Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38936 del 02/04/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 38936 Anno 2015
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da Mezzogori Giuliana, nata a Portomaggiore
il 29.1.1948, avverso la sentenza pronunciata il 19.12.2013 dal
tribunale di Ferrara;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Eduardo Scardaccione, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;
udito per le parti civili costituite, il difensore, avv. Giovanni
Montalto, del Foro di Ferrara, che nulla ha osservato;

Data Udienza: 02/04/2015

udito per la ricorrente il difensore di fiducia, avv. Stefania Comini,
del Foro di Firenze, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

FATTO E DIRITTO

in qualità di giudice di appello, confermava la sentenza con cui il
giudice di pace di Argenta, in data 14.1.2013, pronunciandosi nei
confronti di Mezzogori Giuliana, imputata dei delitti di cui agli artt.
594, c.p., commesso in danno di Bonaveri Costanza, Bonaveri
Giuseppina, Bonaveri Faustina (capo 1); 594, c.p., commesso in
danno di Bonaveri Giuseppe (capo 2); 612 c.p., commesso in
danno di Bonaveri Giuseppe (capo 3); 582, c.p., commesso in
danno di Bonaveri Giuseppe (capo 4); 581, c.p., commesso in
danno di Bonaveri Faustina (capo 5), aveva dichiarato non doversi
procedere nei confronti dell’imputata in ordine ai delitti di cui ai
capi 1) e 2), perché non punibili ex art. 599, c.p., mentre aveva
condannato alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei
danni derivanti da reato la suddetta imputata in relazione alle
rimanenti contestazioni, liquidando nella misura di euro 200,00 il
danno in favore della Bonaveri Faustina e riconoscendo al
Bonaveri Giuseppe una provvisionale di euro 200,00.
2. Avverso la decisione del tribunale, di cui chiede l’annullamento,
ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo del
proprio difensore di fiducia, l’imputata, con cui lamenta: 1)
violazione di legge in ordine alla costituzione delle parti civili, non
essendovi alcuna prova che l’imputata abbia ricevuto rituale
notifica del relativo atto di costituzione ante judiclum, in quanto,
trattandosi di notificazione eseguita dall’ufficiale giudiziario

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1. Con sentenza pronunciata il 19.12.2013 il tribunale di Ferrara,

mediante deposito dell’atto presso la casa comunale, non vi è
prova che ad esso abbia fatto seguito il ricevimento della
raccomandata da parte dell’imputata da cui decorrono gli effetti
della notificazione, ai sensi degli artt. 157, co. 8, e 168, n. 3,
c.p.p., né risulta che la Mezzogori sia altrimenti venuta a

considerarsi nulla, ai sensi dell’art. 171, lett. f), c.p.p., la
notificazione che sia stata effettuata in violazione dell’art. 157, co.
8, c.p.p., non costituendo prova della ritualità della notificazione,
in mancanza della specifica attestazione della ricevuta di ritorno
della raccomandata inviata all’imputata, l’attestazione pura e
semplice della regolarità del procedimento di notifica dell’atto a
quest’ultima.
Se ne deduce, ad avviso della ricorrente, l’irritualità della
costituzione delle parti civili nel presente giudizio avvenuta fuori
udienza, non essendo state rispettate entro i termini di legge le
prescritte formalità, per cui le suddette parti civili, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 78, co. 2 e 79 co. 3, c.p.p., non
potevano presentare una propria lista testimoniale; 2) violazione
di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
configurabilità del reato di minaccia lieve, reato di cui, ad avviso
della ricorrente, non ricorrono gli elementi costitutivi, in
considerazione della inoffensività della condotta e della inidoneità
della supposta minaccia a prospettare alla persona offesa di
essere costretta, in conseguenza del male minacciato, nel breve
termine o per il futuro, a dover cambiare il proprio stile o abitudini
di vita, dovendosi, piuttosto, ritenere la condotta qualificata come
minaccia, “degradata” al delitto di ingiuria e, quindi, scriminata ai
sensi dell’art. 599, c.p.; del resto, rileva ulteriormente la

