Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3887 del 04/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 3887 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FORTUGNO GIUSEPPE N. IL 22/06/1973
avverso l’ordinanza n. 453/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 19/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI
DEMARCHI ALBENGO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Data Udienza: 04/12/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Gioacchino Izzo, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Il 28 giugno 2012 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi

dell’art. 310 c.p.p., rigettava l’appello proposto da Giuseppe Fortugno,
imputato del delitto di partecipazione ad associazione per delinquere di

giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale aveva respinto
l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare personale della
custodia in carcere.
2.

Il Tribunale osservava che la circostanza che l’appalto oggetto

dell’infiltrazione mafiosa fosse stato affidato ad un altro aggiudicatario, che i
concorrenti nel reato contestato a Fortugno fossero stati già giudicati e che il
reato fosse risalente nel tempo non rappresentavano altrettanti elementi
idonei a comprovare la cessazione o l’attenuazione delle esigenze cautelari,
tenuto conto delle gravi modalità esecutive della condotta delittuosa,
espressiva di particolare pericolosità sociale.
3.

Sottolineava, inoltre, che l’art. 275, comma 3, c.p.p. impone sempre

– e non solo in fase genetica di adozione della misura cautelare personale un’alternativa “secca” tra custodia cautelare in carcere e libertà per i reati
elencati nella suddetta disposizione. Argomentava, infine, che la qualità e
natura del reato posto in essere e le sue modalità di consumazione
rendevano concreto il rischio che l’indagato, una volta posto in libertà,
avrebbe potuto reiterare le condotte illecite.
4.

In merito all’istanza di sostituzione della misura cautelare formulata

ai sensi dell’art. 275, comma 4, c.p.p., il Collegio osservava che il figlio
minore che Fortugno allegava di dovere accudire aveva superato i tre anni di
età, che la disposizione in esame non è suscettibile di applicazione analogica
e che il bambino era assistito in maniera continuativa da una persona di
fiducia che gli assicurava il costante contatto con la madre attraverso i
colloqui in carcere.
5.

Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione,

tramite il difensore di fiducia, il Fortugno, il quale lamenta erronea
applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà, manifesta
illogicità della motivazione circa la sussistenza dei presupposti per il
mantenimento della custodia cautelare in carcere e il rispetto dei criteri di
1

stampo mafioso, avverso il provvedimento con il quale, il 17 marzo 2012, il

proporzionalità e adeguatezza, tenuto conto, da un lato, dei principi
enunciati dalla più recente giurisprudenza di legittimità in tema di
presupposti per il mantenimento della custodia cautelare in carcere anche
per i reati rientranti nella previsione dell’art. 275, comma 3, c.p.p. e,
dall’altro, della situazione di fatto prospettata nell’ istanza – cui si era
omesso di fornire una compiuta risposta – evidenziante che il minore Daniele
è di età inferiore ai tre anni, soffre sin dalla nascita di problemi di natura
neuropsicologica derivati da un’estesa sofferenza fetale.
Il Collegio ha ritenuto che la motivazione del provvedimento

impugnato, oltre a non apparire rispettosa dei principi in precedenza
enunciati, non conteneva un compiuto sviluppo dell’iter logico argomentativo
idoneo a giustificare la decisione adottata. In tale ottica, del tutto generici,
in assenza dell’enunciazione di altre emergenze di sicuro valore sintomatico
idonee a bilanciarli, apparivano i riferimenti alla perdurante operatività della
cosca, alla irrilevanza della aggiudicazione ad altra impresa dell’appalto
oggetto di infiltrazione mafiosa e della definizione del processo nei confronti
degli altri correi.
7.

Tautologici, infine, in assenza di una valutazione in concreto,

apparivano i riferimenti al rischio di reiterazione di illeciti della stessa specie.
Secondo la prima sezione di questa Corte, poi, il provvedimento impugnato
risultava caratterizzato da una motivazione intrinsecamente contraddittoria
nella parte in cui fondava il mancato accoglimento dell’istanza formulata ai
sensi dell’art. 275, comma 4, c.p.p. sul richiamo di circostanze di fatto non
pienamente rispondenti a quelle indicate nell’istanza difensiva.
8.

