Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 38888 del 14/11/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 38888 Anno 2015
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1.

Procuratore Generale della Repubblica di Messina nei confronti di
BONASERA Domenico
RO Giovanni Vincenzo

2.

AMANTE Alessandro, nato a Messina il 18/01/1985

3.

BARBERA Valentina, nata a Messina il 10/09/1984

4.

BONASERA Anna, nata a Messina il 13/07/1987

5.

BONASERA Domenico, nato a Messina il 07/05/1979

6.

BONCORDO Alberto, nato a Messina il 14/01/1981

7.

CANNAVO’ Angelo, nato a Messina il 13/03/1982

8.

FORAMI Giovanni, nato a Messina il 20/10/1986

9.

ORECCHIO Placido, nato a Messina il 12/09/1974

10. RO Giovanni Vincenzo, nato a Messina il 11/06/1985
avverso la sentenza del 16/05/2013 della Corte di Appello di Messina;
letti i ricorsi e la sentenza impugnata e udita la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore Generale Vincenzo Geraci,
che ha chiesto l’annullamento con rinvio in accoglimento del ricorso del RG. nei confronti
di Domenico Bonasera e Giovanni Vincenzo Ro e il rigetto di tutti gli altri ricorsi;
uditi i difensori di:
Anna Bonasera, avv. Giovambattista Freni e avv. Salvatore Silvestro;

Data Udienza: 14/11/2014

Domenico Bonasera, Giovanni Vincenzo Ro e Alessandro Amante, avv. Salvatore
Silvestro, anche in sostituzione dell’avv. Antonio Strangi;
di Giovanni Forami, avv. Antonio Salvatore Scordo;
di Angelo Cannavò, avv. Rosario Scarfò in sostituzione dell’avv. Francesco Traclò;
difensori, tutti, che hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi dei rispettivi assistiti.

1. A conclusione di articolate indagini preliminari coinvolgenti numerose persone,
tra cui taluni esponenti della criminalità organizzata messinese, e relative a diffusi traffici
di sostanze stupefacenti (acquisto e vendita al minuto, anche avvalendosi del concorso di
minorenni, di droghe di varia tipologia: eroina, cocaina, ecstasy, marijuana, ecc.) il
procedente pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Messina ha esercitato
l’azione penale, chiedendone il rinvio a giudizio, nei confronti di numerosi indagati.
Indagini scaturite da rituali operazioni di captazione telefonica e ambientale, supportate
da connessi accertamenti e interventi di p.g., attivate dopo la sopravvenuta latitanza di
Giuseppe Mulé (condannato all’ergastolo, beneficiario di differimenti dell’esecuzione della
pena per motivi di salute e nel contempo sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo
di soggiorno a Messina, dove tentava -nonostante un pregresso lungo periodo di
detenzione nel Nord Italia- di recuperare un ruolo di vertice nei locali ambienti di
ascendenza mafiosa).
Indagini che, sulla base degli elementi probatori via via acquisiti (a partire dalle
iniziali intercettazioni disposte, nella seconda metà del 2007, nei riguardi di Domenico
Bonasera, persona particolarmente legata al Mulé, e poi estese ad altri soggetti),
portavano in luce -in uno alla comparativa sovrapposizione di emergenze di altre indagini
per fatti di criminalità organizzata- l’esistenza di una aggregazione di natura mafiosa
facente capo al Mulé e -tra gli altri- a Giovanni Vincenzo Ro, Alessandro Amante e al
citato Domenico Bonasera (attiva dall’agosto 2006 fino all’8.12.2007, data del definitivo
arresto del Mulé) ed altresì e segnatamente l’esistenza di una specifica compagine
criminale operante ex art. 74 d.P.R. 309/90, quale “costola” o ramificazione del gruppo
mafioso guidato dal Mulé, in traffici di sostanze stupefacenti, scanditi da una vorticosa
serie di specifici e individuati episodi criminosi di detenzione e vendita illecite di
quantitativi di droga. Emergenze, tutte, che inducevano il pubblico ministero a contestare
ai prevenuti: il reato di cui all’art. 416-bis c.p. (capo 1), ascritto a Domenico Bonasera; il
reato di associazione per delinquere dedita al narcotraffico ex art. 74 d.P.R. 309/90 (capo
52), ascritto allo stesso Bonasera e ad Alessandro Amante, Anna Bonasera, Angelo
Cannavò, Giovanni Ro, Alberto Boncordo, Giovanni Forami e Placido Orecchio; una

2

RITENUTO IN FATTO

consistente serie di singoli fatti reato (circa quaranta imputazioni), commessi nell’ultimo
trimestre del 2007, ascritti agli imputati già menzionati e ad altre persone.
2. All’udienza preliminare i nove imputati generalizzati in epigrafe (come altri
coimputati oggi non ricorrenti) hanno chiesto di definire le proprie posizioni processuali
nelle forme del giudizio abbreviato, subordinato da Domenico Bonasera e Alessandro
Amante al’espletamento di perizia psichiatrica volta ad accertare le loro rispettive
capacità di intendere e di volere al momento dei fatti contestati.

ordinato l’indagine peritale invocata dal Bonasera e dall’Amante. Acquisiti gli esiti della
perizia, escludente qualsiasi menomazione dello stato di imputabilità del Bonasera e
dell’Amante al momento dei fatti ed asseverante la capacità processuale di entrambi, il
g.u.p. del Tribunale di Messina ha proceduto al giudizio abbreviato, definito con sentenza
del 22.6.2011.
La decisione, dopo ampia premessa sulla sequenza cronologica dei molteplici fatti
criminosi ascritti agli imputati e sui criteri di valutazione delle acquisite prove
dimostrative della loro oggettiva storicità, desunti dalle fonti conoscitive raccolte nelle
indagini, ha passato in rassegna le posizioni di ciascun giudicabile in relazione ai vari
reati di rispettiva attribuzione, esaminati nella loro successione temporale. L’analisi del
giudicante ha poi evidenziato gli elementi attestanti sia la sussistenza dell’aggregazione
mafiosa riconducibile al Mulé di cui è stato considerato partecipe Domenico Bonasera
(sussistenza accreditata anche dagli sviluppi del separato procedimento denominato
“Operazione Pilastro”), sia soprattutto la sussistenza della associazione per delinquere di
cui all’art. 74 L.S. (pp. 110-123) aggravata, come da accusa formulata con il capo 52),
dal numero dei partecipanti e dalla natura armata del sodalizio (aggravante,
quest’ultima, emergente dalla disponibilità di armi da sparo da parte di più imputati
inseriti nel sodalizio: capi da 50 a 59 della rubrica).
A conclusione dell’analisi il g.u.p. del Tribunale di Messina ha riconosciuto:
– Domenico Bonasera colpevole dei reati di cui ai capi 1) (art. 416-bis c.p.), 2) e
3) (concorso in tentata estorsione aggravata e in danneggiamento in pregiudizio di
Placido Feminò, titolare di un panificio), 52) (art. 74 L.S. con ruolo di promotore), di 31
episodi concorsuali ex art. 73 L.S. nonché dei reati di cui ai capi 53), 54), 55), 56), 57) e
58) (concorso in detenzione e porto illegali continuati di più pistole e fucili, armi in più
casi recanti abrasione del numero matricolare, e loro relativa ricettazione);
– Giovanni Vincenzo Ro colpevole del reato associativo di cui all’art. 74 L.S. con
ruolo di promotore (capo 52) e di 14 reati fine (in concorso) ex art. 73 L.S.;
– Alessandro Amante colpevole del reato di partecipazione all’associazione dedita
al narcotraffico (capo 52) e di 5 reati ex art. 73 L.S. nonché del reato di concorso in
detenzione e porto illegali di due pistole (capo 53);

3

Il g.u.p. del Tribunale di Messina ha accolto le richieste dei prevenuti ed ha

- Giovanni Forami colpevole del reato di cui all’art. 74 L.S. (capo 52) e di 3 reati di
detenzione e porto illegali di armi da sparo (capi 54, 55, 59);
– Angelo Cannavò colpevole del reato di cui all’art. 74 (capo 52) e di 3 reati di
concorso in detenzione e cessione di droga;
– Placido Orecchio colpevole del reato di cui all’art. 74 (capo 52) e di 2 reati di
concorso in detenzione e cessione di droga;
– Anna Bonasera colpevole del reato di cui all’art. 74 (capo 52), escluso il suo

– Alberto Boncordo colpevole del reato associativo sub 52);
– Valentina Barbera colpevole di due reati (capi 22 e 37) di concorso in detenzione
e cessione di droga.
Per l’effetto il g.u.p., unificati sotto il vincolo della continuazione i reati della
stessa specie ascritti a ciascun imputato, concesse le attenuanti generiche alle sole Anna
Bonasera e Valentina Barbera, valutata l’incidenza sanzionatoria della contestata recidiva
per gli imputati Amante, Forami ed Orecchio (esclusa, invece, per Ro e Boncordo) e
computata per tutti la diminuente per il rito abbreviato, ha condannato i nove imputati
alle pene ritenute di giustizia.
3. La decisione del Tribunale è stata appellata dagli imputati, che hanno dedotto
più violazioni di norme processuali (in particolare in tema di inutilizzabilità delle
captazioni telefoniche e ambientali) e sostanziali (con peculiare riferimento: alla erronea
o inadeguata valutazione degli elementi di prova che sorreggono la ritenuta sussistenza
dei reati associativi ovvero attingono i singoli prevenuti; alla mancata configurazione, in
subordine, del reato di cui all’art. 74 comma 6 L.S. ovvero al riconoscimento per più fatti
contestati ex art. 73 L.S. della allora attenuante del fatto lieve; alla eccessiva onerosità
dei trattamenti punitivi riservati agli appellanti).
4. La Corte di Appello di Messina, con la sentenza pronunciata il 16.5.2013
indicata in epigrafe, disattendendo le doglianze degli imputati ha confermato in punto di
responsabilità la decisione di primo grado, di cui -all’esito di una rinnovata disamina delle
fonti di prova- ha condiviso l’impianto ricostruttivo dei fatti oggetto delle imputazioni.
Nondimeno, accogliendone subordinati motivi di gravame (quanto agli elementi
circostanziali dei reati), la Corte ha operato per più imputati una mitigazione delle pene
inflitte dalla prima sentenza di merito.
In via preliminare la Corte distrettuale ha giudicato infondate, anche facendo
richiamo alla giurisprudenza di legittimità in materia, le eccezioni di inutilizzabilità degli
esiti delle intercettazioni foniche, effettuate nel corso delle indagini e costituenti
l’architrave dell’impianto accusatorio, per addotta violazione del disposto dell’art. 268

