Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3883 del 27/11/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3883 Anno 2015
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GARGIULO VINCENZO N. IL 13/01/1986
VUOLO GIUSEPPE N. IL 06/12/1981
BOCCIA GIUSEPPE N. IL 04/07/1979
PASQUA BENIAMINO N. IL 03/01/1968
POLITO RAFFAELE N. IL 25/12/1982
MOSCA GIUSEPPE CATELLO N. IL 05/08/1990
avverso la sentenza n. 7805/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
16/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO

cliterrrerta-reete-ei ,§244e-,-P-Arry

Data Udienza: 27/11/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Giuseppe Corasaniti,
ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso di Mosca e il
rigetto di tutti gli altri ricorsi.
Per i ricorrenti Vuolo Giuseppe e Gargiulo Vincenzo è presente l’Avvocato
D’Antuono, il quale insiste per l’accoglimento dei ricorsi.
Per il ricorrente Boccia Giuseppe è presente l’Avvocato Fariello Giovanni
Esposito, il quale insiste per l’accoglimento del ricorso.

1.

Gargiulo Vincenzo, Boccia Giuseppe, Polito Raffaele e Pasqua

Beniamino sono imputati del reato di cui all’articolo 416-bis del codice
penale, commi 1, 3, 4, 5 e 8 per aver partecipato, con diversi ruoli,
all’associazione di tipo camorristico facente capo alla famiglia
D’Alessandro ed operante a Castellammare di Stabia. Polito Raffaele è,
inoltre, imputato del reato di cui agli articoli 74 del d.p.r. 309-90 e 7
della legge 203-1991 per essersi associato con altri allo scopo di
commettere più delitti di acquisto, trasporto e vendita di sostanza
stupefacente.
2.

Mosca Giuseppe Catello è imputato in concorso del reato di cui

all’articolo 628 del codice penale, aggravato dall’articolo 7 del decretolegge 152-1991.
3.

Polito Raffaele e Vuolo Giuseppe sono imputati in concorso del

reato di cui all’articolo 628 del codice penale, aggravato dall’articolo 7
del decreto-legge 152-1991, commesso ai danni di Di Somma Catello
(quale proprietario della gioielleria Di Somma) e Cascone Elena.
4.

Il tribunale di Napoli, sezione gip, con sentenza del 18 maggio

2012 ha dichiarato, all’esito di giudizio abbreviato, gli imputati
responsabili dei reati ascritti e li ha condannati alle pene di legge. La
Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo
grado, ha:
o

escluso l’aggravante di cui all’articolo 7 della legge 203-91
per Mosca Giuseppe Catello, riducendo la pena ad anni 4 di
reclusione ed euro 1200 di multa e sostituendo la pena
accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e legale
con quella dell’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni;

1

RITENUTO IN FATTO

o

rideterminato la pena nei confronti di Pasqua Beniamino in
anni 9, mesi 1 e giorni 10 di reclusione;

o

ritenuta la continuazione con i fatti di cui alla sentenza del
tribunale di Napoli, sezione gip, del 24 settembre 2010,
rideterminato la pena inflitta a Polito Raffaele in complessivi
anni 15 di reclusione;

o

confermato la sentenza nei confronti di Boccia Giuseppe,

5. Contro la predetta sentenza propongono ricorso per cassazione i
predetti imputati per i seguenti motivi:
6.

Gargiulo Vincenzo:
a. violazione ed erronea applicazione dell’articolo 416-bis del
codice penale, nonché difetto, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione, con violazione dell’articolo 192,
comma 3, del codice di procedura penale; secondo il
ricorrente la Corte territoriale assembla un discorso che affida
i suoi fragili fondamenti ad asserti apodittici e contraddittori,
in quanto tali inadeguati a strutturare una trama
argomentativa persuasiva. In più, il giudice di appello avrebbe
completamente travisato, interpretandolo in maniera illogica,
il risultato dei controlli di polizia e delle videoriprese effettuate
dal 14 febbraio al 30 maggio, nonché dal 27 agosto al 15
settembre, del 2009. Anche la captazione telefonica del 31
maggio 2009 (ore 20,09) sarebbe stata interpretata in
maniera erronea, con particolare riferimento alle motivazioni
del rientro del Polito Raffaele a Castellammare di Stabia.
Infine, risulterebbe contraddittoria la motivazione laddove
assegna al Gargiulo i ruoli fra loro incompatibili di autista e
cassiere del clan.