Per queste ragioni disponeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata

e il rinvio per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria, il quale
confermava la misura irrogata, ritenendo di applicare la giurisprudenza delle
sezioni unite, secondo cui la presunzione di adeguatezza della custodia in
carcere di cui all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. opera non solo nel
momento di adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva,
ma anche nelle successive vicende che attengono alla permanenza delle
esigenze cautelari.
9.

La Corte evidenziava, comunque, come i gravi indizi di colpevolezza

ed il ruolo di primo piano del ricorrente fossero confermati dalla intervenuta
condanna in primo grado del Fortugno e che la persistenza del sodalizio
risultasse dalle indagini nel procedimento denominato “Metropolis”. Quanto
all’istanza svolta ai sensi dell’art. 275, co. IV, c.p.p., riteneva non

2

6.

adeguatamente provata l’impossibilità assoluta per la madre di prendersi
cura del figlio disabile.
1. Fortugno Giuseppe propone ricorso per cassazione contro la
predetta ordinanza per i seguenti motivi:
a. violazione di legge con riferimento agli articoli 275, comma 3,
627 e 127 del codice di procedura penale. Questo motivo è
articolato in due censure; in primo luogo, il ricorrente sostiene

ritenuto sussistente dalla prima sezione di questa corte in
forza di un principio di diritto che il giudice di rinvio ha
obliterato. In particolare, la prima sezione di questa corte
aveva ritenuto di aderire a quell’indirizzo giurisprudenziale che
ritiene necessaria, in sede di applicazione della misura, la
verifica di sussistenza in concreto delle esigenze cautelari
(anche per i casi in cui nella fase genetica si applica la
presunzione di cui all’articolo 275, comma 3), mentre il
giudice di rinvio ha richiamato la pronuncia delle sezioni unite
(antecedente alla sentenza di annullamento) secondo cui la
presunzione di adeguatezza della custodia in carcere di cui
all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. opera non solo nel
momento di adozione del provvedimento genetico della
misura coercitiva, ma anche nelle successive vicende che
attengono alla permanenza delle esigenze cautelari.
b. Con la seconda censura, il ricorrente contesta l’ordinanza di
rinvio nella parte in cui ha giustificato la permanenza del
giudizio di pericolosità facendo ricorso a due elementi nuovi,
rimasti completamente estranei al contraddittorio nel giudizio
di rinvio: A) la sentenza con cui l’imputato è stato condannato
in primo grado per il reato di cui all’articolo 416 bis del codice
penale (sentenza le cui motivazioni sono state depositate
cinque giorni dopo l’udienza camerale di discussione del
presente ricorso; più precisamente, la motivazione è stata
depositata 1’8 luglio, mentre l’udienza davanti al tribunale del
riesame è del 3 luglio); B) gli atti di un diverso procedimento,
denominato Metropolis, sul quale non si è formato alcun
contraddittorio.
c. violazione di legge con riferimento agli articoli 275, comma 4,
e 627 del codice di procedura penale, nonché omessa

3

che il difetto di motivazione sulle esigenze cautelari era stato

motivazione. Con questo secondo motivo di ricorso si contesta
la mancanza di motivazione con riferimento alla richiesta di
applicazione dell’articolo 275, comma 4, cod. proc. pen.; in
merito alla dedotta impossibilità per la madre del figlio
dell’imputato di occuparsi dello stesso, sostiene il ricorrente di
aver avanzato richiesta di c.t.u. volta ad accertare le
condizioni di madre e figlio (quest’ultimo disabile), essendo
egli nell’impossibilità di costringere la madre del ragazzo a

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Relativamente alla prima censura del primo motivo di ricorso, occorre
preliminarmente ricordare che le Sezioni unite – con sentenza n.
34473 del 19/07/2012, Lipari, Rv. 253186 – hanno affermato che la
presunzione di adeguatezza della custodia in carcere di cui all’art.
275, comma terzo, cod. proc. pen. opera non solo nel momento di
adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva, ma
anche nelle successive vicende che attengono alla permanenza delle
esigenze cautelari (Conf. Sez. un., 19 luglio 2012 n. 34474, non
massimata). La prima sezione di questa corte, invece, disattendendo
il richiamato insegnamento, ha ritenuto che il tribunale di Reggio
Calabria dovesse prendere in esame i fatti nuovi, al fine di verificare
il permanere delle condizioni che a suo tempo avevano determinato
la limitazione della libertà personale.