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ruolo di promotore, e di 10 reati di concorso in detenzione e cessione di droga;

comma 3 c.p.p. (eccezioni sollevate dagli imputati Amante, Ro, Cannavò, Domenico e
Anna Bonasera).
Sul merito delle singole regiudicande la Corte distrettuale, sviluppata una
autonoma riconsiderazione delle emergenze probatorie, ha confermato l’analisi
valutativa delle condotte degli imputati svolta dalla sentenza di primo grado con
particolare attenzione alla ribadita sussistenza del sodalizio criminoso ex art. 74 L.S.
All’esito del giudizio di appello la Corte territoriale, ha così deciso in ordine alla

– per Domenico Bonasera, esclusa la qualità di promotore del sodalizio di cui
all’art. 74 L.S. e unificati dalla continuazione tutti i reati in materia di stupefacenti e di
armi da sparo, eccettuati -quindi- il reato associativo sub 1) e i connessi reati sub 2) e
sub 3), ha determinato la pena per la prima serie di reati in dieci anni di reclusione e in
cinque anni e due mesi di reclusione per i reati di cui ai capi 1)-2-3);
– per Giovanni Vincenzo Ro, esclusa la qualità di promotore dell’associazione ex
art. 74 L.S. e unificati dalla continuazione tutti i reti ascrittigli (inclusi quelli relativi alle
armi da fuoco), ha ridotto la pena a nove anni e otto mesi di reclusione;
– per Alessandro Amante, esclusa la rilevanza per fini di pena della contestata
recidiva e unificati dalla continuazione tutti i reati contestatigli, ha ridotto la pena
complessiva a dodici anni e sei mesi di reclusione;
– per Giovanni Forami, riconosciuta la continuazione tra tutti i reati ascrittigli, ha
diminuito la pena finale ad otto anni e sei mesi di reclusione;
– per Angelo Cannavò ha confermato la condanna alla complessiva pena di dieci
anni e due mesi di reclusione ed euro 690,00 di multa;
– per Placido Orecchio, esclusa l’incidenza sanzionatoria della recidiva contestagli,
ha ridefinito la pena in otto anni, un mese e dieci giorni di reclusione;
– per Anna Bonasera ha confermato la condanna alla pena di sette anni e due mesi
di reclusione;
– per Alberto Boncordo ha confermato la condanna alla pena di otto anni di
reclusione;
– per Valentina Barbera ha confermato la condanna alla pena di due anni e dieci
mesi di reclusione ed euro 16.000,00 di multa.
5. Avverso la decisione di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione il
Procuratore Generale di Messina (nei confronti di Domenico Bonasera e Giovanni Ro
limitatamente all’esclusione del loro ruolo di promotori e organizzatori del sodalizio
criminoso di cui all’art. 74 L.S.) e i nove imputati. Ricorsi con cui sono stati dedotti vizi,
venuti in luce sotto più profili, di violazione di legge (processuale e sostanziale) e di
difetto, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

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posizione dei novi imputati:

Tenuto conto del numero dei ricorsi (con ripetitività in più casi di taluni motivi di
doglianza) e della stessa struttura narrativa dell’impugnata sentenza di appello, evidenti
ragioni di semplicità e di chiarezza espositive consigliano di trasporre la sintesi dei motivi
di censura dei ricorrenti nella parte in diritto della presente decisione, facendo seguire ai
singoli motivi di ricorso di ogni imputato le valutazioni proprie di questo giudice di
legittimità.
In siffatta prospettiva metodologica può e deve subito anticiparsi che, a giudizio
del collegio decidente, nessuno dei proposti ricorsi (del P.G. e degli imputati) merita

accoglimento a causa della infondatezza, non disgiunta da connotati di genericità o
indeducibilità, delle principali critiche mosse alla sentenza della Corte di Appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Messina lamenta
l’esclusione per gli imputati Domenico Bonasera e Giovanni Vincenzo Ro della aggravante
ex art. 74 comma 1 L.S. di essere stati promotori e organizzatori del sodalizio criminoso
dedito al narcotraffico, di cui la Corte territoriale ha confermato l’esistenza ed operatività.
Il ricorrente P.G. deduce violazione di legge e vizio di motivazione in quanto, in
primo luogo, l’attività di promotore e organizzatore prevista dall’art. 74 comma 1 L.S.
non è incompatibile con una “struttura sostanzialmente orizzontale”e pariordinata, quale
quella che la sentenza -nel ricomporre l’assetto funzionale del sodalizio- ha ritenuto di
ravvisare nell’associazione in esame. Giudizio che per le posizioni del Bonasera e del Ro
si rivela, in secondo luogo, contraddittorio, dal momento che la sentenza, nell’escludere
una gerarchia all’interno del gruppo criminale, finisce per riconoscere ai due imputati, nel
complessivo agire dei consociati, un ruolo di primo piano, ed altresì carente di
motivazione rispetto all’opposta conclusione raggiunta dal giudice di primo grado anche
alla luce della numerosa serie di episodi criminosi ex art. 73 L.S. emergenti dai dati
processuali, sintomatici dell’indiscusso predominio dei due soggetti nei confronti degli
altri membri del gruppo.

Le critiche formulate dal P.G. ricorrente non sono fondate.

La decisione di appello non mostra traccia di contraddittorietà e illogicità nella
valutazione delle posizioni del Bonasera e del Ro, cui la Corte peloritana riconosce di aver
svolto un “ruolo importante e di primo piano”, fatto palese dal rilevante numero di singoli
episodi ex art. 73 L.S. loro ascritti in concorso tra loro o con altri imputati. Ma tale
aspetto quantitativo (numero dei reati fine, di per sé solo dimostrativo della concreta e
sviluppata operatività dell’associazione criminosa) non può essere confuso, come sembra
fare il ricorrente P.G., con i connotati qualitativi della posizione di promotore ed/

I °/
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organizzatore della aggregazione criminosa che debbono, per l’attribuzione di tali ruoli,
necessariamente incidere sull’assetto interno del sodalizio (sentenza, p. 101:

“Ad avviso

di questa Corte non sembra che gli stessi [Bonasera e Ro, ndr] abbiano avuto una
funzione di assoluto predominio con relativa subordinazione degli altri partecipanti con
relativa creazione di una vera e propria scala gerarchica all’interno di una pur semplice e
rudimentale organizzazione”).
Il giudizio espresso dalla sentenza impugnata è logico e coerente con

sentenza), atteso che nelle condotte del Bonasera e del Ro non sono ravvisabili -per
come esse sono diffusamente descritte nelle decisioni di primo e di secondo gradospecifici e autonomi (cioè non condivisi con i correi) compiti di coordinamento e
razionalizzazione delle attività illecite attuate dai sodali, di guisa che i ruoli, pur
importanti e di primo piano, dei due imputati abbiano realmente assunto i caratteri della
essenzialità e della infungibilità per l’attività e la sopravvivenza dell’associazione
criminosa (ex multis: Sez. 1, n. 12812 del 25/02/2011, Scopelliti, Rv. 249853; Sez. 5, n.
39378 del 22/06/2012, Marini, Rv. 254317).
2. Ricorsi di Alessandro Amante, Domenico Bonasera, Anna Bonasera e Giovanni
Vincenzo Ro. Con un unico atto di impugnazione sono enunciate, nei termini di seguito
riassunti, censure comuni ai quattro ricorrenti e censure specifiche attinenti alle loro
singole posizioni.
2.1. Violazione degli artt. 268 comma 3 e 271 c.p.p. e difetto di motivazione.
Le intercettazioni telefoniche e ambientali disposte in via d’urgenza con decreti del
p.m. (poi convalidati dal g.i.p.) sono inutilizzabili perché l’urgenza e indifferibilità dei
provvedimenti sono motivate in base a pure formule di stile. La sentenza di secondo
grado, a confutazione del relativo motivo di appello, si è limitata a rilevare in modo
tautologico che i decreti in questione sono adeguatamente motivati, perché in essi viene
dato atto che le captazioni sono disposte in rapporto ad attività delinquenziali in corso di
svolgimento.
La censura è infondata sino ai limiti del difetto di specificità (essendo mera
replica del corrispondente motivo di appello), avendola la Corte territoriale già
correttamente disattesa con corretti argomenti giuridici, lungi dalla ipotizzata apoditticità
valutativa, e conformi alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice.
La riproposta eccezione di inutilizzabilità delle captazioni (telefoniche e ambientali)
non ha pregio, ad essa avendo -in punto di legittimità e regolarità formale (motivazioni e
mezzi tecnici impiegati) e sostanziale (necessità del mezzo di ricerca probatoria)- già
offerto appaganti ed esatte risposte entrambe le conformi decisioni di merito, che (anche
in rapporto alla definizione del giudizio allo stato degli atti) hanno escluso in radice il

