorso

dell’ospedale

di

Pinerolo,

quattro testimoni, dall’altro come gli esiti del certificato medico
dove

nell’immediatezza dei fatti si recarono sia l’imputato che il
Lorenzino, prodotto dall’Ermo, in cui venne diagnosticato a
quest’ultimo un “trauma contusivo di spalla dx da riferita
colluttazione”, risulta del tutto compatibile con “la presa da tergo
effettuata dalle due o tre persone che furono costrette ad
intervenire per impedire che egli continuasse a percuotere il
Lorenzino”, di cui, a differenza di quanto affermato in ricorso,
hanno concordemente riferito i testimoni innanzi indicati, ed, al
tempo stesso, “molto meno compatibile – non essendovi stata
alcuna contusione e tanto meno una colluttazione, secondo
quanto riferito dallo stesso imputato – con il racconto fatto da
Ermo, il quale, diversamente da quel che si sostiene nell’atto di
appello, ove si parla di “violento strattonamento”, nell’esame si è
limitato a dichiarare: mi ha preso dal braccio e mi ha portato da
fuori. Io mi sono liberato” (cfr. pp. 7-8 dell’impugnata sentenza).
L’evidente mancanza del pericolo attuale di un’offesa ingiusta nei
confronti dell’Ermo, consente pertanto di condividere senza
nessuna incertezza la conclusione del tribunale sulla impossibilità
di configurare nel caso in esame un’ipotesi di legittima difesa.
Del pari condivisibile è la ritenuta sussistenza del reato di lesioni
personali volontarie, dovendosi senza dubbio qualificare come
malattia la “iperemia postraumatica congiuntiva bulbare
temporale occhio sx”, diagnosticata dai sanitari del pronto

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(T

soccorso dell’ospedale di Pinerolo sulla persona del Lorenzino,
che, al riguardo, formularono una prognosi di guarigione di tre
giorni, con prescrizione dell’applicazione del farmaco “Voltaren
ofta collirio” tre volte al giorno, per un periodo di due o tre giorni,

essendo stata riscontrata, come evidenzia il giudice di secondo
grado, pur in assenza di lesioni più gravi, una, sia pur modesta,
alterazione del bulbo oculare dovuta ad un anomalo aumento di
sangue nell’occhio, di origine traumatica, con algia dell’occhio e
disturbi del visus, rispetto ai quali la terapia prescritta aveva
proprio la finalità di consentire la scomparsa del sangue dal bulbo
oculare e la piena reintegrazione del paziente nella normale
funzione visiva, eliminando i suddetti disturbi (cfr. p. 9
dell’impugnata sentenza).
Siffatta valutazione appare assolutamente conforme a quanto da
tempo risalente affermato dalla giurisprudenza di legittimità,
secondo cui la malattia consiste in «qualsiasi alterazione
anatomica o funzionale dell’organismo, ancorché localizzata e non
impegnativa delle condizioni organiche generali» (Cass. pen., sez.
V, 2 febbraio 1984; Cass. pen., sez. V, 14 novembre 1979, rv.
144460; Cass. pen., sez. I, 9 maggio 1978; Cass. pen., sez. I, 3
marzo 1976; Cass. pen., sez. I, 11 ottobre 1976, rv. 135358).
Peraltro, recentemente si è evidenziato, secondo un orientamento
condiviso dal Collegio, come la distinzione tra il reato di lesioni e
quello di percosse risieda proprio nella accertata 03=12221, della
cagionata malattia, essendo nota la differenza tra la percossa, che
non produce malattia, e le lesioni personali che, di converso, tale
alterazione dello stato di salute provocano, dovendo intendersi
per malattia ogni perturbazione funzionale di tipo dinamico, come
quella patita dall’occhio sinistro del Lorenzino, che, dopo un certo

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(-.

tempo, conduca alla guarigione (cfr. Cass., sez. V, 05/02/2013, n.
15839, S.A.F. e altro; Cass., sez. IV, 16/10/2012, n. 47265).
Manifestamente infondato,poi, è il rilievo sulla inidoneità della
minaccia, in quanto fondato sull’erroneo presupposto che nel

confronti del Lorenzino, quest’ultimo lo stava sottoponendo ad
una vera e propria sopraffazione fisica.
Quanto alla doglianza relativa al mancato riconoscimento della
scriminante di cui all’art. 599, co. 2, c.p., premesso che risulta
dimostrato (e sul punto non vi è contestazione da parte del
ricorrente) che il 7.8.2008 l’Ermo entrò nello studio del Lorenzino
in compagnia della convivente Tagliaferri Serena (rimasta fuori ad
aspettare, invece, in occasione del successivo accesso allo studio
dell’8.8.2008 da parte dell’imputato) dicendo, rivolto alle
impiegate ed in assenza della persona offesa, “dov’è questo cazzo
di perito, cosa pensa di fare?”, va rilevato che il tribunale, con
motivazione di merito logicamente coerente, ha escluso che nel
lamentato ritardo del perito per non avere ancora evaso la pratica
cui era interessato l’Ermo possa ravvisarsi un “fatto ingiusto”, sia
perché “il perito non aveva ancora terminato gli accertamenti che
riteneva di fare”, sia perché il Lorenzino non aveva alcun rapporto
professionale con Ermo, avendo ricevuto l’incarico dalla
compagnia di assicurazione e dovendo soltanto a quest’ultima
rendere conto del suo operato” (cfr. pp. 6-7 dell’impugnata
sentenza), per cui appare evidente che nella sua condotta in alcun
modo è ravvisabile un comportamento il quale, ictu ()culi, non
possa, neppure astrattamente, trovare giustificazione alcuna in
una qualche disposizione normativa ovvero nelle regole
comunemente accettate della civile convivenza, in cui, per

9

(\o

momento in cui l’imputato proferì l’espressione “ti ammazzo” nei

consolidata giurisprudenza del Suprema Collegio consiste il “fatto
ingiusto altrui”, rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 599, co.
2, c.p. (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 13/03/2008, n. 13570, S.
e altro, rv. 239830).

cui pure è intervenuta, rigettandola, il giudice di secondo grado.
Infatti, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la nullità
del decreto di citazione a giudizio per la mancata enunciazione del
fatto oggetto dell’imputazione ovvero per l’insufficiente
enunciazione dell’imputazione stessa, prevista dall’art. 429, co. 2,
c.p.p., deve ritenersi sanata qualora non sia stata dedotta entro il
termine stabilito, a pena di decadenza, dall’art. 491, co. 1, dello
stesso codice; poiché infatti la predetta omissione non attiene né
all’intervento dell’imputato né alla sua assistenza o
rappresentanza, la nullità che ne deriva non può ricomprendersi
fra quelle di ordine generale, di cui all’art. 178, lett. c), bensì tra
quelle relative, previste dall’art. 181, c.p.p., con la conseguenza
che deve essere eccepita – a pena di preclusione – subito dopo
compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle
parti (cfr. Cass., sez. II, 27.3.2008, n. 16817, Muro e altri, rv.
239757; Cass., sez. V, 25.3.2010, n. 20739, Di Bella, rv.
247590).
Il che, nel caso in esame, non si è verificato, in quanto, come
rilevato dal tribunale, senza che sul punto vi sia stata
contestazione da parte del ricorrente, essa è stata dedotta per la
prima volta nell’atto di appello.
Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa
va, dunque, rigettato con condanna dell’Ermo al pagamento delle
spese del procedimento

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Manifestamente Infondata, infine, è l’ultima censura difensiva su

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso in Roma il 17.5.2013

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