2.

Or bene, nonostante la decisione si collochi in (parziale) contrasto
con le più recenti pronunce delle sezioni unite, cui questo collegio
aderisce, tuttavia occorre rilevare che il giudice di rinvio è vincolato
al principio di diritto stabilito nella sentenza di annullamento, anche
ove questo fosse erroneo. Ne consegue che il tribunale di Reggio
Calabria aveva il dovere di uniformarsi alle indicazioni della prima
sezione di questa corte, valutando se i fatti nuovi allegati dal
ricorrente comportassero il venir meno o l’affievolimento delle
esigenze cautelari. Occorre, peraltro, rilevare che la sentenza di
annullamento non ha richiesto la ricerca di elementi positivi da cui
desumere la sussistenza della pericolosità sociale e la individuazione
delle cautele necessarie per fronteggiarla, bensì ha preteso dal
tribunale l’esame delle allegazioni difensive, al fine di valutare se
4

sottoporsi ad indagini scientifiche.

fossero idonee a mutare il quadro cautelare. L’accertamento che il
giudice di rinvio doveva fare, per rispettare il disposto dell’art. 627
cod. proc. pen., comportava pertanto una verifica di tipo negativo;
ossia, partendo dal dato normativo inequivocabile della presunzione
di sussistenza dell’esigenza cautelare e di idoneità della sola misura
carceraria (art. 275, co. III, c.p.p.), doveva valutare se sussistessero
concreti elementi idonei a far venir meno, nel caso di specie, tale
presunzione. In tali termini deve essere interpretata la sentenza di

non motivato contrasto con la pronuncia delle sezioni unite.
3. Ebbene, il tribunale di Reggio Calabria, pur avendo richiamato e
condiviso l’orientamento delle sezioni unite, ha comunque esaminato
le allegazioni difensive relative al ruolo rivestito dall’indagato ed alla
permanenza della compagine associativa; sotto tale profilo ha
ritenuto, con valutazione di merito sottratta a censura in sede di
legittimità, in quanto correttamente motivata, oltreché condivisibile,
che: a) l’effettuazione di una contestazione “chiusa” da parte del
pubblico ministero non era elemento sufficiente a far ritenere cessata
la condotta partecipativa e sciolta la compagine criminale; b) anche il
semplice passaggio del tempo e il fatto dell’assegnazione dell’appalto
oggetto di infiltrazione mafiosa ad altro soggetto non erano elementi
determinanti alla fine di ritenere cessato il pericolo di reiterazione del
reato, in considerazione del ruolo rilevante ricoperto dal prevenuto
all’interno del clan.
4.

Consegue a quanto detto che le considerazioni relative all’operazione
“Metropolis” non sono dotate di decisività, ma costituiscono mere
considerazioni aggiuntive che vanno a rafforzare un quadro cautelare
non scalfito dalle modalità di contestazione del reato e dall’avvenuta
condanna di alcuni sodali, essendo noto che tali elementi non sono
sufficienti a determinare la cessazione dell’associazione; era, dunque,
necessario fornire la prova positiva che il Fortugno avesse rescisso
stabilmente i suoi legami con l’organizzazione criminosa o che questa
fosse definitivamente sciolta.