7.

Vuoi° Giuseppe:
a. violazione ed erronea applicazione dell’articolo 7 della legge
203-91, nonché violazione ed erronea applicazione
dell’articolo 192, comma 3, del codice di procedura penale.
Vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, la motivazione
della Corte in ordine alla ricorrenza dell’aggravante di cui in
rubrica appare assolutamente generica. La difesa osserva,
poi, che le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia Polito

2

Gargiulo Vincenzo e Vuoto Giuseppe.

Raffaele e Polito Vincenzo non solo non sono concordanti, ma
sono addirittura indicative di una non consapevolezza del
Vuolo circa le specifiche finalità ipotizzate dagli inquirenti; ciò
perché i proventi della rapina furono divisi tra i partecipanti e
comunque dovevano servire a pagare l’affitto dell’abitazione di
Ravenna in cui risiedeva la compagna del D’Alessandro,
dunque per un fine egoistico e non per agevolare
l’associazione.
Boccia Giuseppe:
a. contraddittorietà della motivazione con riferimento alla
partecipazione dell’imputato al clan di tipo mafioso, nonché in
ordine alla ritenuta inattendibilità del collaboratore Belviso
Salvatore ed alla ritenuta attendibilità degli altri collaboratori
di giustizia. Travisamento della prova. Secondo il ricorrente,
andavano valorizzate le dichiarazioni del Belviso, secondo cui
il Boccia non apparteneva al clan D’Alessandro; quanto alle
dichiarazioni degli altri collaboratori, il narrato dello Spera con riferimento al cantiere dove lavorava il Boccia – non
sarebbe determinante ai fini di valutare la intraneità al
sodalizio, non essendovi identità tra il cantiere Fincantieri di
Castellammare di Stabia e l’impresa che eseguiva i lavori nel
Vico Cogtnulo. Le dichiarazioni di Polito Raffaele e Polito
Vincenzo, invece, sarebbero chiaramente inattendibili. Si
lamenta, infine, sotto il profilo del travisamento, l’erronea
interpretazione della conversazione n. 8775.
b. Inosservanza od erronea applicazione dell’articolo 62-bis del
codice penale, nonché vizio di motivazione sul punto; sotto
tale profilo si censura la contraddittorietà della motivazione
della Corte d’appello laddove esclude la sussistenza delle
attenuanti generiche per il semplice fatto che nel giudizio di
bilanciamento con le aggravanti sarebbero risultate comunque
perdenti.
c.

Inosservanza od erronea applicazione della legge penale in
relazione alla contraddittorietà della motivazione con
riferimento agli articoli 416-bis, comma 5, 70 e 59, comma 2,
cod. pen.; con tale motivo di ricorso l’imputato lamenta la
ritenuta

sussistenza

dell’associazione armata.

3

della

circostanza

aggravante

8.

9.

Polito Raffaele:
a. violazione, erronea e/o mancata applicazione del comma 7
degli articoli 73 e 74 del d.p.r. 309-90; contraddittorietà e/o
manifesta illogicità della motivazione in ordine al diniego delle
attenuanti ex comma 7. Lamenta il ricorrente che la Corte
territoriale non abbia riconosciuto le attenuanti di cui in
rubrica, assumendo che per giurisprudenza costante esse
sono concedibili anche in difetto del secondo presupposto

b. Violazione, inosservanza e/o erronea applicazione degli articoli
132 e 133 del codice penale, con conseguente mancata
applicazione del minimo aumento nel riconoscimento del reato
continuato, della comminazione della pena contenuta al
minimo edittale, nonché dell’applicazione dell’attenuante ex
articolo 8 della legge 203-91 nella massima estensione.
Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione. Lamenta il ricorrente che la Corte d’appello ha
negato l’applicazione della pena nel minimo edittale (o nel
minimo aumento in continuazione) ovvero la concessione
dell’attenuante nella massima estensione con assoluta
carenza della motivazione, così eludendo l’obbligo di
motivazione in ordine ai parametri di cui all’articolo 133 del
codice penale.
10. Pasqua Beniamino:
a. Inutilizzabilità, ex articoli 271 e 267, comma 3, del codice di
procedura penale del colloquio familiare del detenuto Catello
Romano del 13 febbraio 2010 (casa di reclusione di Voghera).
Con questo motivo di ricorso, per quanto è dato comprendere,
si sostiene che un provvedimento di autorizzazione
all’intercettazione ambientale avesse sostanziale natura di
proroga e quindi non potesse avere una validità superiore a
20 giorni, conseguendone la inutilizzabilità delle captazioni
successive a tale ultimo termine.
b. Inutilizzabilità delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia
Belviso Salvatore rese nei verbali successivi al 18 novembre
2011. Questione di legittimità costituzionale – trasmissione
alla Corte costituzionale. Con tale motivo di ricorso si
4

(sottrazione di risorse rilevanti o decisive).