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l’orientamento al riguardo espresso dalla giurisprudenza di legittimità (pure richiamata in

delinearsi di ipotetici profili di c.d. inutilizzabilità patologica delle complessive attività di
indagine scandite dalle operazioni di intercettazione fonica. Nel giudizio a prova
contratta, come ancora di recente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2,
n. 19483 del 16/04/2013, Avallone, Rv. 256038; Sez. 2, n. 3606 del 14/01/2014, Garzo,
Rv. 258541), divengono deducibili e rilevabili le sole nullità di carattere assoluto e le
inutilizzabilità riconducibili nell’area di una genetica patologia funzionale, quali
certamente non possono ritenersi le presunte violazioni di legge addotte dai ricorrenti ex

eccezionali ragioni di urgenza e di parziale impiego di impianti tecnici diversi da quelli in
dotazione alla Procura della Repubblica (profilo, questo, di cui i ricorrenti non si dolgono,
dando atto della regolare attestazione dell’indisponibilità di postazioni di ascolto presso la
Procura della Repubblica).
In questa sede è sufficiente ribadire che l’onere di motivazione dei decreti di
intercettazione, sia di convalida (e di proroga) da parte del g.i.p., sia di quelli emessi in
via di urgenza dal p.m., come nel caso in esame, è ben assolto anche per relationem,
mediante il richiamo al provvedimento del p.m. e alle stesse informative di polizia, con
implicito giudizio ad essi adesivo. A ciò aggiungendosi che l’obbligo di pertinente
motivazione dei decreti di intercettazione è assolto ogni qual volta la trama del
provvedimento lasci dedurre il percorso cognitivo e valutativo seguito dal giudice (o dal
p.m. in caso di urgenza) e se ne possano conoscere i risultati. E’ quel che si è verificato
nel procedimento coinvolgente i ricorrenti, in cui le ragioni di urgenza evidenziate dal
p.m. risultano coessenziali all’espletamento di indagini concernenti fatti criminosi di
natura associativa (mafiosa, anche in rapporto alle ricerche dell’allora latitante Mulé,
nonché connessa al traffico di stupefacenti).
Del resto nessun elemento specifico è prospettato dai ricorrenti per contrastare il
rilievo con cui i giudici di merito hanno rimarcato, quanto alla indispensabilità delle
operazioni di ascolto, che i provvedimenti autorizzativi urgenti del p.m., oltre a essere
sorretti da idonea motivazione, sono per l’appunto qualificati da immanenti ragioni di
urgenza, procedendosi ad indagini per fatti di criminalità organizzata (da sottoporre a
costante monitoraggio) e segnatamente per la cattura di un latitante (cfr., ex plurimis:
Sez. 5, n. 16285 del 16/03/2010, Baldissin, Rv. 247268; Sez. 6, n. 39216 del
09/04/2013, Di Fiore, Rv. 256590).
2.2. Motivazione mancante o comunque illogica e contraddittoria.
Nel confermare sostanzialmente il giudizio di colpevolezza espresso con la
decisione del g.u.p. la sentenza impugnata si è appagata di aderire acriticamente alle
argomentazioni esternate dal primo giudice, senza tenere conto delle “serene emergenze
processuali di segno contrario” e soprattutto dei puntuali rilievi mossi con i motivi di
gravame. Palese è il vizio di motivazione della sentenza che non ha posto in evidenza gli

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art. 268 comma 3 c.p.p. in ordine alla indispensabilità delle operazioni di ascolto, alle loro

elementi dai quali ha tratto le prove della confermata responsabilità dei quattro imputati,
così incorrendo in una motivazione apparente o fondata su spiegazioni avulse e
dissonanti dalle risultanze processuali.

Il motivo di ricorso è totalmente generico e comunque indeducibile in sede di

legittimità. Generico per intrinseca vaghezza e per la pedissequa riproposizione della
omologa (generica) censura formulata avverso la decisione di primo grado.
Diversamente dall’assunto dei ricorrenti la Corte di Appello ha proceduto ad una

indagini (come non mancano di sottolineare i giudici del gravame, il giudizio essendosi
svolto con rito abbreviato), all’esito della quale ha motivato, ripercorrendo ovviamente nel rispetto del principio devolutivo che governa l’appello- i temi oggetto delle doglianze
degli imputati, le proprie determinazioni con coerenza e logicità, confermando le
conclusioni decisorie di primo grado. D’altra parte la sentenza di appello, vertendosi in
situazione processuale di condivisa analisi della sentenza di primo grado (decisione c.d.
doppia conforme), non può essere letta e vagliata disgiuntamente dalla prima decisione,
con cui costituisce un unitario ed incidibile compendio conoscitivo e valutativo. I ricorsi,
del resto, non indicano gli specifici passaggi della sentenza di appello in concreto
meritevoli di censura, omettendo di confrontarsi criticamente con le valutazioni della
sentenza impugnata e limitandosi in definitiva a prospettare assertive riletture o
reinterpretazioni di segno meramente fattuale delle fonti probatorie, di per sé estranee al
giudizio di legittimità.
2.3. Erronea applicazione dell’art. 74 L.S. e carenza e illogicità della motivazione.
Impropriamente la sentenza di appello ha ribadito il giudizio di sussistenza della
associazione delinquenziale diretta al narcotraffico di cui al capo 52) della rubrica.
Associazione che si sarebbe manifestata per soli tre mesi (da ottobre a dicembre 2007) in
un contesto storico-ambientale in cui i ricorrenti, in assenza di ogni stabile accordo e
della benché minima reale struttura organizzativa, rivestono il semplice ruolo di singoli
soggetti interessati a una personale attività di cessione di non elevati quantitativi di
stupefacenti in molti casi di tipo “leggero”. In particolare è emersa, a tutto concedere,
soltanto una ricorrente detenzione di droga a fine di spaccio da parte del Bonasera, alla
quale sono rimasti estranei gli altri imputati considerati associati. Ciò che è
segnatamente emerso dall’interrogatorio reso dallo stesso Bonasera ex art. 415-bis
c.p.p., atto trascurato dalla Corte d’Appello nonostante lo specifico motivo di gravame.
• Il motivo di censura è manifestamente infondato, oltre ad essere anche in
questo caso scandito da carente specificità (trasposizione dell’uguale motivo di appello,
ampiamente vagliato dai giudici di secondo grado, senza concrete critiche al percorso
decisorio sul punto e scivolando in assertive enunciazioni di principio).
dl
id

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autonoma e rinnovata lettura delle emergenze processuali formate da tutti i risultati delle

Con commendevole acribia i giudici di appello hanno dedicato ampia parte della
motivazione della loro decisione (pp. 69-93) proprio alla disamina e verifica, sul piano dei
dati probatori offerti dalle indagini, degli elementi avvaloranti l’esistenza dell’associazione
criminosa contestata agli imputati e delle evenienze qualificanti le posizioni dei singoli
imputati cui è attribuita la partecipazione al sodalizio.
La sentenza ha correttamente e con logico processo inferenziale ribadito la
sussistenza dell’aggregazione criminosa, ancorché resa operativa per un limitato periodo

criminosa (organizzazione essenziale, ma scandita da ripartizione di ruoli e aree
territoriali di azione dei vari partecipi nell’attività di spaccio di stupefacenti; canali di
stabile rifornimento delle sostanze stupefacenti da porre in vendita nelle zone di Messina
note come Municipio e Giostra, teatro dell’illecito commercio; capacità di
autofinanziamento funzionale al pagamento delle forniture di droga e alla prosecuzione
delle vendite al dettaglio della droga; ecc.).
In sintesi la Corte di Appello ha congruamente evidenziato, con una disamina in
nessun modo scalfita dai rilievi dei ricorrenti, le seguenti evenienze comprovanti la
sussistenza dell’associazione per delinquere di cui all’art. 74 L.S.:

a) esistenza di una

“elementare” aggregazione associativa dedita al traffico di stupefacenti di diverso tipo
(acquisto, distribuzione e vendita attraverso spacciatori anche minorenni o non
direttamente inseriti nel sodalizio);

b) disponibilità da parte del sodalizio di fonti di

provvista della droga (tramite l’associato Angelo Cannavò); c) utilizzabilità di una vasta
rete di distribuzione formata da persone fidate per la vendita delle sostanze stupefacenti;
d)

disponibilità di armi (capi da 53 a 59 della rubrica), giustificante la contestata

aggravante di cui al comma 4 dell’art. 74 L.S. (natura armata del sodalizio), da parte di
più associati (Amante, Bonasera, Ro, Forami); e) operatività dell’associazione avvalorata
da connotati solidaristici ed organizzativi tipicamente propri di una aggregazione
criminale, di cui vanno individuate univoche tracce sia nella vorticosa attività di spaccio
attuata in breve tempo in una ristretta area cittadina (“individui che agivano di conserta,
coprendosi, aiutandosi, scambiandosi informazioni, persino sostituendosi in caso di
impedimento”), sia nella solerzia dei consociati “nell’occuparsi dei parenti degli sfortunati
componenti finiti in galera”.
Evenienze, tutte, venute in luce con piena chiarezza dalle indagini preliminari e in
special modo dalle molteplici conversazioni intercettate tra diversi coimputati ricorrenti
ed assistite da unisignificanti indici referenziali, rispetto ai quali le riduttive dichiarazioni
rese dal Bonasera nel suo interrogatorio (non ignorate dalla Corte di Appello, al pari delle
proposizioni difensive di tutti gli altri imputati) non trascendono la soglia di legittime ma
smentite proposizioni difensive.

10

di tempo, in ragione della presenza di tutte le componenti costitutive della fattispecie

2.4. Violazione degli artt. 73 comma 5 e 74 comma 6 L.S. e motivazione carente
o illogica.
Con motivazione insufficiente e per più versi tautologica la Corte messinese ha
disatteso lo specifico motivo di gravame con cui si sosteneva, in subordine, la
riconducibilità delle relazioni interpersonali enucleabili dalle emergenze di causa nella
fattispecie attenuata prevista dal comma 6 dell’art. 74 L.S., correlata al sicuro
riconoscimento della (allora) attenuante del fatto lieve ex art. 73 comma 5 L.S. (oggi

riguardo alla modestia dei quantitativi di droga oggetto dei numerosi reati di spaccio
contestati ai ricorrenti. Ipotesi attenuate a negare le quali non può bastare il solo
riferimento al dato ponderale della droga sequestrata o trattata, che i giudici di merito
non hanno posto nella dovuta interrelazione, non soffermandosi sulla natura e la qualità
della droga, né sulle dimensioni del mercato della stessa.

■ Il subordinato motivo di ricorso è manifestamente infondato e comunque non
consentito nell’odierno giudizio di legittimità, implicando una valutazione di dati di fatto
apprezzati in modo ampio e lineare, immune da discrasie, dalle due sentenze di merito.
Non risponde al vero che la sentenza di appello (che in premessa ha dato puntuale
atto del motivo di gravame enunciato dai ricorrenti) non si sia curata di affrontare il tema
prospettato dalla difesa in punto di qualificazione giuridica, in termini attenuati, degli
innumerevoli reati fine ascritti agli imputati e, in modo speculare, dell’associazione dedita
al narcotraffìco (art. 74 comma 6 in relazione all’art. 73 comma 5 L.S.). La questione è
trattata estesamente dalla sentenza impugnata (pp. 102-106), che ha motivato, con una
serie di coerenti valutazioni di fatto non scrutinabili in sede di legittimità, il difetto dei
dati probatori suscettibili di condurre all’accoglimento della tesi difensiva degli imputati.
Al riguardo, d’altro canto, la sentenza ha condiviso le identiche conclusione della
decisione di primo grado, escludente le ipotesi attenuate dei reati fine e del reato
associativo, cui ha operato (soprattutto per ciò che attiene ai riferimenti
giurisprudenziali) un corretto rinvio per relationem.
La decisione di appello e quella di primo grado hanno escluso, per un verso, la
configurabilità della fattispecie attenuata di cui all’art. 74 comma 6 L.S., quando si abbia
riguardo alle dimensioni soggettive del sodalizio, alla natura del traffico posto in essere,
concernente il commercio di plurime disparate tipologie di sostanze droganti e psicotrope,
ai quantitativi

“a volte molto cospicui”,

delle varie sostanze trattate e messe in

commercio al dettaglio (sia per le droghe pesanti, sia per le droghe leggere, spesso
commercializzate congiuntamente). Con deduzione, espressamente condivisa dai giudici
di appello, la sentenza del g.u.p. del Tribunale di Messina (p.122) ha rimarcato, quanto
alla connessa esclusa ravvisabilità della ipotesi criminosa di cui all’art. 73 comma 5 L.S.,
che:

“Le indagini hanno delineato un’attività illecita frenetica e reiterata, protratta

11

autonoma ipotesi di reato) riconoscibile nei singoli episodi criminosi (reati fine), avuto

stabilmente nel tempo, svolta con connotati di costanza e professionalità da personaggi
gravati da precedenti specifici o operanti in collegamento con pregiudicati per fatti in
materia di stupefacenti, nonché con l’ausilio o tramite l’induzione al reato di minori,
incompatibile con il paradigma di cui all’art. 73 comma 5 L.S.”, al

cui centro possono

porsi condotte caratterizzate, secondo l’insegnamento della S.C., da una trascurabile
offensività, che è senz’altro assente nelle complessive vicende integranti la regiudicanda.
E’ perfino superfluo osservare che le deduzioni dei giudici di merito e

interpretativo di questa Corte di legittimità, secondo cui la lieve entità del fatto di cui
all’art. 73 comma 5 L.S. (divenuta fattispecie autonoma di reato con la legge, da ultimo,
16.5.2014 n. 79) può riconoscersi unicamente nei casi di minima offensività penale della
condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo della droga oggetto di reato,
sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze
dell’azione); con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti
negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio.
Così come ai fini dell’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 74 comma 6 L.S. non
basta tener conto delle quantità effettivamente scambiate, essendo indispensabile fare
riferimento anche a quelle trattate e offerte in vendita dai partecipanti all’associazione
(cfr. ex plurimis: Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911; Sez. 4, n. 38133
del 02/07/2013, Cuomo, Rv. 256289).
2.5. Violazione dell’art. 649 c.p.p. e mancanza di motivazione per Domenico
Bonasera e Giovanni Vincenzo Ro.
Inopinatamente la Corte di Appello non si è pronunciata sulla sussistenza di una
causa applicativa del principio del ne bis in idem, stante la condanna per gli “stessi fatti”
criminosi (ex artt. 74 comma 6 e 73 comma 5 L.S.) per i quali il Bonasera e il Ro sono
stati già condannati con sentenza definitiva della Corte di Appello di Messina in data
26.4.2012 (irrevocabile il 14.11.2013). Continuazione invocata, alla luce dell’ammessa
produzione documentale (sentenza irrevocabile citata), nel corso della discussione del
giudizio di appello.

■ La censura è palesemente infondata.
Giustamente la Corte di Appello si è astenuta dal pronunciarsi, sol che si rilevi
l’inesistenza ictu ocu/i della “medesimezza” dei reati contestati che, sola, può rendere
applicabile il disposto dell’art. 649 c.p.p. Il reato associativo e i reati fine per cui sono
stati separatamente condannati il Bonasera e il Ro risultano accertati il 12.8.2009 (come
si segnala in ricorso), cioè quasi due anni dopo la consumazione dei reati ex artt. 74 e 73
L.S. contestati ai due prevenuti nell’odierno procedimento, la cui estensione temporale è
specificamente circoscritta (come da imputazione) al periodo compreso tra ottobre 2007

12

segnatamente della Corte di Appello sono in linea con lo stabile orientamento

e dicembre 2007. Di tal che l’associazione dedita al narcotraffico e relativi reati fine non
possono “coprire” (id est includere) a posteriori condotte criminose esauritesi in un
tempo largamente anteriore all’attuazione di nuovi fatti reato della stessa specie (cfr.
Sez. 4, n. 4103 del 06/12/2012, dep. 2013, Guastella, Rv. 255078).
2.6. Violazione dell’art. 178, lett. c) c.p.p. e difetto di motivazione.
La Corte

di Appello ha incongruamente disatteso l’istanza di differimento

dell’udienza del 29.1.2013 avanzata da Alessandro Amante, detenuto in regime di arresti

domiciliari presso una comunità terapeutica, per ragioni di salute, come da certificazione
del dirigente medico della struttura. L’ordinanza con cui i giudici di secondo grado hanno
respinto l’istanza dell’imputato, decidendo in analoga maniera anche per le udienze
successive, è illogica e inadeguata e la sua illegittimità determina la nullità della
successiva sentenza di merito.
■ La doglianza è infondata.
Il giudizio (di fatto) sul carattere non assoluto dell’impedimento a comparire in
udienza per Alessandro Amante è corretto e conforme, del resto, al quadro clinico
documentato dalla certificazione medica versata in atti (allegata in copia al ricorso).
Documento che, nel riferire di un peggioramento della “sintomatologia depressiva” da cui
sarebbe stato affetto l’imputato, si limita a segnalare in modo generico e anodino che “le
condizioni fisiche dell’Amante non garantiscono in atto [un] allontanamento dalla
struttura”. Per altro dagli stessi verbali di udienza allegati al ricorso emerge che la Corte
territoriale (in vista delle successive udienze) ha poi disposto accertamenti sanitari volti a
verificare la capacità dell’imputato a partecipare all’udienza, raccogliendo conferma del
carattere relativo del supposto impedimento.
2.7. Violazione dell’art. 192 comma 3 c.p.p. con riferimento alla partecipazione
associativa criminosa di Anna Bonasera.
La sentenza di appello ha riaffermato l’adesione della donna, convivente more
uxorio di Domenico Bonasera e all’epoca dei fatti poco più che ventenne, sulla base dei
soli emersi legami di natura affettiva con il coimputato, tralasciando di esaminare con la
dovuta attenzione le argomentazioni difensive (motivi di appello) volte a dimostrare la
concreta estraneità dell’imputata al sodalizio criminoso.
■ Il motivo, che riprende analoga censura già vagliata dal giudice di primo grado,
è formulato in modo totalmente generico, non indicando quale specifico profilo delle
deduzioni difensive non sia stato valutato dai giudici del gravame.
L’impugnata decisione di appello ad ogni buon conto esclude, alla luce degli
espliciti contenuti delle tante conversazioni intercettate in cui interviene in prima persona
anche la Bonasera, che costei non abbia avuto consapevolezza di offrire il proprio causale
e importante contributo al funzionamento dell’aggregazione criminale di cui è parte attiva

13

i

il suo convivente. Il rapporto sentimentale che la lega all’omonimo convivente non
impedisce di rilevare un ruolo tutt’altro che marginale o passivo della donna, che
partecipa attivamente a numerose discussioni (con il convivente e con altre persone)
aventi per oggetto l’acquisizione di stupefacenti da porre in commercio e le successive
metodiche di vendita al minuto (sentenza, p. 82: “La stessa è, sia pure in varie forme,
particolarmente attiva in tutte le vari fasi della commercializzazione della droga,
dall’acquisto alla detenzione, allo spaccio e infine al recupero del denaro”).

motivazione in relazione ai reati di cui ai capi 1), 2) e 3) ascritti a Domenico Bonasera.
Uniformandosi in modo superficiale alla decisione di primo grado, i giudici di
appello hanno ribadito l’attiva adesione dell’imputato al gruppo mafioso capeggiato
dall’allora latitante Giuseppe Mulé nonché la sua partecipazione ad una azione estorsiva
inscritta nella dinamica dell’attività criminosa dell’associazione (tentata estorsione e
danneggiamento aggravati di cui ai capi 2 e 3 della rubrica).
Comportamenti delittuosi di cui il Bonasera è stato riconosciuto responsabile sulla
base di semplici illazioni e di farneticanti millanterie dello stesso Bonasera
(“autoesaltato”) emerse dalle captazioni foniche che lo riguardano, senza rilevare che le
risultanze del separato procedimento penale denominato Operazione Pilastro (richiamate
dai giudici di merito a dimostrazione dell’esistenza e operatività del gruppo mafioso
facente capo al Mulé) non fanno mai venire in rilievo la figura del Bonasera; né potendosi
attribuire valore dirimente ai contatti intercorsi tra il Bonasera e la moglie del Mulé,
giacché trattasi di meri rapporti interpersonali e amicali e non di condivisione dell’azione
e degli scopi criminali del gruppo mafioso.
Analogamente per l’episodio di estorsione tentata in danno del commerciante
Placido Feminò (capi 2 e 3) gli indizi raccolti attraverso le captazioni foniche non
rivestono i caratteri di gravità e di precisione, né concordano con le emergenze del
separato processo penale in cui risultano individuati i mandanti ed esecutori dell’azione
intimidatoria estorsiva senza che vi si faccia cenno al Bonasera.
In subordine non è dato comprendere le ragioni per cui anche la Corte di Appello
(pur unificando sotto il vincolo della continuazione i reati in materia di droga e in materia
di armi da sparo contestati al Bonasera, così parzialmente riformando la sentenza di
primo grado) ha ritenuto di escludere un rapporto di sincronica continuità, ideativa ed
esecutiva, tra i fatti descritti nei capi 1), 2) e 3) della rubrica e tutti gli altri reati di cui è
stato dichiarato colpevole il ricorrente.

■ Le articolate doglianze sono prive di fondamento e in parte indeducibili, laddove
propongono una non consentita rivalutazione degli elementi di fatto posti a base della
confermata responsabilità del Bonasera per gli ascritti tre reati di matrice mafiosa,

14

2.8. Violazione degli artt. 192 c.p.p. e 416-bis c.p. e carenza e illogicità della

elementi pur ripercorsi dalla sentenza di appello alla luce dei profili di gravame esposti
nell’interesse dell’imputato.
La motivazione della sentenza di secondo grado, che si coniuga alla sentenza del
g.u.p. (in cui sono riportati ampi brani delle numerose intercettazioni a carico del
Bonasera, che ne designano una sua “stabile messa a disposizione delle proprie energie
in favore della congrega mafiosa”),

non presta il fianco alle delineate critiche di

sommarietà o incompletezza di analisi dei dati informativi offerti dalle risultanze
ex adverso, di una meticolosa e

approfondita analisi da parte dei giudici di appello (sentenza, pp. 23-34) svolta
attraverso una coerente e logica esegesi dei dati processuali di rilievo (captazioni e
specifiche dichiarazioni in esse formulate dallo stesso prevenuto). Situazione che induce
con razionale fondamento i giudici di secondo a grado a rilevare come, lungi dall’essere
espressione di un presunto stato di “autoesaltazione” dell’imputato diretto ad accreditarsi
presso l’interlocutore di turno (come ipotizza la difesa), racconta in prima persona le
proprie imprese criminose (in pratica giungendo così a “confessare” i reati attribuitigli);
ed altresì a rimarcare come gli autoreferenziali enunciati del Bonasera non possano
ricondursi a semplici millanterie, dal momento che evocano circostanze, dettagli e
contegni di terzi che “solo un diretto partecipante può conoscere e riferire”. Ciò che vale
soprattutto per la vicenda estorsiva in danno del titolare del panificio del villaggio
Annunziata di Messina, rispetto alla quale gli esiti dell’autonomo processo svoltosi sui
fatti (cui è rimasto estraneo il ricorrente) non possono assumere valore dirimente, atteso
che l’imputato mena vanto proprio di tale elusione delle indagini, pur essendo stato uno
dei coautori materiali dei fatti intimidatori. Fatti che si inscrivono nella sua adesione al
sodalizio mafioso, consentendo di definirlo senza incertezze un “uomo di fiducia” del capo
clan Mulé (come si desume dalle varie vicende che attestano l’intervento del Bonasera
per porre in contatto con il latitante la moglie dello stesso e gli altri suoi familiari,
mettendo a disposizione di costoro autovetture “pulite”). Intervento che, con ragionevoli
deduzioni, i giudici di appello valutano trascendere i meri rapporti di natura personale e
che si palesa come espressione di un diretto contributo alla perpetuazione della
operatività della consorteria mafiosa guidata dal latitante, della cui protezione e “scudo”
non manca di vantarsi il Bonasera.
Indeducibili vanno considerati, infine, i subordinati rilievi sul mancato
riconoscimento della continuazione tra i tre reati per dir così mafiosi (capi 1, 2, 3) e tutti
gli altri reati di cui è stato dichiarato responsabile il ricorrente. Muovendo dal pertinente
rilievo della piena conciliabilità accusatoria tra l’associazione di cui all’art. 416-bis c.p. e
l’associazione criminosa sanzionata dall’art. 74 L.S.

(ex multis da ultimo: Sez. 6, n.

46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258163), la Corte di Appello con coerente valutazione
in punto di fatto, non sindacabile in questa sede, ha evidenziato che gli unici parziali

15

processuali. La posizione del ricorrente è oggetto,

elementi comuni tra le due serie di fatti criminosi attribuiti al Bonasera sono offerti dalle
loro connotazioni spazio-temporali (fatti risalenti all’anno 2007 commessi a Messina),
senza che venga in luce in modo indiscutibile o affidabile una concreta unicità del disegno
criminoso, tale da far credere che l’imputato fin dall’inizio della sua condotta fosse
scientemente intenzionato a proseguire nelle sue duplici attività illecite, quella mafiosa al
servizio dl gruppo Mulé e quella di associato nell’autonoma organizzazione criminosa
dedita al traffico di droga. In proposito non è superfluo aggiungere che in tema di

costituisce una questione di fatto riservata alla valutazione del giudice di merito, il cui
apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità soltanto se non sorretto da adeguata e
logica motivazione. Condizione per certo non ravvisabile nel caso in esame.
2.9. Erronea disapplicazione dell’art. 62 bis c.p. e carenza di motivazione.
Per tutti i quattro ricorrenti si lamenta l’assenza di idonea motivazione della
sentenza di appello nelle ragioni che hanno indotto a negare loro le circostanze
attenuanti generiche.
La subordinata censura è totalmente generica ed indeducibile.
Dimenticando che le attenuanti generiche sono state riconosciute all’imputata
Anna Bonasera, il ricorso non prospetta nessuna specifica ragione che possa, in tutto o in
parte, giustificare la concessione delle ridette attenuanti innominate. In ogni caso la
sentenza impugnata rileva come per nessuno dei tre ricorrenti diversi dalla Bonasera si
profilino ragioni o fatti che li facciano ritenere meritevoli delle attenuanti in parola, atteso
che soltanto Domenico Bonasera risulta incensurato, ma si è tuttavia reso responsabile di
una molteplicità di reati di indubbia gravità, laddove gli altri prevenuti annoverano vari
precedenti penali anche specifici.
3. Secondo ricorso di Anna Bonasera (avv. Giovambattista Freni).
Anche richiamando le precedenti censure (avv. Salvatore Silvestro), con tale atto
d’impugnazione si deducono violazioni di legge (artt. 110 e 379 c.p., 74 e 73 L.S.) e
carenza e illogicità della motivazione in relazione alla partecipazione associativa
criminosa deputata al traffico di droga e ai connessi reati fine ascritti all’imputata.
Incongruamente l’imputata, che non è stata accusata al pari del convivente del
reato di associazione mafiosa, è stata ritenuta responsabile di partecipazione al reato
associativo di cui all’art. 74 L.S. e di dieci reati di cui all’art. 73 L.S. in base ad elementi
di prova tratti soltanto da alcune conversazioni con il convivente Domenico Bonasera,
senza che i giudici dei due gradi merito abbiano operato una rilettura o riconsiderazione
delle conversazioni captate che avvalorerebbero tale assunto, giacché la donna ha in
pratica agito come vera e propria “succube” del compagno in una veste di totale

16

continuazione criminosa l’accertamento del requisito dell’unicità del disegno criminoso

sottomissione. Evenienza che, al più, consentirebbe di inferire che il complessivo
contegno dell’imputata, più che dar luogo ad una effettiva partecipazione associativa,
potrebbe essere sussunto nell’area del favoreggiamento reale ex art. 379 c.p. Ipotesi che
i giudici del gravame hanno escluso, motivando sommariamente l’intraneità associativa
della ricorrente e non prendendo in esame le dichiarazioni liberatorie rese da Domenico
Bonasera nel suo interrogatorio.
Analoghe critiche vanno espresse per tutti i singoli reati di spaccio attributi alla

semplice rinvio alla sentenza di primo grado o trascrivendo alcune conversazioni
intercettate, senza valutarne la portata e reinterpretarne i contenuti.
Con motivi nuovi depositati il 4.8.2014 si riprendono gli esposti rilievi, ribadendosi
la condizione di succube di Domenico Bonasera ricoperta dalla donna e aggiungendosi
che il suo ruolo di compartecipe dell’associazione criminosa mal si concilia, sul piano
logico, con l’esclusione della sua corresponsabilità da ben undici episodi di spaccio di cui
è stato invece ritenuto responsabile il concorrente. Né, d’altro canto, sembra razionale
sostenere che costui abbia voluto coinvolgere la donna in spericolate azioni illecite
durante la sua gravidanza. Sicché per equivoco il suo mero rapporto di convivenza con
Domenico Bonasera è stato qualificato semplicisticamente alla stregua di una reale
partecipazione associativa.
I medesimi concetti sono nuovamente enunciati con una memoria difensiva
depositata il 17.10.2014, nella quale si fa anche riferimento alle misure cautelari a suo
tempo adottate (restandone indenne la ricorrente) e si invoca, in subordine, una
rideterminazione della pena a seguito della nota sentenza n. 32 del 2014 della Corte
Costituzionale.

Le esposte articolate censure non hanno fondamento e si delineano per più

versi inapprezzabili nella parte in cui prefigurano una surrettizia rivisitazione di mero
segno fattuale delle fonti di prova non praticabile in sede di legittimità.
In vero l’argomento critico attinente all’avvenuta non logica assoluzione della
Bonasera da un gran numero di reati ex art. 73 L.S. ascrittile in concorso con il
convivente prova troppo, perché dimostra esattamente il contrario dell’assunto del
ricorso, costituendo il più trasparente indice della scrupolosa disamina, sulla base di
specifici e seri dati probatori, compiuta dai giudici di merito sulla posizione dell’imputata
in rapporto ai numerosi fatti reato contestatile. Esito valutativo che vale anche per la
confermata partecipazione associativa della ricorrente ed al quale la Corte di Appello è
pervenuta, operando anche nel caso della Bonasera (come, va aggiunto, per tutti gli altri
coimputati) una nuova e indipendente analisi delle emergenze processuali. Analisi scevra
dal richiamo ai meri dati congetturali paventato nel ricorso per le ragioni già in

17

Bonasera, per i quali la responsabilità della ricorrente è stata confermata o con un

precedenza esposte (ed alle quali si rinvia) in ordine alle omologhe doglianze avanzate
con il primo ricorso (cfr. antea, § 2.7).
Messa in luce la palese incongruenza della generica prospettazione della
riconducibilità della condotta associativa dell’imputata nell’area del favoreggiamento
(reale), di cui la sentenza impugnata giustamente non si è fatta carico per la totale
vaghezza e aspecificità di una siffatta tesi, non è inutile -segnatamente per quanto
concerne la ricostruzione delle condotte della Bonasera integranti i reati fine di cui è stata

di valenze fattuali degli enunciati censori espressi con il ricorso in esame (nonché con i
motivi nuovi di ricorso e la memoria difensiva).
In riferimento alle obiezioni della difesa circa la lettura fornita dai giudici di merito
delle dichiarazioni intercettate riconducibili all’imputata, è indispensabile sottolineare che
la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni captate costituisce questione di
fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, sottraendosi al sindacato di
legittimità, se -come nel caso della Bonasera (e parimenti di tutti gli altri ricorrenti)- tale
valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza
(cfr.: Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724; Sez. 6, n. 11794 del
11/02/2013, Melfi, Rv. 254439; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784).
E’ possibile, quindi, prospettare in sede di legittimità un’interpretazione del significato di
un dialogo intercettato diversa da quella proposta dal giudice di merito soltanto in
presenza di un concreto travisamento della prova ovvero nel caso in cui il giudice di
merito ne indichi il contenuto in modo testualmente difforme da quello reale e tale
difformità risulti decisiva ed incontestabile (v.: Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Asaro,
Rv. 252190; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, Napoleoni, Rv. 259516).
Situazioni, entrambe, per certo non ravvisabili nell’esame della posizione dell’imputata
Anna Bonasera, quando si consideri che il ricorso non indica nessuna illogicità evidente
desumibile dal testo della sentenza impugnata, né ha assolto il peculiare onere di
descrivere in modo specifico il supposto vizio di travisamento della prova.
Le recenti modifiche della normativa penale disciplinante le sostanze stupefacenti
intervenute con più atti legislativi in tutto o in parte connessi alla sentenza n. 32 del
2014 della Corte Costituzionale (che, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 4bis e 4-vicies.ter del decreto legge 30.12,2005, n. 272 convertito con modificazioni dalla
legge 21.2.2006 n. 49, con cui era mutato il regime penale previsto dal d.P.R. 309/90, ha
ripristinato l’anteriore differenziata disciplina sanzionatoria tra droghe pesanti e droghe
leggere) non incidono sui fatti reato contestati alla Bonasera e agli altri ricorrenti. Vuoi
perché la stessa e gli altri ricorrenti, con l’eccezione della sola Valentina Barbera, sono
stati riconosciuti colpevoli del reato associativo di cui all’art. 74 L.S., fattispecie criminosa
neppure lambita dalle recenti novelle normative e costituente, tra tutti i reati ascritti ai

18

giudicata colpevole dalle due decisioni di merito- formulare una rapida notazione in punto

prevenuti, l’ipotesi di reato più grave assunta a base delle pene in concreto irrogate, sulle
quali sono stati apportati (in misure, deve osservarsi, non particolarmente afflittive)
semplici incrementi sanzionatori per i reati fine (art. 73 L.S.) e per altri connessi reati
(contestazioni relative alle armi da sparo). Vuoi perché, con argomentazioni già valutate
corrette e logiche, per nessuno degli innumerevoli reati puniti dall’art. 73 L.S. ascritti agli
imputati è stata ritenuta l’ipotesi attenuata del fatto lieve ex art. 73 comma 5 L.S. Ipotesi
attinta da radicali modificazioni (D.L. 23.12.2013 n. 146; L. 16.5.2014 n. 79) ed oggi
configurata quale fattispecie autonoma di reato sanzionante con omologa pena i fatti

“lievi” riguardanti sia le droghe leggere che le droghe pesanti.
4. Ricorso di Valentina Barbera.
4.1. Violazione degli artt. 192 c.p.p. e 73 L.S. e carenza della motivazione.
L’imputata, estranea al reato associativo di cui al capo 52) della rubrica è stata
dichiarata colpevole di due soli reati di detenzione di droga a fini di spaccio per avere
acquistato dal Ro e da Domenico Bonasera 50 pasticche di ecstasy (capo 22) e per avere,
in altra occasione, detenuto sempre a fine di spaccio un quantitativo non accertato ma
comunque non modico di stupefacente inserito nel novero delle droghe pesanti (capo
37). La sentenza di appello ha confermato in modo illogico la responsabilità della Barbera
per i due episodi criminosi, poiché la destinazione alla cessione dell’ecstasy è stata
affermata solo in base al dato ponderale della sostanza e, quindi, con una motivazione
carente e poiché le finalità cessorie sottese all’altra detenzione di sostanza stupefacente
scaturiscono da un travisamento probatorio consistente nel supporre che in un dialogo
coinvolgente l’imputata si faccia riferimento ad una cessione di droga a terzi.
4.2. Violazione degli artt. 73 comma 5 L.S. e 81 c.p. e carenza di motivazione.
Irragionevolmente nelle due condotte illecite attribuite alla Barbera non è stata
ravvisata l’ipotesi del fatto lieve ed in ogni caso l’aumento di pena per la ritenuta
continuazione tra i due reati appare eccessivo.

Entrambi i descritti motivi di impugnazione sono infondati, oltre a sfiorare i

contorni della indeducibilità per le valenze meramente fattuali che paiono sorreggerne
per gran parte le argomentazioni.
La sentenza di appello ha evidenziato, con giudizio logico e aderente alle
emergenze processuali che investono la posizione della Barbera, come il

“numero

davvero elevato” delle pasticche di ecstasy acquisite dall’imputata (capo 22) non
giustifichi né l’ipotesi di un uso personale dello stupefacente, né il carattere lieve
dell’illecita condotta. Analogamente la Corte territoriale non sembra essere incorsa in
nessun genere di equivoco, dal momento che (anche richiamando sul punto la sentenza
di primo grado) in motivazione si specifica che dal contenuto delle conversazioni captat e

19

e

emerge che la Barbera e l’originario coimputato (non ricorrente) Salvatore Amante hanno
congiuntamente acquistato droga dal Bonasera per un certo valore, prontamente
rivendendola ad una terza persona.
Non consentiti si delineano i subordinati rilievi sul trattamento punitivo.
La sentenza di appello ha diffusamente argomentato, in via generale, la non
configurabilità dell’ipotesi lieve ex art. 73 comma 5 L.S. per tutti i numerosi reati di
detenzione e spaccio di droga. Argomentazioni che il collegio, come chiarito in

legittimità. Sicché non può che farsi rinvio alle anteriori valutazioni di questa Corte

(v.

antea, § 2.4.).
Improponibili in questa sede vanno considerati anche i rilievi sui calcoli in punto di
pena operati in sede di merito in applicazione del regime di cui all’art. 81 comma 2 c.p. Si
tratta di profilo che investe un tema della regiudicanda riservato al discrezionale vaglio
del giudice di merito, sottratto a scrutinio di legittimità, ove sia sorretto -come nel caso
in esame- da motivazione non illogica e non violatrice della legge (pena non “illegale”).
5. Ricorso di Angelo Cannavò.
5.1. Violazione degli artt. 267, 268, 271 e 370 c.p.p. e illogicità della motivazione.
Inaspettatamente la sentenza impugnata giudica non rilevante la violazione della
delega per le operazioni di ascolto delle intercettazioni ambientali a bordo
dell’autovettura in uso a Domenico Bonasera, conferita dal procedente p.m. ad ufficiali di
p.g. della Compagnia Carabinieri di Messina Centro, ma disattesa per essere state le
operazioni tecniche di ascolto effettuate dalla Squadra Mobile di Messina. Evenienza che
avrebbe dovuto determinare l’inutilizzabilità delle captazioni di dialoghi avvenuti sull’auto
del Bonasera.

Il motivo di doglianza è infondato a fronte delle ineccepibili ragioni,

giuridicamente corrette (arg. ex Sez. 2, n. 34969 del 10/05/2013, Caterino, Rv. 257783),
enunciate dalla sentenza di appello (p. 22):

“Qualsiasi, anche se effettivamente

esistente, violazione di delega non inficia in alcun modo l’attività di intercettazione svolta
né tanto meno, non essendo in alcun modo prevista, comporta alcuna ipotesi di
inutilizzabilità”. D’altra parte è facile precisare che, dopo le iniziali fasi delle indagini
preliminari, le attività investigative concernenti i fatti oggetto del presente procedimento
sono state per intero svolte e coordinate dalla Squadra Mobile messinese.
5.2. Violazione degli artt. 192 c.p.p. e 74 L.S. e motivazione mancante o
manifestamente illogica.
Con due separati ma connessi motivi (da esaminarsi, quindi, in modo congiunto) si
censura la motivazione dei giudici di secondo grado nella valutata sussistenza

20

precedenza, ha già ritenuto immuni da discrasie suscettibili di rilievo in sede di

dell’associazione diretta al traffico di droga (capo 52), sia sotto l’aspetto oggettivo, cioè
di organizzazione interna e di ripartizione dei ruoli dei consociati, sia sotto l’aspetto
soggettivo della consapevolezza dei pretesi componenti di far parte di un assetto
organizzativo e logistico, assistito da autonomia e autosufficienza, correlato alle singole
attività illecite che ne rivelerebbero la progettualità criminosa.

Le censure, per più versi generiche e gravate da eccedenti citazioni della

giurisprudenza di legittimità (ché iura novit curia), non hanno pregio per i motivi esposti

doglianze (motivi ai quali è d’uopo rimandare:

antea, § 2.3., § 2.4.). In ogni caso,

quanto alla specifica partecipazione associativa del Cannavò, le due conformi decisioni di
merito hanno evidenziato che le risultanze processuali ne definiscono il ruolo di “stabile
riferimento” per i coimputati Bonasera e Ro ai fini della acquisizione di forniture di droghe
di vario tipo da immettere poi sul mercato al dettaglio. Ruolo attestato da numerose
intercettazioni e che induce la Corte di Appello a qualificare come “rapporto simbiotico” il
collegamento tra il ricorrente e i coimputati partecipi dell’associazione criminosa
(sentenza, pp. 80-82).
5.3. Violazione dell’art. 73 L.S. e motivazione carente in ordine al reato sub 12).
La responsabilità dell’imputato per la cessione al Bonasera e al Ro di cinque chili di
“erba” contestata all’imputato con il capo 12) della rubrica [uno dei tre reati fine ex art.
73 L.S. di cui è stato dichiarato colpevole il ricorrente, ndr] è stata confermata sulla base
di una conversazione di significato e interpretazione incerti, tale da non costituire una
necessaria affidabile piattaforma indiziaria.

I rilievi critici sono infondati.
•14.Atik>>
La sentenza di secondo, rimarcando la sicura identificabilità (avvalorata dalle

indagini di p.g.) con il Cannavò dell’Angelo di cui discutono Bonasera e Ro in rapporto alla
acquisenda fornitura di droga, ha escluso ogni possibile ragione di dubbio o perplessità
sulla chiarezza del linguaggio e sugli espliciti contenuti del dialogo chiamante in causa il
ricorrente. Sino al punto di doversi logicamente individuare nel Cannavò un aderente al
sodalizio costantemente preposto a fungere da “fornitore” di stupefacenti da mettere in
vendita.
5.4. Erronea applicazione degli artt. 74 comma 6 e (per i capi 15 e 24) 73 comma
5 L.S. e contraddittorietà della motivazione.
Avuto riguardo alla primitività dell’organizzazione del gruppo associato, allo stato
di tossicodipendenza di molti associati, alla modestia dei quantitativi di droga oggetto
delle varie contestate cessioni, la Corte di Appello avrebbe dovuto riconoscere per il reato
associativo e per gli altri due reati fine contestati al ricorrente le due indicate attenuanti.

21

dal collegio nell’esame delle posizioni di altri ricorrenti che hanno formulate analoghe

Detti motivi sono infondati per le stesse ragioni già esposte in precedenza, cui
non può che rinviarsi, con riguardo alle analoghe censure sollevate da altri ricorrenti
(antea, § 2.3, § 2.4., § 3).
5.5. Erronea applicazione dell’art. 74 comma 4 L.S. e carenza di motivazione.
Incongruo è l’assunto in virtù del quale i giudici di appello, come già il giudice di
primo grado, hanno ritenuto il reato plurisoggettivo sub 52) aggravato dalla disponibilità
di armi in capo a taluni aderenti al sodalizio (associazione criminosa armata). Difettano,

alcuni partecipi al più efficace conseguimento delle finalità del sodalizio criminale.
La censura è manifestamente infondata alla luce della giurisprudenza di
legittimità puntualmente evocata dalla sentenza di appello (p. 76), in base alla quale, a
differenza dell’omologa aggravante prevista dall’art. 416-bis comma 5 c.p., per la natura
armata dell’associazione per delinquere volta al narcotraffico è sufficiente la oggettiva
disponibilità di armi da parte dei consociati (nel procedimento oggetto di ricorso i quattro
imputati Bonasera, Ro, Amante e Forami), non occorrendo la sussistenza di una diretta o
virtuale correlazione tra tali armi e gli scopi perseguiti dall’associazione criminale (ex
multis: Sez. 2, n. 13682 del 08/01/2009, Aveta, Rv. 243948; Sez. 1, n. 21040 del
12/05/2010, De Vivo, Rv. 247557).
6. Ricorso di Alberto Boncordo.
6.1. Erronea applicazione dell’art. 74 L.S. e motivazione apparente o illogica.
La Corte di Appello ha riaffermato la partecipazione dell’imputato al reato
associativo di cui al capo 52) della rubrica, ignorando le specifiche deduzioni svolte con il
gravame avverso la prima decisione di merito con le quali si evidenziava l’inidoneità del
materiale probatorio a dimostrare la sussistenza degli elementi avvaloranti
l’appartenenza del ricorrente al sodalizio criminoso. Tralasciando di considerare che,
anche in rapporto del imitato periodo di tempo scandito dalla operatività del gruppo
criminoso, in quasi tutte le conversazioni intercettate il ricorrente (individuato con il
soprannome di “Mutanna”) non interviene mai in prima persona, venendo menzionato
soltanto dai soggetti dialoganti (per altro in termini non positivi), l’impugnata sentenza è
intercalata da continui richiami alla motivazione della sentenza di primo grado. In tale
evanescente contesto ricostruttivo non viene indicato alcun specifico ruolo rivestito dal
ricorrente nell’assetto organizzativo della presunta associazione ex art. 74 L.S., tanto più
che al Boncordo non è stato contestato nessun reato fine ex art. 73 L.S., attribuendoglisi
unicamente la partecipazione associativa.
Il motivo di ricorso è infondato.

22

infatti, elementi di prova dimostrativi di una reale destinazione delle armi in possesso di

Premesso che l’oggettività del reato associativo finalizzato al traffico di droga
prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente agito
commettendo uno o più dei reati fine dell’associazione, di tal che il mancato
coinvolgimento in taluno degli episodi criminosi che connotano l’illecita attività del
sodalizio non è incompatibile con l’affermata partecipazione dell’agente alla aggregazione
criminale (arg., ex plurimis:, da Sez. 1, n. 43850 del 3.7.2013, Durand, Rv. 257800), è
agevole osservare che il ruolo di partecipe nel reato di cui all’art. 74 L.S. del Boncordo è

Già la sentenza di primo grado (pp. 132-136) ha estesamente descritto la
posizione occupata dall’imputato in seno all’associazione delinquenziale alla stregua dei
convergenti dati probatori (ricavati dai significativi contenuti delle conversazioni
intercettate), che lo collocano con continuità nell’assetto funzionale del sodalizio,
evidenziando gli stretti legami intessuti dall’imputato con i più autorevoli tra i coimputati
nel reato associativo, sì da farlo definire “personaggio a disposizione della congrega, che
se ne è avvalsa per l’espletamento di mansioni prettamente esecutive”,

strumentali

rispetto ai reati di acquisto, detenzione e vendita di droga compiuti dal gruppo. La
sentenza di secondo grado, anche correttamente richiamando

per relationem

i

concludenti dati probatori elencati dalla sentenza del g.u.p., non ha affatto ignorato i
motivi di appello del Boncordo (sentenza, pp. 86-88), ma con congrua motivazione ha
rilevato l’inconsistenza delle notazioni critiche con essi esposte in punto di volontaria
adesione del prevenuto all’operatività dei traffici di droga programmati dal gruppo
criminale, direttamente o indirettamente favoriti dai suoi contributi, ancorché definibili di
natura “esecutiva”. Le risultanze processuali individuano, dunque, un sicuro collaterale
contegno collaborativo del ricorrente che a pieno titolo lo inscrive (in ragione delle sue
attività, “svolte sempre nell’interesse e al servizio dell’associazione”, quali le operazione
punitive nei confronti degli acquirenti di droga debitori morosi) nell’assetto del gruppo.
Gruppo criminale alla cui “vita” egli ha partecipato, “prestando i suoi ben richiesti servizi
e ricevendo lodi per la sua spregiudicatezza”. La qual cosa legittima la conseguente logica
argomentazione dei giudici di appello sulla indiscutibile consapevolezza del Boncordo di
agire per conto e in vantaggio di una associazione dedita allo spaccio di stupefacenti.
6.2. Violazione di legge per mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art.
74 comma 6 L.S. e delle attenuanti generiche e coeva carenza di motivazione.