5. Quanto al secondo aspetto, pienamente legittimo risulta il riferimento
alle risultanze investigative ed all’esito del giudizio di cognizione di
primo grado; la lamentata violazione dell’articolo 127 cod. proc. pen.,
per lesione del principio del contraddittorio è, dunque, infondata. In
primo luogo, del tutto apodittica e indimostrata è l’affermazione
5

annullamento, che diversamente si porrebbe in totale, insanabile e

difensiva relativa alla mancata discussione in ordine agli elementi
emersi nel giudizio di merito, terminato con la condanna del
Fortugno. A differenza del riferimento a dati documentali
pacificamente non presenti nel fascicolo, l’utilizzo di elementi
acquisiti e discussi nel giudizio di cognizione non può dirsi ignoto alle
parti ed in ogni caso il mancato riferimento ad essi, da parte della
difesa in sede cautelare, costituisce una scelta discrezionale che non
influisce sulla validità del processo decisionale; ciò che conta è

stesso, non potendosi obbligare una parte ad interloquire
necessariamente su tutti gli elementi emersi nel corso del giudizio (in
proposito si deve rilevare che il procedimento cautelare e quello di
cognizione non sono due entità separate, ma, pur rispondendo a
finalità differenti, sono funzionalmente collegati e costituiscono due
aspetti dello stesso procedimento, i cui relativi atti non possono dirsi
sconosciuti alle parti. Questa corte ha già avuto modo di osservare
che il richiamo, in sede cautelare, all’art. 127 cod. proc. pen. e
dunque al principio del contraddittorio, comporta che “… il giudice
possa pronunciarsi solo su atti che abbiano costituito,

o che

potrebbero aver costituito, oggetto delle osservazioni delle parti in

grado di esaminarli” (Sez. 1, n. 3820 del 25/06/1998, Selis, Rv.
211425); e che il difensore del Fortugno avesse la conoscenza e
disponibilità delle prove utilizzate nel giudizio di cognizione non è
contestabile, nè contestato.
6. Se è vero che la motivazione della sentenza di primo grado fu
depositata dopo l’udienza di discussione davanti al tribunale del
riesame, non è men vero che le risultanze investigative, cui
l’ordinanza fa riferimento (cfr. pag. 5, primo alinea), erano ben note
alle parti fin da prima, così come l’esito del giudizio, essendo la
decisione risalente al 9 aprile 2013 (cioè a quasi tre mesi prima della
celebrazione dell’udienza davanti al tribunale del riesame). Anche
qui, il riferimento ad alcuni passaggi della motivazione non è
determinante, ma ha solo un significato esplicativo; non si tratta,
infatti, di semplici valutazioni del giudice, quanto piuttosto di precisi
riferimenti ad atti processuali (in particolare, alla conversazione del
27 novembre 2007).
7. Nessuno vizio di motivazione, dunque, e nessuna violazione di legge
si riscontrano nel provvedimento impugnato, ed in particolare

6

garantire la possibilità del contraddittorio e non l’effettività dello

nell’avere il tribunale ritenuto, con adeguata motivazione, non
superata la presunzione cautelare di cui all’articolo 275, numero tre,
cod. proc. pen. e nell’aver fatto riferimento, in motivazione, agli atti
del giudizio di merito relativo agli stessi fatti per cui viene disposta la
cautela.
8. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per sopravvenuta
carenza di interesse, posto che il figlio del ricorrente risulta essere
nato il 22 giugno 2009 (si vedano le certificazioni mediche contenute

tre anni (circostanza già rilevata dalla prima sezione di questa Corte laddove alla pagina uno riporta le considerazioni del tribunale di
Reggio Calabria – che però non ne fa’ oggetto di specifica
valutazione); ne consegue che non è attualmente applicabile il quarto
comma dell’articolo 275 del codice di procedura penale, che
presuppone – nella formulazione vigente – il suddetto limite di età. La
modifica operata dall’art. 1 della LEGGE 21 aprile 2011 n.62 (in Gazz.
Uff., 5 maggio 2011, n. 103; Modifiche al codice di procedura penale
e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del
rapporto tra detenute madri e figli minori), che ha innalzato il limite
di età ai sei anni, sarà operativa solo dall’anno prossimo, secondo le
disposizioni contenute nella norma transitoria (comma 4 dell’articolo
1: “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano a far data
dalla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, e
comunque a decorrere dal 1° gennaio 2014 (•.•)”.
9. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; ai sensi dell’art.
616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata
che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del
procedimento.
10.

La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’articolo

94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura
penale

p.q.m.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

7

nel fascicolo processuale) e quindi ha ad oggi ampiamente superato i

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94,
comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura
penale.

Così deciso il 4/12/2013

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA