Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38947 del 13/04/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 38947 Anno 2015
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Vacca Gianfranco, nato a Maracalagonis, 1’8.5.1964, avverso la
sentenza pronunciata in data 5.4.2013 dalla corte di appello di
Cagliari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Giuseppe Coarasaniti, che ha concluso per
l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente
al diniego delle circostanze attenuanti generiche;

Data Udienza: 13/04/2015

udito per il ricorrente, il difensore di fiducia, avv. Maurizio Balloi,
del Foro di Cagliari, che ha concluso riportandosi ai motivi di
ricorso.

FATTO E DIRITTO

Cagliari confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Cagliari, in data 6.3.2009,
decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato alle
pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia, Vacca
Gianfranco, imputato, nella sua qualità di amministratore unico,
della società “Gedi Engineering Building s.r.l.”, del reato di cui
all’art. 216, co. 1, n. 2, I. fall., in relazione al fallimento della
suddetta società, dichiarato dal tribunale di Cagliari con sentenza
del 31.3.2006.
2. Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiede
l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione,
l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando: 1)
violazione di legge in relazione agli artt. 43, c.p., 216, co. 1, n. 2,
I. fall., mancando la prova del dolo specifico dell’imputato di
arrecare pregiudizio ai creditori in relazione alla fattispecie di
bancarotta fraudolenta documentale, contestata come commessa
attraverso la sottrazione delle scritture contabili; 2) vizio di
motivazione in ordine agli artt. 216, co. 1, n. 2 e 217, I. fall.,
difettando la prova che i libri e le altre scritture contabili di cui si
contesta la sottrazione da parte dell’imputato, siano mai state
effettivamente tenute dal Vacca, non potendo ciò desumersi dalla
circostanza che il Vacca ha consegnato al curatore fallimentare

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1. Con sentenza pronunciata il 5.4.2013 la corte di appello di

una scarna documentazione, per cui il giudice di secondo grado,
accertata l’assenza di prova circa la tenuta delle scritture contabili
e la loro distruzione, avrebbe dovuto concludere per
l’insussistenza della prova di reità dell’imputato, la cui condotta,
stante la mancanza di prova della originaria tenuta delle scritture
contabili, a tutto voler concedere, appare riconducibile alla

motivazione in ordine all’art. 216, co. 1, n. 2, I. fall., in quanto la
corte territoriale ha omesso di considerare, da un lato che nel
caso in esame risulta provato, alla luce della scheda allegata alla
relazione del curatore fallimentare, che nessun pregiudizio per i
creditori si è verificato, dall’altro che il curatore fallimentare è
stato in grado di ricostruire le vicende relative al patrimonio della
società fallita, che aveva in proprietà una sola vettura, anche
sotto il profilo creditizio e delle cause civili pendenti per il recupero
dei crediti vantati dalla stessa; 4) violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione al mancato riconoscimento della
circostanza attenuante del danno di minima entità, di cui, ad
avviso del ricorrente, sussistono i presupposti, non potendosi
giungere ad una conclusione diversa sulla base della vicenda
A.D.OLSAR, in relazione alla quale, come si evince dalla relazione
del curatore fallimentare, male interpretata dalla corte territoriale,
il credito vantato dalla società fallita nei confronti della
A.D.OLSAR, per l’appalto relativo alla realizzazione di un
capannone, è stato puntualmente individuato in 132.000,00 euro;
5) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
3. Il ricorso non può essere accolto, essendo sorretto da motivi
infondati, che, in realtà si collocano ai confini della inammissibilità,

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fattispecie della bancarotta documentale semplice; 3) vizio di

risolvendosi in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata, senza individuare vizi di
logicità tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi,
ricostruzione e valutazione, in quanto tali, precluse in sede di
giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. V, 22.1.2013, n. 23005, rv.
255502; Cass., sez. I, 16.11.2006, n. 42369, rv. 235507; Cass.,

27.9.2006, n. 37006, rv. 235508).
Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di
legittimità, anche dopo la novella dell’art. 606, c.p.p., ad opera
della I. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di
deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata
pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente
unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della
motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del
giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n. 22256,
rv. 234148).
Esulando, pertanto, dal controllo demandato alla Suprema Corte
la rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, non
costituisce vizio comportante controllo di legittimità la mera
prospettazione di una diversa (e, per il ricorrente, più favorevole)
valutazione delle emergenze processuali, come quella prospettata
dal ricorrente (cfr. Cass., sez. V, 21.4.1999, n. 7569, rv. 213638).
La corte territoriale, del resto, con motivazione approfondita ed
immune da vizi, ha evidenziato come l’accertata sottrazione delle
scritture contabili, desumibile dalla circostanza che, da un lato il

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sez. VI, 3.10.2006, n. 36546, rv. 235510; Cass., sez. III,

Vacca consegnò, “in modo palesemente selettivo”, al curatore
fallimentare solo un determinato numero di documenti, che
rimandano ad una più completa contabilità, mai consegnata,
dall’altro che non appare ipotizzabile la mancata documentazione
relativa agli appalti assunti dalla società fallita, oggetto di
contenziosi in sede civile, sia stata finalizzata “a confondere le

ricostruzione delle loro ragioni di credito nell’ambito delle cause
civili, vuoi occultando la reale situazione patrimoniale e creditoria
agli occhi dei creditori insinuati nel fallimento”, che, rileva la corte
territoriale, sono undici e non uno, come sostenuto dalla difesa
dell’imputato( cfr. pp. 4-5 dell’impugnata sentenza di appello).
Proprio la sottrazione delle scritture contabili e la mancanza di una
contabilità analitica, evidenzia la corte territoriale, hanno indotto il
curatore fallimentare ad affermare l’impossibilità assoluta di
procedere ad alcuna valutazione, sicché correttamente il giudice
di secondo grado, nell’escludere la configurabilità della bancarotta
documentale semplice, ha interpretato la condotta del Vacca
sorretta da dolo specifico, in quanto artatamente finalizzata a
fingere di collaborare con l’organo del fallimento, scegliendo i
documenti da mettere a disposizione di quest’ultimo, “ma in realtà
paralizzandone le iniziative funzionali alla conoscenza della
situazione reale della società” (cfr. p. 5).
Le conclusioni cui è pervenuto il giudice di secondo grado sono
assolutamente in linea con i principi elaborati in subiecta materia
dalla giurisprudenza di legittimità, condivisi dal Collegio.
Come è noto, infatti, ai fini della configurabilità del delitto di
bancarotta fraudolenta documentale, le condotte di mancata
consegna ovvero di sottrazione, di distruzione o di omessa tenuta

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acque ed a danneggiare i creditori, vuoi impedendo la

dall’inizio della documentazione contabile, sono tra loro
equivalenti, con la conseguenza che non è necessario accertare
quale di queste ipotesi si sia in concreto verificata se, come nel
caso in esame, è comunque certa la sussistenza di una di esse ed
è inoltre acquisita la prova in capo all’imprenditore dello scopo di
recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la

23/09/2014, n. 47923, rv. 261040).
Ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta
documentale devono ritenersi condotte equivalenti la distruzione,
l’occultamento o la mancata consegna al curatore della
documentazione e l’omessa o irregolare o incompleta tenuta delle
scritture contabili.
Pertanto per la sussistenza del reato è sufficiente l’accertamento
di una di esse e la presenza in capo all’imprenditore dello scopo di
recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la
ricostruzione del movimento degli affari, finalità che non consente
di configurare la più lieve ipotesi di bancarotta documentale
semplice, non essendo, inoltre, richiesto, ai fini dell’integrazione
della fattispecie, l’effettivo verificarsi di un pregiudizio per i
creditori (cfr. Cass., sez. V, 27/09/2013, n. 8369, rv. 259038;
Cass., sez. V, 11/04/2012, n. 25432, rv. 252992).
Anche con riferimento ai rilievi in tema di trattamento
sanzionatorio la sentenza della corte territoriale risulta immune da
vizi.
Al riguardo va rilevato, conformemente all’indirizzo predominante
nella giurisprudenza della Suprema Corte, che ai fini della
concessione dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale
tenuità, prevista dall’art. 219 comma 3 I. fall., occorre partire

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ricostruzione del movimento degli affari (cfr. Cass., sez. V,

innanzitutto dalla valutazione del pregiudizio economico arrecato
ai creditori dai fatti di bancarotta (cfr. Cass, sez. V, 09/04/2003,
n. 21353, rv. 224889), profilo su cui la corte territoriale si è
puntualmente soffermata, rilevando che la deficitaria tenuta delle
scritture contabili ha arrecato un serio danno ai creditori, i quali
non sanno se potranno fare affidamento sul recupero dei crediti

sede civile dall’esito incerto proprio a causa della mancanza della
documentazione contabile, come, ad esempio, nel caso del credito
per un importo di 132.000,00 euro, vantato verso la società
“ADOLSAR”, per la realizzazione di un capannone.
Rispetto a tale limpido argomentare le doglianze difensive, come
già detto, sono inammissibili, perché incentrate su profili di
merito, oltre che per la loro evidente infondatezza, non avendo il
ricorrente ben compreso la natura del danno configurabile nei
confronti dei creditori.
Infondato, infine, appare il rilievo sul mancato riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche, che, invece, la corte
territoriale legittimamente fonda sulla particolare capacità a
delinquere dimostrata dall’imputato con il suo “comportamento
capzioso” tenuto nei confronti del curatore fallimentare,
“sostanziatosi nell’allegazione di crediti non dimostrabili ed, anzi,
da lui stessi resi non azionabili per mancanza di documenti di
supporto” (cfr. p. 6).
Come è noto, infatti, anche uno solo degli elementi indicati
nell’art. 133 c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla
entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso, può essere
sufficiente per negare o concedere le attenuanti generiche.

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vantati dalla società fallita, non a caso oggetto di contenziosi in

Per il diniego della concessione delle attenuanti generiche,
pertanto, non è necessario che il giudice prenda in considerazione
tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento a quelli ritenuti
decisivi o comunque rilevanti (cfr., ex plurimis, Cass., sez. IV,
28/05/2013, n. 24172; Cass., sez. III, 23/04/2013, n. 23055, rv.

5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in
premessa va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma il 13.4.2015

256172).

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