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conoscenza dell’atto da notificare, senza tacere, peraltro, che è da

ricorrente, nella concomitanza di ingiurie, minacce, percosse e
lesioni, le singole condotte che astrattamente potrebbero
configurare i reati di ingiuria e di minaccia, sono in realtà prive
dell’elemento soggettivo del reato, perché non destinate a ledere
l’altrui onore o la sfera morale della vittima, essendo, piuttosto,

dalla fattispecie di cui all’art. 582, c.p., e, pertanto, non punibili.
Deduce, inoltre, la ricorrente che l’imputata è stata sottratta al
giudizio del giudice naturale precostituito per legge, in quanto il
giudice di secondo grado “ha per un verso condannato l’imputata
per lesioni contestualizzando la minaccia seguita dalle lesioni; per
l’altro verso ha escluso l’aggravante”; 3) travisamento della
prova, rappresentata dalle dichiarazioni dei testimoni escussi, con
particolare riferimento al luogo in cui si sono svolti i fatti di cui al
capo 5) dell’imputazione, rilevando come nei motivi di appello
siano stati riportati “numerosi brani delle testimonianze per
dimostrare il travisamento della prova circa elementi essenziali sul
luogo dove si sono svolti i fatti nonché sulle modalità di
svolgimento degli stessi che minano alle fondamenta la credibilità
dei testi di accusa”, portatori, ad avviso della ricorrente, “di
interessi che vanno al di là delle istanze risarcitorie avanzate nel
processo”; 4) mancanza di motivazione in ordine al reato di
lesioni in danno di Bonaveri Giuseppe, di cui al capo 4)
dell’imputazione, in relazione al quale il tribunale da un lato non
ha fornito risposta alle doglianze difensive contenute nei motivi di
appello, volte ad evidenziare la mancanza di un consistente
quadro accusatorio, con particolare riferimento sia alla insanabile
contraddittorietà che emerge dalle dichiarazioni della presunta
persona offesa, sia alla mancanza di corrispondenza tra la stessa

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finalizzate al compimento del delitto più grave, rappresentato

produzione documentale prodotta dalla parte civile e quella
acquisita al momento della proposizione della querela su richiesta
della pubblica accusa; dall’altro, nel percorso motivazionale
seguito, volto ad accertare il nesso di causalità, ha “scisso di fatto
l’evento della malattia – la quale apparentemente avrebbe un

mancanza di motivazione sui motivi di appello relativi alla ritenuta
responsabilità dell’imputata per il reato di percosse.
3. Il ricorso non può essere accolto, stante l’inammissibilità, sotto
diversi profili, dei motivi su cui si fonda.
4. Con riferimento al primo motivo di ricorso se ne deve rilevare la
manifesta infondatezza.
Ed invero, come si evince dalla lettura degli atti, consultabili
essendo stato dedotto un error in procedendo, all”udienza del
14.3.2011, innanzi al giudice di pace, l’avv. Erminia De Carlo, in
qualità di difensore di fiducia delle persone offese, munito di
procura speciale, rinnovava la costituzione di parte civile entro il
termine previsto dall’art. 79, co. 1, c.p.p., in tal modo sanando
qualsiasi eventuale nullità della notifica effettuata prima
dell’instaurazione del giudizio di primo grado.
Ed invero la nullità di una precedente costituzione di parte civile,
non ne impedisce la rinnovazione, purché essa intervenga entro il
termine previsto dall’art. 484, c.p.p., richiamato, per l’appunto,
dall’art. 79, co. 1, c.p.p., che rappresenta il limite oltre il quale la
costituzione di parte civile non è più consentita (cfr. Cass., sez. V,
27.10.2000, n. 12718, rv. 217741; Cass., sez. V, 18.2.2004, n.
29233, rv. 228702).
5. Del pari manifestamente infondato appare il secondo motivo di
ricorso.

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riferimento obiettivo – dai fatti contestati all’imputata”; 5)

Costituisce infatti approdo interpretativo consolidato nella
giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui ai fini
dell’integrazione del delitto di cui all’art. 612 c.p. – che ha natura
di reato di pericolo – è necessario che la minaccia – da valutarsi
con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del

passivo, ancorché il turbamento psichico non si verifichi in
concreto, essendo sufficiente la mera attitudine della condotta ad
intimorire ed essendo irrilevante l’indeterminatezza del male
minacciato (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 06/11/2013, n. 644,
rv. 257951; Cass., sez. V, 08/07/2014, n. 38591).
Nel reato di minaccia, infatti, elemento essenziale è la limitazione
della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che
un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima,
senza che sia necessario, come si è detto, che uno stato di
intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima (cfr. Cass.,
sez. V, 22/04/2014, n. 45502; Cass., sez. V, 19/03/2014, n.
19203; Cassazione penale, sez. V, 28/01/2014, n. 15710).
Né appare revocabile in dubbio che l’espressione “ti ammazzo”,
rivolta dall’imputata al Bonaveri Giuseppe, fosse idonea a
cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo del reato, come
correttamente ritenuto da entrambi i giudici di merito, tenuto
conto del contesto concreto in cui venne pronunciata, vale a dire
in occasione di una lite furiosa scoppiata tra l’imputata e le
persone offese, nel corso della quale la Mezzogori aggredì anche
fisicamente il Bonaveri Giuseppe, con una violenza tale da farlo
cadere al suolo, arrecandogli le lesioni personali di cui al capo n.
4) dell’imputazione.

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fatto – sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto

Nemmeno appare configurabile l’assorbimento del delitto di
minaccia in quello di lesione volontaria di cui al capo n. 4), non
essendo la minaccia elemento costitutivo del delitto di cui all’art.
582, c.p.
L’assorbimento della minaccia in altra fattispecie delittuosa, dato il

verificarsi, infatti, solo quando la minaccia viene presa in
considerazione come elemento costitutivo di altre ipotesti
delittuose (come la rapina o l’estorsione), in quanto condotta
strumentale al raggiungimento di un risultato ulteriore rispetto
alla intimidazione del soggetto passivo.
Poco comprensibile, infine, appare il rilievo difensivo sulla pretesa
violazione del principio del giudice naturale precostituito per
legge, che deriverebbe dalla riconducibilità della fattispecie di cui
al capo n. 3) al paradigma normativo di cui all’art. 612, co. 2, c.p.
(affermazione di per sé contraddittoria con la pretesa inoffensività
della condotta della Mezzogori, come giustamente rilevato dal
giudice di secondo grado).
Nessuno dei giudici di merito,infatti, ha ritenuto di dover
qualificare la condotta della Mezzogori in termini di minaccia
grave, ai sensi dell’art. 612, co. 2, c.p., proprio perché, come
correttamente indicato dal tribunale, la natura oggettivamente
intimidatoria della frase “ti ammazzo” pronunciata nel contesto
innanzi indicato non ha assunto i caratteri di gravità richiesti per
la configurabilità della menzionata circostanza aggravante, che
richiede un incisivo turbamento psichico causato al soggetto
passivo dall’atto intimidatorio, desumibile, quando la minaccia non
è fatta in uno dei modi previsti dall’art. 339, c.p., richiamato dal
citato art. 612, co. 2, c.p., non solo dalla entità del male

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carattere sussidiario del reato di cui all’art. 612, c.p., può

minacciato, ma anche dall’insieme delle modalità dell’azione e
dalle condizioni particolari in cui si trovano il soggetto attivo e la
persona offesa (cfr. Cass., sez. V, 9.12.1981; Cass., sez. V,
23.1.1986, n. 5617, rv. 173135), dovendo, pertanto, il male
minacciato essere contraddistinto da un apprezzabile grado di

considerarsi grave.
6. Nel resto il ricorso dell’imputata, nel denunciare carenze
motivazionali e travisamento della prova, richiamando
genericamente i motivi di appello che non sarebbero stati valutati
dal giudice di secondo grado, appare inammissibile, innanzitutto
perché generico, in violazione dell’art. 581, lett. c), c.p.p., che nel
dettare, in generale, quindi anche per il ricorso in cassazione, le
regole cui bisogna attenersi nel proporre l’impugnazione,
stabilisce che nel relativo atto scritto debbano essere enunciati,
tra gli altri, “i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di
diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”;
violazione che, ai sensi dell’art. 591, co. che, ai sensi dell’art. 591,
co. 1, lett. c), c.p.p., determina, per l’appunto, l’inammissibilità
dell’impugnazione stessa (cfr. Cass., sez. VI, 30.10.2008, n.
47414, rv. 242129; Cass., sez. VI, 21.12.2000, n. 8596, rv.
219087).
Né va taciuta, in relazione al contenuto delle deposizioni
dibattimentali e delle produzioni documentali, la violazione, da
parte del ricorrente, del principio della cd. autosufficienza del
ricorso, secondo cui anche in sede penale, allorché venga
lamentata l’omessa o travisata valutazione di specifici atti
processuali, è onere del ricorrente suffragare la validità del
proprio assunto mediante la completa allegazione ovvero la

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probabilità nel suo verificarsi, affinché la minaccia possa

trascrizione dell’integrale contenuto di tali atti, dovendosi ritenere
precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, salvo che il
“fumus” del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa
articolazione del ricorso (cfr. Cass., sez. I, 17/01/2011, n. 5833,
G.), circostanza non sussistente, in tutta evidenza, nel caso in

7. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in
premessa va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna
della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1000,00 a favore
della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che
l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non
consente di ritenere la ricorrente medesima immune da colpa
nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità
(cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 2.4.2015

esame.

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