■ Tali subordinate censure sono indeducibili, afferendo al motivato trattamento
punitivo applicato dai giudici di appello al ricorrente, ed in ogni caso infondate per i
motivi già chiariti nell’esame delle omologhe prospettazioni censorie di altri ricorrenti
(motivi ai quali deve farsi rinvio: antea, § 2, § 3).
7. Ricorso di Giovanni Forami.

23

stato adeguatamente valutato dalla Corte di Appello peloritana.

7.1. Violazione dell’art. 74 L.S., travisamento della prova e manifesta illogicità
della motivazione.
La Corte territoriale, mutuando le valutazioni del primo giudice, ha confermato la
responsabilità del Forami per il reato associativo di cui al capo 52), reputandolo uno
stabile collaboratore del gruppo criminale per tutte le questioni attinenti ai traffici di
droga e alla detenzione e custodia di armi da sparo (oltre al reato plurisoggettivo gli sono
contestati gli specifici reati di cui ai capi 54, 55 e 59). L’assunto del ragionamento della

p.g.) che vedrebbe l’imputato identificato con il soggetto sopranominato “0//io” di cui è
traccia in più conversazioni intercettate.

La censura è priva di fondamento.

Alla stregua del minuzioso esame della posizione dell’imputato sviluppata dalla
sentenza di primo grado non è possibile sollevare alcuna incertezza sulla corretta
individuazione della persona dell’imputato, stanti i numerosi riscontri (a prescindere da
ogni originaria indicazione confidenziale o anonima) asseveranti la sua identificazione,
non fosse altro che per la sua oggettiva detenzione di armi da fuoco della cui disponibilità
si discute in più conversazioni. All’esito della rinnovata e autonoma valutazione delle
molteplici fonti probatorie offerte dalle indagini la Corte territoriale non ha potuto che
confermare il giudizio di colpevolezza già formulato dalla sentenza di primo grado,
ponendo in evidenza come il Forami vada ritenuto a pieno titolo uno degli associati alla
consorteria criminale, di cui condivide (come emerge da numerose captazioni) le illecite
iniziative correlate alla gestione di traffici di droga (quale, ad esempio, la sua
partecipazione alla spedizione punitiva o “lezione” consumata in danno del minorenne
Giampaolo Augliera, spacciatore per conto del gruppo appropriatosi di un quantitativo di
droga ricevuto dal Ro e da Domenico Bonasera).
Nessun pregio ha infine il rilievo formulato, incidentalmente e in subordine, in
margine al motivo di ricorso principale e concernente l’omessa qualificazione del reato
associativo nella sua forma attenuata prevista dall’art. 74 comma 6 L.S. Ciò per le ragioni
già esposte dal collegio (e alle quali si rinvia) in relazione alla stessa censura avanzata da
altri ricorrenti.
7.2. Mancanza di motivazione in relazione agli artt. 2 e 7 L. 895/1967 (capi 54,
55, 59 della rubrica).
Con riguardo alle tre contestazioni attinenti alla detenzione e al porto illegali di
armi da fuoco (un fucile a pompa, un fucile automatico e altra arma non individuata) si
deduce testualmente che: nonostante le censure mosse con l’appello, la Corte
territoriale, mutuando la sentenza di primo grado, ha confermato il giudizio di
responsabilità del prevenuto, “omettendo qualsivoglia argomentazione sul punto”.

24

Corte è apodittico e scaturisce da una inutilizzabile fonte confidenziale (raccolta dalla

La doglianza è priva di ogni specificità espositiva e critica, sì da doversi
considerare meramente labiale. E’ perfino superfluo, per tanto, rimarcare che la sentenza
di appello ha largamente argomentato la confermata responsabilità del Forami per la
detenzione delle armi oggetto dei tre reati ascrittigli, supportata dagli univoci contenuti
dialogici di numerose conversazioni intercettate.
8. Ricorso di Placido Orecchio.

Nelle intercettazioni telefoniche e ambientali, costituenti fonti di prova della
affermata responsabilità associativa e specifica dell’imputato, costui non è mai indicato
con il suo nome, ma sempre con lo pseudonimo o soprannome di

“Avvocato”.

L’identificazione del ricorrente così nominato è avvenuta in base a una segnalazione di
p.g. concernente un episodio di spaccio, culminato con l’arresto in flagranza
dell’Orecchio, nel cui contesto questi -a dire degli operanti- sarebbe stato chiamato dagli
interlocutori con il predetto soprannome. Evidente, quindi, è la nebulosità dei dati
concernenti l’effettiva individuazione dell’Orecchio come autore dei fatti reato a lui
ascritti. La sentenza di appello non ha fornito argomenti in grado di ovviare a tali
insuperabili incertezze identificative.
La doglianza è infondata.
Dalla congiunta lettura delle due conformi decisioni di merito non emerge alcuna
concreta ragione di dubbio sulla identificazione dell’imputato con il predetto soprannome.
L’operazione di p.g. esauritasi con l’arresto dell’Orecchio (il 18.1.2008, episodio estraneo
alla attuale regiudicanda), all’esito di un servizio di osservazione che lo ha sorpreso
nell’atto di vendere stupefacente, è avvenuta -come puntualmente precisa la sentenza di
primo grado, richiamata sul punto dalla sentenza di appello- in prossimità della piazza
Municipio di Messina (abituale teatro del commercio di droga praticato dai ricorrenti
associati) e soprattutto mentre l’Orecchio si trovava in compagnia di altri giovani, tra i
quali Domenico Bonasera, che non a caso è il suo principale e più diretto interlocutore nel
quadro delle numerose captazioni coinvolgenti la persona dello stesso Orecchio.
8.2. Violazione dell’art. 74 L.S. e mancanza e contraddittorietà della motivazione.
In ogni caso, anche data per corretta l’identificazione del ricorrente, i giudici di
merito non hanno segnalato elemento probatori che permettano di ritenere l’Orecchio un
membro dell’associazione, pur conformandosi ai requisiti necessari minimi della
partecipazione indicati dalla sentenza impugnata (maggiori guadagni personali e altre
forme di interesse economico). Le emergenze del processo non offrono persuasive prove
di un organico inserimento dell’imputato nel contesto associativo, al più portando in luce

25

8.1. Violazione degli artt. 68 e 129 c.p.p. e travisamento della prova.

condotte qualificabili come generici ed episodici “aiuti” forniti ad esponenti della
configurata associazione delinquenziale.
■ Il motivo di ricorso è manifestamente infondato, pretendendo di contrastare le
conclusioni confermative della responsabilità associativa del prevenuto enunciate dalla
Corte di Appello attraverso una fuorviante e non consentita reinterpretazione dei dati di
fatto valorizzati dai giudici di merito a sostegno della stabilità dei rapporti intessuti
dall’Orecchio con l’assetto operativo del gruppo criminale. Rapporti che lo qualificano

sostanze stupefacenti in disponibilità del gruppo (sentenza, p. 92: “Dai singoli episodi e
comunque dal contenuto complessivo delle conversazioni intercettate emerge in maniera
indubitabile che Orecchio ha preso parte attiva alla vita dell’associazione…”).
8.3. Travisamento della prova in relazione ai reati dì cui ai capi 18) e 47).
Per i due episodi di concorso in vendita di stupefacenti ex art. 73 L.S. ascritti al
ricorrente la responsabilità dello stesso è stata affermata sulla scorta di “poco intellegibili
conversazioni” avvenute tra terzi.

La doglianza è totalmente generica, non indicandosi alcun substrato della

pretesa ambiguità dei dialoghi captati afferenti ai due episodi criminosi di cui è stato
considerato partecipe il ricorrente, e comunque è infondata, perché contraddetta in tutta
evidenza dalla lineare analisi delle ben comprensibili conversazioni svolta dalla sentenza
impugnata.
8.4. Violazione degli artt. 73 comma 5 e 74 commi 4 e 6 L.S., 62 bis e 133 c.p. e
carenza della motivazione.
La sentenza della Corte territoriale non ha idoneamente motivato le ragioni per cui
in ordine ai due reati fine ascritti al prevenuto non sia stata riconosciuta l’ipotesi del fatto
lieve, né le ragioni per cui -avuto riguardo al globale assetto operativo della associazione
criminosa di cui al capo 52)- la stessa non sia stata qualificata ai sensi del comma 6
dell’art. 74 L.S. Analogamente non sorretta da adeguata prova è la ritenuta aggravante
della disponibilità di armi da parte della associazione (art. 74 comma 4 L.S.). Né, infine,
appare giustificabile il diniego al ricorrente delle attenuanti generiche, di cui sarebbe
stato meritevole per la “sua indole pacifica”e per la “marginalità della sua figura”.

Gli indicati rilievi critici, oggetto di autonomi motivi di impugnazione tutti

attinenti a subordinati temi del trattamento punitivo ed enunciati per esplicito tuziorismo
difensivo, sono generici e palesemente privi di fondamento. Ciò sia con riguardo agli
elementi circostanziali che si sostiene avrebbero dovuto connotare i reati ascritti
all’Orecchio per le medesime ragioni già esposte in precedenza dal collegio in relazione
agli analoghi motivi di censura formulati da altri ricorrenti. Sia con riguardo al lamentato

26

come persona specificamente operante nell’attività di spaccio e distribuzione delle

diniego delle attenuanti innominate, che integra una doglianza non consentita in sede di
legittimità, ove si tenga conto della razionale giustificazione fornita dalla sentenza di
appello, che pure ha gratificato l’Orecchio con l’escludere la rilevanza punitiva della
recidiva specifica contestatagli.
Al rigetto dei loro ricorsi segue per legge la condanna degli imputati ricorrenti al
pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio.

Rigetta i ricorsi e condanna i privati ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Roma, 14 novembre 2014
Il consigliere estensore
Giacomo ‘aoloni

Il Presidente
A to io Stefa • A rò

P. Q. M.

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