[

ripropone la nota questione della possibilità di sindacare il
ritardo del pubblico ministero nell’iscrizione nel registro degli
indagati.
c. Motivazione assente, manifestamente illogica, contraddittoria
ed inerente travisamento delle prove su punti decisivi per la
decisione. Mancata valutazione di contrasti tra i collaboratori
di giustizia. Violazione dell’articolo 192, comma 3, cod. proc.
pen.. Premessi brevi cenni in ordine alla utilizzabilità e

Romano Catello, si deduce la violazione dell’articolo 192 del
codice di procedura penale ed il vizio di motivazione con
riferimento a tre aspetti:
1.

La contraddizione tra pentiti sul ruolo del
Pasqua nel settore degli omicidi;

in particolare,

sarebbero contrastanti le dichiarazioni rese da Belviso
Salvatore e Polito Raffaele in ordine ai partecipanti agli
appostamenti finalizzati all’omicidio di Belviso Raffaele.
Il secondo elemento di contrasto emergerebbe con
riferimento al secondo episodio di partecipazione del
ricorrente ad attività preparatoria di omicidi. Un terzo
elemento di contrasto attiene alla ricostruzione
dell’omicidio in danno di Scotognella Antonio, laddove il
Belviso nega la sua presenza sul luogo dell’agguato,
invece affermata dal propalante Polito Vincenzo.
2.

Il ruolo di cassiere dell’imputato e la violazione
di massime di esperienza; secondo il ricorrente la
sentenza sarebbe illogica laddove afferma che più
soggetti avrebbero assunto il ruolo di cassiere, mentre
le massime di esperienza vogliono la gestione della
cassa del sodalizio destinata ad un solo fidato
soggetto. Sotto un diverso profilo si deduce il
travisamento della prova, laddove viene affermata la
pluralità di cassieri di un clan che risulta privo di
risorse economiche.

3.

Interesse allo spaccio di stupefacenti nella
roccaforte del clan e violazione di espresso
divieto imposto dal capo-clan; secondo il ricorrente
la sentenza avrebbe travisato l’argomento evidenziato
5

decisività della corrispondenza epistolare del detenuto

dalla difesa e comunque avrebbe travisato la volontà
del vertice della consorteria.
d. Mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche;
confutazione dell’argomento difensivo circa la durata
brevissima della condotta di partecipazione. Travisamento
della prova. Illogicità della motivazione. Sotto tale profilo si
lamenta il travisamento della prova in ordine al periodo di

11. Mosca Giuseppe Catello:
a. violazione ed erronea applicazione dell’articolo 192 del codice
di procedura penale, nonché mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione in ordine alla
partecipazione del ricorrente alla rapina contestata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il

ricorso

di

Gargiulo

Vincenzo

è

infondato,

ai

limiti

dell’inammissibilità, in quanto tutto teso alla rivalutazione delle prove
ed in parte anche piuttosto generico. Il travisamento delle prove, in
cui si sostanza l’intero motivo di ricorso, è innanzitutto palesemente
insussistente per la stessa prospettazione difensiva, considerato che
l’attività interpretativa delle prove non realizza mai il vizio lamentato,
che invece deve consistere in una oggettiva difformità tra quanto
contenuto nel dato probatorio e quanto percepito dal giudicante. In
più, si deve ricordare che quando ci si trova dinanzi a una «doppia
pronuncia conforme» e cioè a una doppia pronuncia (in primo e in
secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di
assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento può essere rilevato in
sede di legittimità, ex art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., solo nel
caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che
l’argomento probatorio asseritannente travisato è stato per la prima
volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del
provvedimento di secondo grado (cfr. sez. 4, n. 20395 del 10
febbraio 2009). Quanto alla presunta incompatibilità dei ruoli di
autista e cassiere del clan, il ricorrente neppure si premura di
indicare per quale motivo tali ruoli sarebbero fra loro non compatibili;
il ricorso, sul punto, è pertanto privo della necessaria specificità.

partecipazione dell’imputato all’associazione di tipo mafioso.

2. Anche il ricorso dì Vuolo Giuseppe è infondato, ai limiti
dell’inammissibilità, in quanto tutto teso ad una rivalutazione del dato
probatorio oggetto di interpretazione di merito da parte del Giudice di
appello, la cui pronuncia non evidenzia illogicità manifeste di sorta. Il
fatto che Polito Vincenzo abbia ricevuto una parte dei proventi della
rapina non esclude automaticamente la finalità agevolatrice del clan,
tra i cui compiti rientra anche quello del sostentamento degli affiliati.
Inoltre, non viene affatto escluso che una parte dei proventi siano

anche l’invio di piccole somme agli “amici” in carcere (quale
segnalato nell’impugnata sentenza, senza che, sul punto, risultino
dedotte specifiche obiezioni), poi, è sintomatico della necessità di
mantenere l’affectio societatis e rientra senza dubbio tra le finalità
del sodalizio, non potendo seriamente sostenersi, nello specifico
contesto, che il riferimento agli “amici” sia da intendersi a persone
estranee all’associazione; del tutto inconferente, poi, il motivo di
ricorso laddove lamenta il mancato riscontro al fatto che i ricavi della
rapina sarebbero serviti per il sostentamento dei familiari del boss
D’Alessandro, dal momento che nessuna affermazione di tal fatta si
rinviene alla pagina 85 della sentenza. Quanto, infine, all’utilizzo di
parte delle somme per pagare l’affitto dell’appartamento di Ravenna,
il fatto che lo stesso fosse temporaneamente utilizzato dalla
compagna del D’Alessandro non esclude la finalità agevolatrice
dell’associazione, emergendo dalle stesse dichiarazioni del
collaboratore che quell’appartamento era a disposizione del clan,
avendolo utilizzato sia il Polito (“dove stavo io..”, dice il Polito), sia il
suo capo D’Alessandro (la sentenza, infatti, lo definisce “rifugio del
clan”) e poco importando se per un certo periodo storico, essendo a
disposizione, ne avesse fatto uso la compagna del boss. La
motivazione della Corte, peraltro, è piuttosto approfondita e deduce
la finalizzazione dell’atto agli scopi dell’associazione – e la
consapevolezza, sul punto, del Vuoto – anche perchè la rapina non fu
episodio estemporaneo, ma ben organizzato ed autorizzato da
soggetti al vertice del clan, e perché il Vuolo era stato convocato
direttamente dal Belviso, il quale gli aveva spiegato le finalità della
rapina e la sua funzionalità ad esigenze del clan. Il ricorso, dunque, a
fronte di una motivazione approfondita e priva di vizi logici, si
sostanzia in un tentativo di semplice rilettura personale delle prove,
come tale non consentito in sede di legittimità.
7

stati utilizzati direttamente a favore dell’associazione criminosa;

3. Il primo motivo di ricorso di Boccia Giuseppe è al limite della
inammissibilità, perché tutto teso ad una rivalutazione delle prove; il
ricorrente, attraverso un esame frammentario del materiale
istruttorio, pretende di contestare le valutazioni di merito della Corte
d’appello in ordine alla ritenuta inattendibilità del propalante Belviso
Salvatore, che in realtà è motivata alle pagine 42 e seguenti in
maniera assai approfondita e specifica; la Corte specifica che il
Belviso non è stato attendibile sul conto del Boccia, prevalentemente

fine, sia il contrasto con oggettive risultanze processuali
(intercettazioni ambientali), sia la contraddittorietà tra il
ridimensionamento del ruolo dell’appellante e l’ammissione dello
stesso Belviso circa la volontà del Boccia di fare parte del clan
(rispetto alla quale non risulta che tale volontà sia stata disattesa,
tanto più che il Belviso più volte si servì del Boccia, specie quando
occorreva individuare persone di fiducia; cfr. pag. 43).
4.

Quanto al dedotto travisamento della prova, la deduzione è talmente
generica e confusa che non si capisce in cosa effettivamente
consista. In ogni caso, la contestazione si rivolge contro un’attività
interpretativa della prova (in ordine al riferimento ad un determinato
cantiere), per cui non di travisamento si tratta, ma di attività
valutativa della Corte di merito, non soggetta a rivedibilità in
cassazione in quanto sostenuta da adeguata motivazione. Deve, poi,
richiamarsi la già citata giurisprudenza in ordine alla non deducibilità
del travisamento in caso di doppia pronuncia conforme.

5. In merito alla inutilizzabilità degli atti relativi all’arresto del Boccia
per la detenzione dell’hashish, pur a prescindere dalla condivisibile
motivazione della Corte, secondo cui gli atti non vengono utilizzati
per perseguire il Boccia per il reato per il quale fu disposta
l’archiviazione, ma come semplice dato documentale – cioè fatto
storico di avvenuto arresto per detenzione di droga – di riscontro per
altra fattispecie delittuosa) deve comunque rilevarsi che la Corte ha
effettuato una prova di resistenza, affermando che, pur senza
considerare tali documenti, risulta già compiutamente provata la
vicenda attraverso le dichiarazioni convergenti dei collaboratori e le
intercettazioni ambientali (la sentenza evidenzia la limitatissima
rilevanza, ai fini della prova circa la partecipazione del Boccia
all’episodio in questione, degli atti di cui si sostiene la inutilizzabilità).

8

nel tentativo di scagionarlo, quale amico. Vengono valorizzati, a tal

Trattasi di giudizio di merito sulla valutazione del materiale
probatorio non censurabile in sede di legittimità; ne consegue il
difetto di interesse alla sua deduzione da parte del ricorrente. Quanto
alla dedotta contraddittorietà tra le chiamate di Belviso Salvatore
(con Polito Vincenzo) e Polito Raffaele, la genericità della doglianza
rende la censura inammissibile per difetto di specificità, non essendo
compito del giudice di legittimità quello di doversi rileggere tutte le
prove per trovare le asserite incongruenze genericamente lamentate

adeguata motivazione alla pagina 46 della sentenza.
6. Quanto, infine, al dedotto travisamento della conversazione numero
8775 del 31 maggio 2009, ancora una volta trattasi di attività
valutativa e non di oggettiva discrasia tra il contenuto della prova e
la sua lettura da parte della Corte; in verità, tutto dipende
dall’interpretazione “additiva” data dal ricorrente all’espressione di
Belviso Salvatore: “da qua ad un’ora, ci andiamo a fare un bel giro io
e te”. Il ricorrente, operando un’inammissibile valutazione di merito
in sede di legittimità, assegna alla predetta frase un significato
diverso da quello attribuitogli dal giudice di merito, quando nessun
elemento induce ad escludere con certezza che altri sodali dovessero
partecipare al suddetto “giro”. La Corte, in particolare, interpreta la
telefonata in questione (intercettazione 8775) in modo sistematico,
incastonandola tra le altre che la precedono e la seguono, tutte
relative all’intento del D’Alessandro di convocare tutte le persone
vicine al clan ed alla seguente effettiva convocazione.
7. Il secondo motivo del Boccia è infondato. Non è affatto vero quanto
sostenuto dal ricorrente in ordine alla contraddittorietà della
motivazione; in realtà la Corte ritiene non concedibili le attenuanti
generiche (spiegando perché, e cioè con riferimento alla circostanza
che si trattava di un reato fonte di enorme allarme sociale,
commesso da un soggetto gravato da recidiva reiterata ed
infraquinquennale) e poi (aggiungendo una considerazione
subordinata ed ultronea, perciò niente affatto decisiva) afferma che
in ogni caso dette attenuanti sarebbero soccombenti nel giudizio di
bilanciamento con le aggravanti. Del tutto generiche ed apodittiche,
oltre che di merito, le considerazioni del ricorrente in ordine
all’equivalenza delle attenuanti, ove concesse, con le aggravanti
contestate.

ed affatto documentate dal ricorrente. Vi è, comunque, sul punto

[
[

8. Il terzo motivo è interamente di merito e valutativo delle prove; sul
punto c’è motivazione adeguata e priva di evidenti vizi logici alla
pagina 54 della sentenza. Il motivo, dunque, pur denunciando
formalmente anche una violazione di legge, costituisce, con tutta
evidenza, reiterazione delle difese di merito già disattese dai Giudici
di appello, oltre che censura in punto di fatto della sentenza
impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi
di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la

giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di
legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e
congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici. Qui non si tratta
di decidere se ai fini dell’attribuibilità dell’aggravante in questione si
possa motivare con la formula del “non poteva non sapere”; invero,
nel caso in esame, sono le stesse caratteristiche del clan (che già in
precedenza aveva commesso omicidi con l’uso di armi) caratteristiche note non solo ai sodali, ma a chiunque operasse nello
specifico settore delinquenziale (cfr. pag. 54 della sentenza) – unite
al particolare legame del ricorrente con il Belviso (che tali armi
deteneva), che evidenziano l’assoluta inverosimiglianza della tesi
difensiva.
9. Il primo motivo di ricorso del Polito argomenta in ordine alla
rilevanza probatoria delle dichiarazioni rese dal collaboratore di
giustizia ai sensi dell’articolo 74 del d.p.r. 309-90, nulla contestando
in modo specifico in merito al presupposto previsto dall’articolo 73 e
cioè “..evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze
ulteriori”. Con riferimento all’attenuante di cui all’articolo 73,
pertanto, il motivo è inammissibile per difetto di specificità. Con
riferimento all’attenuante di cui all’articolo 74 (“assicurare le prove
del reato”) la Corte motiva adeguatamente alla pagina 83,
affermando che il contributo probatorio non fu decisivo in quanto la
prova dell’associazione era già emersa pienamente sulla base di
intercettazioni ambientali tra gli associati, per cui l’imputato, lungi
dal fornire un’efficace contributo, si era limitato sostanzialmente ad
ammettere gli addebiti ed a confermare quanto già emergeva dalle
intercettazioni stesse. Trattasi di motivazione adeguata e priva di vizi
logici, pertanto non censurabile in sede di legittimità.

10

decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del

,

.4P

10. Pure il secondo motivo è infondato, per esservi sul punto una
..

motivazione adeguata e priva di vizi logici evidenti; la Corte osserva
alla pagina 83 della sentenza che l’attenuante ex articolo 8 della
legge 203-91 è stata erroneamente riconosciuta sul reato di cui
all’articolo 74 del d.p.r. 309-90 e che ciò ha comportato una
diminuzione della pena ben superiore al consentito, per cui non era
possibile un’ulteriore riduzione, essendo stata applicata una pena
base più bassa di quella minima edittale prevista. Quanto all’aumento

rapina a mano armata di cui al capo H, la sua misura è stata ritenuta
congrua anche per il ruolo rilevante ricoperto dall’imputato nel reato
associativo; il ricorso, sul punto, manifesta tutta la sua genericità,
non evidenziando alcun motivo specifico per il quale la pena dovesse
irrogarsi in misura più bassa e quale specifico parametro dì legge
sarebbe stato violato dal giudicante.
11.11 ricorso di Pasqua Beniamino non merita accoglimento: il primo
motivo di ricorso è prima di tutto inammissibile per la mancanza di
specificità e per difetto di autosufficienza del ricorso, non essendo
allegato il decreto di autorizzazione delle intercettazioni ambientali
oggetto di censura (peraltro nemmeno rinvenibile all’interno del
fascicolo processuale a disposizione di questa Corte). Neppure è
chiarissimo, tra l’altro, dalla stessa confusionaria prospettazione
difensiva, quale sia il provvedimento oggetto di censura. In ogni
caso, essendo impossibile esaminare l’atto di cui si contesta la vera
natura, non resta che applicare i principi già richiamati dalla sentenza
di appello e conformi alla giurisprudenza di questa Corte, secondo
cui: in materia di intercettazioni telefoniche o ambientali, qualora si
versi nell’ipotesi prevista dall’art. 267, comma secondo, cod. proc.
pen., è legittima l’emissione da parte del G.i.p. di un nuovo decreto
di convalida in luogo di quello di proroga, di cui sia scaduto il
termine, atteso che il presupposto è comunque costituito dalla
permanenza dei gravi indizi di reato e dall’assoluta indispensabilità
dell’intercettazione ai fini della prosecuzione delle indagini
(nell’occasione la Corte ha ulteriormente affermato come in tale
ipotesi si determini in concreto una maggiore garanzia per l’indagato;
cfr. Sez. 6, n. 28521 del 16/06/2005, Ciaramitaro, Rv. 231957). Con
il predetto orientamento, già richiamato dalla sentenza di appello, il
ricorrente non si è affatto confrontato, rendendo, sul punto, il ricorso
generico.

11

di soli tre anni per la partecipazione al reato associativo ed alla

12. Il secondo motivo di ricorso, con cui si contesta l’utilizzabilità delle
dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Belviso Salvatore nei
verbali successivi al 18 novembre 2011, non è fondato e la questione
di legittimità costituzionale non è proponibile per difetto di rilevanza
nel giudizio a quo; invero, la scelta del giudizio abbreviato preclude
all’imputato la possibilità di eccepire l’inutilizzabilità degli atti di
investigazione compiuti dopo la scadenza dei termini delle indagini
preliminari (Sez. 6, n. 12085 del 19/12/2011, Inzitari, Rv. 252580;

38420 del 2010 Rv. 248506). Ne consegue, in aderenza al predetto
orientamento, cui questo collegio intende conformarsi, che perdono
di rilevanza le questioni prospettate con riferimento alla possibilità di
sindacato sulla data di iscrizione nel registro degli indagati. Con il che
la dedotta questione di legittimità costituzionale è inammissibile per
difetto di rilevanza.
13. Con il terzo motivo di ricorso vengono sollevate numerose censure;
quanto alla utilizzabilità e decisività della corrispondenza epistolare
del detenuto Romano Catello (questione, peraltro non proposta quale
autonomo motivo di ricorso). L’eccezione è comunque irrilevante,
atteso che il dato probatorio è stato ritenuto totalmente superfluo ai
fini della prova della responsabilità dell’imputato (vedi pagina 74
della sentenza), né assume efficacia vincolante per il giudice di
merito la valutazione cautelare espressa dalla Corte di cassazione in
sede di ricorso contro la decisione del tribunale del riesame.
14. Quanto alla dedotta violazione dell’articolo 192 del codice di
procedura penale ed al vizio di motivazione, si osserva quanto segue:
a. la contraddizione tra pentiti sul ruolo del Pasqua nel settore
degli omicidi; in particolare, sarebbero contrastanti le
dichiarazioni rese da Belviso Salvatore e Polito Raffaele in
ordine ai partecipanti agli appostamenti finalizzati all’omicidio
di Belviso Raffaele. Secondo il ricorrente la contraddizione
concerne la sua presenza ai sopralluoghi finalizzati all’omicidio
di Belviso Raffaele; presenza che sarebbe affermata solo da
Belviso Salvatore, mentre il Polito Raffaele identifica quali
accompagnatori solo Romano Catello e il predetto Belviso
Salvatore. Orbene, l’elemento di contraddittorietà non
sussiste, atteso che – secondo quanto è dato desumere dai
riferimenti fattuali contenuti tanto nella sentenza impugnata,
12

Massime precedenti Conformi: N. 16986 del 2009 Rv. 243257, N.

quanto nel medesimo ricorso – Polito Raffaele afferma di aver
partecipato a due o tre appostamenti con Romano Catello, ma
ciò non esclude che ve ne siano stati altri cui abbiano
partecipato altri soggetti. Anzi, non viene contestata la
partecipazione del Belviso Salvatore, il quale pure non era
presente a questi appostamenti eseguiti da Polito Raffaele. È
pertanto del tutto coerente con le dichiarazioni dei propalanti
il fatto che altri appostamenti siano stati eseguiti dal Belviso

contrasto emergerebbe con riferimento al secondo episodio di
partecipazione del ricorrente ad attività preparatoria di
omicidi, ma questa censura è inammissibile a cagione della
sua genericità, non essendo dato di comprendere appieno
quale sarebbe l’elemento di contrasto tale da scardinare il
costrutto argomentativo della motivazione. Un terzo elemento
di contrasto atterrebbe alla ricostruzione dell’omicidio in
danno di Scotognella Antonio, laddove il Belviso nega la sua
presenza sul luogo dell’agguato, invece affermata dal
propalante Polito Vincenzo; anche questo motivo di ricorso è
inammissibile, in quanto attiene a valutazioni di merito
concernenti l’interpretazione delle prove. La Corte d’appello ha
dato compiuta motivazione alle pagine 80-81 della sentenza
del perché ha ritenuto attendibile il Belviso con riferimento
all’omicidio Scotognella (la Corte, in particolare, evidenzia che
il Belviso riferisce dell’episodio con dovizia di particolari e che
non essendo riferito il giorno dei contatti o l’utenza contattata,
la mancanza di captazioni sul punto non può smentire le
dichiarazioni del collaboratore). Non è vero, pertanto, che sul
punto vi sia assoluta carenza di motivazione, come lamentato
dal ricorrente.
b. Il ruolo di cassiere dell’imputato e la violazione di massime di
esperienza. Secondo il ricorrente la sentenza sarebbe illogica
dove afferma che più soggetti avrebbero assunto il ruolo di
cassiere, mentre le massime di esperienza vogliono la
gestione della cassa del sodalizio destinata ad uno solo fidato
soggetto. Questa censura è inammissibile per manifesta
infondatezza e per genericità, oltre che per essere attinente
ad una valutazione in fatto, riservata al Giudice di merito;
invero, risulta del tutto apodittica l’affermazione secondo cui
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Salvatore con Pasqua Beniamino. Il secondo elemento di

costituisce massima di esperienza il fatto che la gestione della
cassa sia affidata dai clan ad un solo soggetto. Anche ove si
volesse convenire sul fatto che ciò costituisce la prassi nei
sodalizi criminosi, ciò non toglierebbe che nel caso concreto si
siano volute adottare soluzioni differenti, per nulla
incompatibili con la struttura e la operatività della societas
sceleris. Trattasi, comunque, di valutazione di merito che non
esprime alcuna illogicità manifesta e che pertanto non può

diverso profilo si deduce il travisamento della prova, laddove
viene affermata la pluralità di cassieri di un clan che risulta
privo di risorse economiche. Tale censura è assolutamente
generica e fondata su una inammissibile valutazione
frammentaria delle prove, oltre che palesemente infondata. In
ogni caso, occorre ancora una volta richiamare la
giurisprudenza consolidata di questa Corte in ordine alla
inammissibilità della deduzione del travisamento in caso di
doppia pronuncia conforme.
c. Interesse allo spaccio di stupefacenti nella roccaforte del clan
e violazione di espresso divieto imposto dal capo-clan.
Secondo il ricorrente la sentenza avrebbe travisato
l’argomento evidenziato dalla difesa e comunque avrebbe
travisato la volontà del vertice della consorteria. In ordine a
questa censura si deve ricordare che il vizio di motivazione
per travisamento può unicamente concernere una prova e non
un fatto o addirittura un’argomentazione difensiva. In tema di
motivi di ricorso per cassazione, a seguito delle modifiche
dell’art. 606, comma primo, lett. e) ad opera dell’art. 8 della
L. n. 46 del 2006, non è consentito dedurre il “travisamento
del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di
sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali
a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n.
25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; conf. Sez. 5, n. 39048
del 25/09/2007, Casavola). Il motivo è, pertanto,
inammissibile (in ogni caso la doglianza in questione è del
tutto assertiva e generica, non confrontandosi in alcun modo
con l’affermazione a pagina 81 della sentenza impugnata,
secondo cui il d’Alessandro non avrebbe affatto vietato lo

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essere oggetto di sindacato in sede di legittimità. Sotto un

spaccio nel suo territorio, ma avrebbe solo raccomandato una
gestione “cauta”).
15.11 quarto motivo di ricorso (mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche; durata brevissima della condotta di
partecipazione) è infondato. La Corte d’appello esclude la breve
durata dell’affiliazione del Pasqua e ne spiega le ragioni con
motivazione logica alle pagine 81 e 82 della sentenza. D’altronde, il
disinteressamento per gli affari del sodalizio da parte del Pasqua non

2009 il clan sarebbe stato azzerato a causa degli arresti degli
esponenti di vertice; non si comprende, pertanto, per quale motivo
tale circostanza dovrebbe giocare a favore dell’imputato per la
concessione delle attenuanti generiche, tanto più a fronte di una
valutazione negativa della Corte d’appello in ordine alla gravità
oggettiva dei fatti, al ruolo di rilievo svolto dall’imputato ed ai suoi
numerosi e gravi precedenti penali, valutati unitamente all’assenza di
qualsivoglia comportamento suscettibile di positiva valutazione.
16. Il ricorso di Mosca Giuseppe Catello è inammissibile per rinuncia; ne
consegue, per legge (art. 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, a favore
della cassa delle ammende, di una somma che, atteso che vi è stata
rinuncia, si ritiene equo e congruo determinare in Euro 500,00.
17.

Gli altri ricorsi devono essere rigettati; ai sensi dell’art. 616

c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo
ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del
procedimento.

p.q.m.

Dichiara inammissibile per rinuncia il ricorso di Mosca Giuseppe
Catello e rigetta gli altri ricorsi, condannando ciascun ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento e il Mosca anche al versamento
della somma di euro 500,00 a favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 27/11/2014

consegue ad un suo ripensamento, bensì al fatto che nell’ottobre

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